Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18729 del 09/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18729 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DI PAOLA SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Della Repubblica presso il Tribunale di Rimini
nel procedimento a carico di:
ESSID ABDERAHMEN nato il 14/10/1992 a CARPI
avverso la sentenza del 4/6/2015 del Tribunale di Rimini
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr.
Fulvio Baldi che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.
RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Rimini, con sentenza in data 4/6/2015, dichiarava non
doversi procedere nei confronti di ESSID Abderahmen in ordine ai reati di cui agli
artt. 624 e 627 cod. pen., così riqualificati i fatti originariamente contestati
come ricettazione dei medesimi beni, per difetto di querela.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Rimini, deducendo la violazione di legge relativa all’erronea
applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen.; osserva il P.m. ricorrente che la
riqualificazione operata dalla sentenza impugnata del fatto contestato
(ricettazione di un cellulare e di una tessera prepagata) era viziata in quanto era
stata omessa la valutazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 625, n. 2 cod. pen. rispetto al delitto di furto del telefono cellulare.

Data Udienza: 09/02/2018

è

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2.1. L’art. 521 c.p.p. prevede la possibilità per il giudice di operare in
sentenza, rispetto al fatto descritto nel capo di imputazione, una qualificazione
giuridica diversa da quella oggetto di contestazione, nel rispetto delle regole di
competenza per materia e a condizione che il fatto oggetto di addebito non risulti
diverso da come descritto nell’editto di accusa (così garantendo il principio di
correlazione tra accusa e sentenza, oltreché l’esercizio del diritto di difesa

dell’imputato).
2.2. Nel caso in esame, la diversa qualificazione operata dal Tribunale risulta
legittima rispetto ad entrambi i profili atteso che la diversa qualificazione del
fatto – dall’ipotesi originaria di contestata ricettazione in quella di furto – non
risulta eccedere la competenza del Tribunale procedente e, per giurisprudenza
consolidata, nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi
fondamentali idonei a porre l’imputato in grado di esercitare il proprio diritto di
difesa anche rispetto al fatto poi ritenuto in sentenza, la riqualificazione del fatto
oggetto di imputazione da ricettazione in furto, non determina l’individuazione da
parte del giudice di un fatto diverso da quello oggetto di originaria contestazione,
con esclusione di alcuna lesione del diritto di difesa dell’imputato (Sez. 2, n.
18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758).
2.3. La precedente conclusione appare in linea anche con la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza in data 11.12.2007 nel caso
Drassich contro Italia)

che ha ravvisato una violazione del principio del

contraddittorio, assicurato dall’art. 6 CEDU, ogniqualvolta all’imputato non venga
garantita la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa in ordine alla
diversa definizione giuridica del fatto ascrittogli, effettuata dal giudice ex officio.
La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e, dunque, del
diritto di difesa dell’imputato, non è infatti ravvisabile, secondo la costante
giurisprudenza interna, in caso di differenziazione meramente letterale tra
l’originaria contestazione ed il fatto oggetto della statuizione decisoria, come
nell’ipotesi in cui tra il fatto oggetto di contestazione ed il fatto ritenuto in
sentenza non sussista un rapporto di eterogeneità, né risultino variati o
trasformati gli elementi costitutivi dell’ipotesi di reato descritta nel capo di
imputazione (Sez. 6, n. 34051 del 20/02/2003, Ciobanu, Rv. 226796).
2.4. Ciò premesso, la procedura di riqualificazione operata dalla sentenza
impugnata non risulta conforme alla relativa disciplina: infatti, il Tribunale ha
ritenuto che il pubblico ministero di udienza avesse omesso una doverosa attività
processuale, trascurando di contestare le circostanze aggravanti, pur ipotizzabili

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in base all’istruttoria espletata, ed ha ritenuto che ciò imponesse la
riqualificazione dell’originario reato di ricettazione in furto semplice, anziché in
furto aggravato, con la conseguente applicazione della formula di
proscioglimento ex art. 529 c.p.p., per difetto di querela. Al contrario, una
riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 624 e 625 c.p., oltre ad essere
conforme alla previsione dell’art. 521 c.p.p., non avrebbe violato il principio di
correlazione tra accusa e sentenza, considerando l’orientamento di legittimità
(richiamato anche dal P.M. ricorrente) in virtù del quale “non sussiste la

giudice di appello, confermando la decisione di primo grado, riqualifichi
l’originaria imputazione di ricettazione in quella di furto in abitazione, aggravato
ex art. 625, comma primo, n. 2, c.p., in quanto ai fini della sussistenza di detta
violazione non è sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa originaria ma è
necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato”
(Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 254648).
2.5. Il riconoscimento all’imputato del diritto di difendersi in caso di
riqualificazione giuridica del fatto deve essere valutato avendo riguardo non solo
alla descrizione della vicenda alla base dell’originaria contestazione, ma anche a
tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato stesso nel corso
del processo e suscettibili di essere prese a fondamento della decisione del
giudice procedente (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi, Rv. 257278).
Infatti, l’imputato che decida di affrontare il dibattimento, rinunciando ad
accedere ai riti premiali, accetta implicitamente tutte le conseguenze derivanti
dall’espletamento dell’istruttoria dibattimentale, tra cui il mutamento
dell’imputazione ex art. 516 c.p.p. da parte del pubblico ministero, che ravvisi la
sussistenza di un fatto diverso da quello originariamente contestato, ovvero la
riqualificazione giuridica da parte del giudice, in sede di deliberazione della
sentenza, del medesimo fatto descritto nel capo di imputazione ai sensi dell’art.
521, comma primo, c.p.p.
Nella vicenda processuale considerata il Tribunale ben avrebbe potuto
riqualificare il fatto come furto aggravato, ai sensi dell’ art. 625, comma 1, n. 4
ovvero n. 7, c.p., in quanto la condotta del prevenuto, così come descritta nel
capo di imputazione ed accertata in sede di istruttoria dibattimentale (con
particolare riguardo all’esame della persona offesa e del teste Scortechini,
attestanti che il telefono cellulare e la carta prepagata erano stati sottratti dalla
borsa della persona offesa la notte del 30.1.2011 mentre si trovava in una
discoteca), poteva essere ricondotta alle ipotesi delittuose di furto sopraindicate,
in quanto tali procedibili d’ufficio (né tale operazione avrebbe comportato una
riqualificazione in

malam partem

dell’ipotesi d’accusa, considerati i limiti edittali

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violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il

di pena previsti per il diverso reato ravvisato dal giudice). Infatti, per
giurisprudenza consolidata, se l’aggravante dell’esposizione della cosa per
necessità e per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede è configurabile
ogniqualvolta il soggetto attivo del reato di furto si impossessi di effetti personali
sottratti ai clienti di una discoteca (Sez. 5, n. 11423 del 17/12/2014, dep. 2015,
Khaly, Rv. 263063; Sez. 5, n. 39631 del 23/09/2010, Giusti, Rv. 248656; Sez.
4, n. 2477 del 07/03/1995, Beninato, Rv. 200909) altresì la circostanza
aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente si impossessi del bene

eludere la sorveglianza del legittimo possessore della res (Sez. Unite, n. 34090
del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 270088).
Il Tribunale, giustificando l’operata riqualificazione in ragione dell’omessa
contestazione da parte del pubblico ministero delle circostanze aggravanti
(comportamento, in realtà, non realizzabile avendo riguardo all’originaria ipotesi
accusatoria) è, dunque, incorso in un errore di diritto che ha comportato un
esito processuale non conforme al corretto esercizio dei poteri decisori.
3. Alla luce delle precedenti considerazioni, la sentenza impugnata deve
essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Rimini
che procederà a valutare nuovamente la qualificazione dei fatti accertati in
relazione al rinvenimento nella disponibilità dell’imputato del telefono cellulare e
di una tessera prepagata di proprietà di Giulia Romagna, così come descritti nel
capo di imputazione.
Appare necessario dare notizia della presente sentenza al Pubblico ministero
presso il Tribunale di Rimini, per le sue determinazioni in ordine alla
prosecuzione del giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla
qualificazione come furto semplice ai danni di Romagna Giulia della ricettazione
del telefono cellulare e di una tessera prepagata di cui al capo d’imputazione, e
dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Rimini per nuovo giudizio sul
punto.
Dispone che, a cura della cancelleria, sia data notizia del provvedimento al
Pubblico ministero presso il Tribunale di Rimini per le sue determinazioni.
Così deciso il 9/2/2018
Il P

nte

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