Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18721 del 09/03/2017


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18721 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: DI PISA FABIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IDDIR AHCENE nato il 29/10/1964

avverso la sentenza del 18/05/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/03/2017, la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA
Udito il Procuratore Generale in persona di PIETRO GAETA il quale ha chiesto dichiararsi l’
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 18/05/2016, ha confermato la sentenza
del 28/10/15 con la quale il Giudice dell’ Udienza preliminare presso il Tribunale di Milano con
pronunzia in data 28/10/2015, a seguito di giudizio abbreviato, ha ritenuto Ahcene Iddir
responsabile dei reati di rapina impropria (capo a) e di resistenza a pubblico ufficiale (capo b),
oltre che del reato di cui all’ 73 comma 5 – così riqualificata l’originaria contestazione ex art. 73
DPR 309/90 – ( capo e) e ritenuta la continuazione tra i fatti sub a) e b), concesse le attenuanti
generiche, l’ha condannato alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed euro mille di
multa.

2. L’ imputato, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per Cassazione deducendo tre
motivi :

Data Udienza: 09/03/2017

- primo motivo: violazione di legge, motivazione omessa o, comunque, illogica e
contraddittoria, art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 56 e 628 cod. pen.
La difesa del ricorrente assume che Corte di appello non aveva considerato che poichè l’
imputato non aveva mai conseguito la effettiva disponibilità delle refurtiva in quanto aveva
operato sotto la vigilanza della vice-direttrice della profumeria o del direttore dell’ UPIM nonché
in ragione della presenza di un sistema di vigilanza elettronica doveva ritenersi configurabile l’
ipotesi tentata e non già quella consumata sebbene l’ autore del reato fosse stato fermato

-secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione.
Viene dedotto che l’ imputato non poteva rispondere del reato di cui al capo b) in quanto non
potevano concorrere l’ art. 628 comma 2 e l’ art. 337 cod. pen., sussistendo, altrimenti,
violazione dell’ art. 15 cod. pen.
Si osserva che, con il trattenimento dell’ Iddir ad opera di Alfonso Cinque direttore del centro
UPIM, si era già concretizzato il suo arresto ai sensi dell’ art. 380 comma 2 lett. f) e 383
comma 1 cod. proc. pen., di tal che non poteva affermarsi che la condotta violenta tenuta nei
confronti dei pubblici ufficiali fosse funzionale all’opporsi a tale atto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato.

2. L’ imputato, con il primo motivo, ripropone censure già sostanzialmente prospettate con i
motivi di appello, sulle quali la Corte territoriale ha esaurientemente risposto e questa Corte
non può sindacare il contenuto del convincimento dei giudici di merito ma solo la correttezza
delle affermazioni, la logicità dei passaggi tra premesse e conseguenze nonché la rispondenza
degli enunciati alle doglianze proposte dalla parte. In tema di sindacato del vizio di motivazione
non è certo compito del giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a
quella compiuta dai giudici di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a

dopo il superamento della barriera antitaccheggio;

fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito:
quando, come nella specie, l’obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal
giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria
dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli
argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento, la decisione non è censurabile in
sede di legittimità.

3. Va rilevato che la tesi del ricorrente secondo cui doveva ritenersi configurabile l’ ipotesi
tentata e non già quella consumata del reato di rapina è stata correttamente respinta dalla
corte territoriale.
3.1. Come ampiamente chiarito dal Supremo Collegio SU, n. 52117 del 17/7/2014, il
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fondamento della giustapposizione tra il delitto tentato e quello consumato (e del differenziato
regime sanzionatorio) risiede nella compronnissione – o meno – dell’interesse protetto dalla
norma incriminatrice.
In ipotesi di rapina il momento in cui si verifica la completa lesione patrimoniale è quello dello
spossessamento dell’avente diritto e del passaggio della cosa nella sfera di disponibilità
dell’agente, il reato di rapina deve, quindi, ritenersi consumato non appena si sia realizzato
l’impossessamento del beni.

l’impossessamento – che segna, come detto, la consumazione del delitto di rapina – è
sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo ed anche nello stesso
luogo in cui la sottrazione si è verificata, sotto il dominio esclusivo dell’agente mentre la
circostanza che il soggetto sia stato o venga inseguito e bloccato dalle forze dell’ ordine che lo
aveva osservato a distanza non vale ad escludere l’ ipotesi consumata, in quanto il criterio
distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua,
anche se per breve tempo, la piena ed effettiva disponibilità della refurtiva, come verificatosi
nella fattispecie in esame.
3.2. La Corte di appello ha ritenuto, infatti, comprovata la responsabilità dell’imputato in
ordine al contestato reato di rapina impropria consumata in ragione di quanto riportato nel
verbale di arresto del predetto effettuato in data 05/09/15 presso l’esercizio commerciale
UPIM dove erano intervenuti i Carabinieri su richiesta del direttore, Alfonso Cinque, che
aveva riferito di avere notato l’ Iddir mentre, dopo essersi aggirato nel punto vendita e già
allontanatosi dal locale profumeria Lillamoi, presente all’interno del centro commerciale,
aveva con sé due confezioni di profumo private delle placche antitaccheggio e nascoste sotto
gli abiti e che l’aveva fermato dopo che aveva oltrepassato le barriere esterne del magazzino
facendo suonare l’allarme; l’ Iddir aveva avuto una reazione violenta- spintonando
veementemente e tirando calci e pugni per riuscire comunque a scappare- non solo verso
Cinque ma anche nei confronti dei militari intervenuti, verso i quali, pure, sferrava calci e
pugni, tanto da causare anche una piccola ferita ad uno di loro, medicata in loco, elementi
fattuali confermati da Alfonso Cinque sentito in sede di s.i.t.
I giudici di merito, con motivazione congrua ed esaustiva, sono pervenuti alla detta
conclusioni in quanto l’ imputato aveva già completato la sottrazione del bene, superando
ben due punti di controllo, il primo uscendo dall’autonomo negozio di profumeria – cosa
diversa da un semplice reparto di vendita – LILLIAMOI dove nessuno si era accorto della
sottrazione e dell’agire dell’imputato, negozio inserito all’interno del più ampio complesso
UPIM, e superando anche le barriere di controllo di tale secondo esercizio.
L’imputato era stato sorpreso e bloccato dal direttore dell’ UPIM che aveva solo da lontano
visto cosa stava accadendo ed al suonare delle sbarre di uscita l’aveva rincorso e fermato,
scatenando le reazioni violente che caratterizzano l’ipotesi della rapina impropria.

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Deve ritenersi, invero, che ai fini della determinazione del momento in cui si verifica

4. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di impugnazione.
Infatti l’azione violenta posta in essere subito dopo la sottrazione della cosa nei confronti degli
agenti di polizia prontamente intervenuti integra gli estremi del reato di rapina impropria, e
tale reato concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’articolo 337 cod. pen.,
in considerazione della diversità dei beni penalmente protetti dalle due fattispecie, in tal caso
realizzandosi una tipica ipotesi concorso formale eterogeneo di reati.
In tale senso è stato osservato che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale non è assorbito in

criminose. (Sez. 6, n. 9476 del 11/12/2009 – dep. 10/03/2010, Arziliero e altri, Rv.
24640301).

5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla
declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in euro millecinquecento.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro millecìnquecento a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 Marzo 2017
,

quello di rapina, ma concorre con esso, stante la diversa oggettività giuridica delle due ipotesi

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