Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18731 del 16/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18731 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DI PAOLA SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PARODI VANESSA nato il 24/02/1990 a RAPALLO

avverso la sentenza del 06/10/2016 della Corte d’appello di Genova
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Genova, con sentenza in data 6/10/2016, in parziale
riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Chiavari, in data 2/11/2011,
nei confronti di Vanessa Parodi, dichiarava non doversi procedere nei confronti
dell’imputata in ordine al delitto di lesioni personali, perché estinto per
intervenuta prescrizione, rideterminando la pena irrogata all’imputata
confermando la statuizione sulla responsabilità per il delitto di cui all’art. 628
cod. pen.
2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’ imputata.
2.2. Con il primo motivo di ricorso si deduce l’inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione al disposto degli artt.
63, 2 comma, 350, 1 e 7 comma, 374 cod. proc. pen.; la coimputata Maggiore,
immediatamente indicata dalla vittima della rapina come una delle ragazze che

Data Udienza: 16/03/2018

l’avevano aggredita e rapinata, era stata sentita dalla polizia giudiziaria dopo
circa 20 giorni, senza l’assistenza del difensore e senza avvertirla della
condizione di soggetto indagato, verbalizzando delle dichiarazioni spontanee che,
per la violazione della norma dell’art. 63 cod. proc. pen., erano evidentemente
inutilizzabili erga omnes.

Anche alla luce delle prescrizioni dettate dall’art. 350

cod. proc. pen. le dichiarazioni spontanee rese, in difetto degli avvisi, di cui al
primo comma della stessa norma, erano inutilizzabili; in ogni caso, per la qualità
di soggetto su cui gravano indizi, l’atto assunto doveva esser regolato dalla

2.3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il travisamento della prova,
in relazione all’effettuato riconoscimento fotografico ad opera della persona
offesa e della teste che l’accompagnava in occasione della rapina; nel ricorso
venivano trascritto il contenuto dei verbali in cui le testimoni avevano descritto
fisicamente la persona responsabile dell’aggressione, sottolineando le divergenze
quanto al colore e al taglio dei capelli riferito dalle due ragazze e alla descrizione
della corporatura (normale per una delle testimoni, robusta per l’altra).
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato e proposto
per motivi non consentiti.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, è evidente la sovrapposizione di istituti
che la ricorrente opera nel dedurre il vizio di inutilizzabilità delle dichiarazioni
acquisite agli atti; la disciplina delle dichiarazioni spontanee rese dalla persona
sottoposta ad indagini (art. 350, comma 7, cod. proc. pen.) è diversa da quella
delle sommarie informazioni rese dall’indagato su iniziativa della p.g. (art. 350,
comma 1, cod. proc. pen.) e non implica il rispetto delle prescrizioni dell’art. 63
cod. proc. pen. A questo riguardo, è costante l’orientamento di legittimità
secondo il quale «le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato nell’immediatezza
del fatto, pur se sollecitate dagli ufficiali di polizia giudiziaria, non sono
assimilabili all’interrogatorio in senso tecnico, in quanto quest’ultimo presuppone
la contestazione specifica del fatto oggetto dell’imputazione ed è costituito da
domande e risposte raccolte in un verbale sottoscritto dall’interessato, sicché
non devono essere precedute dall’invito alla nomina del difensore e
dall’avvertimento circa la facoltà di non rispondere» (sez. 4 n. 15018 del
25/2/2011, Amata, Rv. 250228), con l’ulteriore specificazione per cui «alle
dichiarazioni spontanee rese dal soggetto indagato non si applicano le
disposizioni dell’art. 63 comma 1 e dell’art. 64 cod. proc. pen., giacchè l’una
concerne l’esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini e l’altra

2

disposizione dell’art. 374 cod. proc. pen.

attiene all’interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni (sez. 6, n.
34151 del 27/6/2008, Vanese, Rv. 241466)», ribadendo che nel sistema
adottato dal codice di rito l’istituto dell’ interrogatorio ha un preciso significato
tecnico che non può divenire interscambiabile con specifici mezzi di indagine o di
ricerca della prova, quali sono quelli delle sommarie informazioni rese
dall’indagato – art. 350, comma 1, cod. proc. pen. – , delle dichiarazioni
spontanee – art. 350 comma 7, cod. proc. pen. – , o dell’esame – art. 208 cod.
proc. pen. – (Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016, Martino, Rv. 268509).

sono qualificate come spontanee dichiarazioni della persona sottoposta ad
indagine (la sentenza ha puntualmente motivato sul punto , sicché è
incontestabile l’applicabilità del disposto dell”art. 350, 7 comma, cod. proc. pen.,
con le ricordate conseguenze quanto all’irrilevanza del mancato avviso rivolto
all’indagato ovvero all’assenza del difensore e, ancora, all’inapplicabilità della
sanzione d’inutilizzabilità ex art. 63 cod. proc. pen.), mentre il ricorrente non ha
fornito elementi di valutazione (anche allegando il relativo verbale) per
contestare la qualificazione delle dichiarazioni rilasciate dalla Maggiore, va
ricordato il costante orientamento di legittimità secondo il quale sono
probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee
rese dall’indagato alla polizia giudiziaria in quanto l’art. 350, comma 7, cod.
proc. pen. ne limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (v. già Sez. 1,
n. 35027 del 04/07/2013, Voci, Rv. 257213, che disattendeva il diverso e isolato
avviso di Sez. 3, n. 36596 del 07/06/2012, Osnnanovic, Rv. 253574; ancora di
recente cfr. Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, Distefano, Rv. 271148; Sez. 5, n.
13917 del 16/02/2017, Pernicola, Rv. 269598; Sez. 2, n. 47580 dl 23/09/2016,
Martino, Rv. 268509).
3. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, oltre che
inammissibile, in quanto non consentito; la ricorrente prospetta il travisamento
della prova, mettendo però in luce (peraltro senza allegare integralmente gli atti
processali che dovrebbero esaltare tale travisamento) le divergenze non nel
riconoscimento operato, ma nelle descrizioni rese preliminarmente da ciascuna
delle ragazze che dovevano eseguire l’individuazione fotografica; in ogni caso, la
motivazione della sentenza impugnata chiarisce, con motivazione logicamente
coerente, la scarsa precisione della teste che accompagnava la vittima (“non
aveva potuto vedere bene l’autrice del reato e riferiva di aver dubbi sulla
possibilità di riconoscimento”: pag. 2 della sentenza) così escludendo alcun
profilo di contraddittorietà tra le due descrizioni.
4. All’ inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i

3

Preso atto che nella decisione impugnata le dichiarazioni rese dalla Maggiore

profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che
ritiene equa, di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle

Così deciso il 16/3/2018

Il Consiglier
Serg

stensore
aola

residente
nni Diotallevi

ammende.

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