Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18725 del 20/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18725 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RECCA ANTONIO N. IL 30/03/1952
avverso la sentenza n. 205/2011 CORTE APPELLO di POTENZA, del
02/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/03/2013

Il sostituto procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente è presente ravv. Nicola Viscanti, il quale chiede raccoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATI”,

confermata dalla Corte di appello di Potenza, in data 2 febbraio 2012, Recca
Antonio era condannato alla pena di giustizia per il delitto di lesioni aggravate
dall’uso di un’arma (una sbarra di ferro) in danno di Bruno Giovanni.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato,
avv. Nicola Viscanti, deducendo tre motivi:
a) l’errata applicazione dell’articolo 533 c.p.p., poiché dall’istruttoria non sarebbe
emersa la prova della commissione del reato, rimessa alle sole dichiarazioni della
persona offesa ed al referto del pronto soccorso dell’ospedale di Matera;
b) erronea contestazione dell’articolo 99 c.p. (recidiva) e dunque mancata
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché alla luce
del certificato penale allegato al ricorso (reso in data 1.12.2011, su richiesta
dell’interessato) risulta un unico precedente datato 24 marzo 1997, senza
applicazione della sospensione condizionale della pena, con condanna alla multa di
lire 80.000, regolarmente pagata;
c) violazione di legge per mancata concessione dell’indulto, ex articolo 1 della legge
241/2006, chiesta in primo grado ed alla Corte d’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Il primo motivo è manifestamente infondato e comunque inammissibile. Esso
infatti, per un verso, si risolve in una censura in fatto della decisione impugnata,
con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali
non consentita in questa sede di legittimità e per l’altro ripropone doglianze già
avanzate con l’atto d’appello senza provvedere ad un effettivo confronto critico con
l’apparato giustificativo del provvedimento impugnato.
1.2 L’atto di impugnazione non rispetta il requisito di cui all’art. 581 c.p.p., lett. c),
secondo il quale devono essere enunciati nell’atto di impugnazione “i motivi, con
l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta”. Tale norma ha l’evidente significato di imporre al titolare del diritto
di impugnazione di individuare i capi e i punti dell’atto impugnato che si intende
2

1. Con la sentenza del 29 settembre 2010 del Tribunale monocratico di Matera,

sottoporre a censura e di esprimere un vaglio critico in ordine a ciascuno di essi
formulando argomentazioni che espongano critiche analitiche (e, in definitiva, le
ragioni del dissenso rispetto alle motivazioni del provvedimento impugnato) le quali
siano capaci di contrastare quelle in esso contenute, al fine di dimostrare che il
ragionamento del giudice è carente o errato.
A tali regole si sottrae l’impugnazione redatta dal difensore dell’imputato, il quale
non ha esplicitato critiche specifiche in ordine al provvedimento della Corte
che riproduce anche graficamente l’atto di appello proposto dal difensore, cosi
ripetendo gli argomenti giuridici versati nel giudizio di appello, in modo disancorato
dalla motivazione del provvedimento impugnato, pur facendo precedere tale parte
dello scritto enunciativo da una propria ipotesi ricostruttiva dei fatti, sganciata dagli
elementi emersi nell’istruttoria dibattimentale di primo grado.
2. Il secondo motivo, con il quale si censura la contestazione della recidiva e la
mancata sospensione condizionale della pena, è in parte inammissibile per difetto di
interesse, non avendo i giudici di merito tenuto conto in alcun modo della recidiva
contestata nel calcolo della pena, ed in parte nuovo, perché in sede di appello non è
stato chiesto il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della
pena.
Peraltro agli atti vi è un certificato penale più recente di quello allegato dal
ricorrente, reso in data 24.1.2012, a richiesta dell’autorità giudiziaria, dal quale
risultano 5 iscrizioni, due delle quali per violenza privata (14.10.1999) e minaccia
aggravata (25.11.2002) e l’ultima, per il delitto di danneggiamento aggravato, in
giudicato dall’1.10.2007.
3. Il terzo motivo propone una questione non consentita in questa sede. Come già
affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, quando all’applicazione dell’indulto
non abbia provveduto il giudice della cognizione, procede a norma dell’art. 672 cod.
proc. pen. il giudice dell’esecuzione: conseguentemente il ricorso per cassazione
con il quale si lamenti la mancata applicazione del condono è ammissibile solo
quando il giudice di merito l’abbia erroneamente esclusa, con specifica statuizione
nel dispositivo della sentenza (Sez. 5 n 43262 del 22/10/2009, Albano, Rv.
245106; Sez. 3, n. 25135 del 15/04/2009, Renda, Rv. 243907; Sez. 3,
06/05/1993, Guglielmetti, Rv. 198065). Nel caso di cui ci si occupa la Corte
d’Appello non ha affatto escluso l’applicabilità del condono, ma si è limitata a non
trattare l’argomento; dovrà quindi occuparsene il giudice dell’esecuzione.
4. La rilevata inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare la prescrizione,
verificatasi in epoca successiva alla pronuncia di appello del 2 febbraio 2012 (i fatti
sono del 22 febbraio 2003, per cui, considerati i periodi di sospensione dal 25
febbraio 2009 al 29 settembre 2010, essa è compiuta il 25 marzo 2012).
3

d’appello di Potenza, ma ha sottoposto al giudice della impugnazione uno scritto

Ne conseguono, altresì, le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p., cori condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in
favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2013

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