Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18719 del 04/04/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18719 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: SARACENO ROSA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NASIRI HAKIM N. IL 01/01/1993
avverso l’ordinanza n. 811/2016 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
23/06/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA
SARACENO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 04/04/2017

Udito il Sostituto Procuratore generale, in persona del dott. Alfredo Pompeo
Viola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 23 giugno 2016 il Tribunale di Bari, costituito ai

avverso il provvedimento di rigetto della domanda cautelare, emesso dal Giudice
per le indagini preliminari dello stesso Tribunale in data 12 maggio 2016,
applicava la misura della custodia cautelare in carcere a Nasiri Hakinn per il
delitto di cui all’art. 270 bis cod. pen..
1.1 In particolare, secondo la contestazione, il ricorrente si era associato con
altri (tra cui Ahnnadzai Qari Khesta e Ahmadzai Surgul) allo scopo di commettere
atti con finalità di terrorismo sia in territorio italiano che all’estero, costituendo
una cellula estremistica dedita alla jihad islamica, di supporto logistico ad
un’organizzazione
funzionalmente

eversiva
collegata

sovranazionale
all’organizzazione

di

matrice

confessionale,

terroristica

internazionale

denominata ISIS, che operava sulla base di un programma, condiviso con una
rete di analoghi ed affini gruppi, contemplante l’individuazione e l’ispezione
(anche con documentazione fotografica e video) dei possibili obiettivi (aeroporti,
porti, mezzi delle forze dell’ordine, centri commerciali, alberghi), l’acquisizione
della disponibilità di armi, la detenzione di materiale ideologico eversivo e di
strumenti di propaganda della jihad, il proselitismo e l’incitamento alla guerra
santa attraverso l’utilizzo di siti informatici nei quali si inserivano materiali di
natura militare, documenti propagandistici, sermoni incitanti ad azioni violente e
al sacrificio personale in azioni suicide.
1.2 L’attività di indagine era scaturita da un episodio specifico verificatosi il
16 dicembre 2015, allorché era stata segnalata la presenza sospetta di quattro
stranieri all’interno del centro commerciale Ipercoop di Bari. Costoro, identificati
in Nasiri Hakim, Ahmadzai Qari Khesta, Ahmadzai Surgul, Ahmadzai Mansoor, si
muovevano all’interno della struttura, mentre uno di essi era intento a filmare i
luoghi. Dai cellulari rinvenuti nella loro disponibilità, ad eccezione di quello
appartenente ad Ahmadzai Mansoor, risultato inviolabile per il tipo di tecnologia
di supporto, venivano estratti numerosi documenti informatici, fotografie, video,
ivi compreso quello eseguito immediatamente prima dell’intervento delle forze
dell’ordine, all’interno della struttura commerciale, con il cellulare di Ahmadzai

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sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., in accoglimento dell’appello proposto dal P.M.

Surgul. E l’analisi del ridetto materiale costituiva il punto di partenza degli
approfondimenti investigativi.
2. In premessa il Tribunale si è soffermato sulla posizione giuridica del
ricorrente e dei suoi coindagati Ahmadzai Qari Khesta e Ahnnadzai Surgul, tutti
legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato: i tre, di nazionalità
afghana, avevano presentato domanda di protezione internazionale, dichiarando
di essersi allontanati e di non poter far ritorno nel paese di origine a causa del
regime talebano che li aveva esposti a grave minaccia alla vita e alla persona (in

di origine per sottrarsi ad un arruolamento forzato dei talebani che volevano
proclamarlo loro capo per successione al fratello morto in un’azione di guerra).
Ai medesimi, privi di fonti di reddito e domiciliati presso il C.A.R.A. di Bari Palese,
era stata, infine, riconosciuta la protezione sussidiaria.
2.2 Ha, quindi, esaminato analiticamente le risultanze investigative:
– il materiale estrapolato dai dispositivi cellulari caduti in sequestro
(analizzato a campione alle pag. 9-29 del provvedimento) che attestava la chiara
adesione degli indagati all’ideologia di matrice islamica più radicale, consistendo
in documenti, foto, filmati, files di esaltazione del martirio, di incitamento alla
lotta contro gli infedeli, di sostegno alle azioni dei combattenti; in particolare i 44
files audio prodotti dal media talebano Al-Emara, scaricati e condivisi da
Ahmadzai Qari Khesta, avevano contenuti inequivocabili, tali apparendo quelli di
chiaro indottrinamento jihadista, di esaltazione dell’azione dei kamikaze, di
sostegno alla causa dei terroristi, di incitamento alla lotta armata per la
proclamazione dello stato islamico e per l’instaurazione di un clima di terrore per
gli infedeli: “i nemici andranno senza gambe piangendo, perché ci sono persone
come Mujaid Malik Umar (…) a un mujaid piace essere martire… noi abbiamo i
kamikaze…il bel tempo di jihad è arrivato”;
– le fotografie che ritraevano Nasiri Hakim in atteggiamenti irridenti e di
disprezzo all’indirizzo di icone della pace, quale l’immagine di Yousafzai Malala,
vittima di un attentato rivendicato dai talebani pakistani che l’avevano definita
“simbolo degli infedeli e dell’oscenità” o i messaggi postati che esternavano
disprezzo e odio nei confronti degli ebrei o le fotografie caricaturali di Barack
Obanna, additato come responsabile della lotta dell’occidente contro l’Islam;
– le immagini, rinvenute sui cellulari di Nasiri e Ahnnadzai Qari Khesta,
ritraenti fucili d’assalto kalashnikov, modello AK-47, dei quali erano evidenziati
alcuni particolari;
– i video estrapolati dal dispositivo cellulare in uso ad Ahmadzai Surgul,
girati a

Bari e a Londra, che erano da ritenersi connessi ad attività di

sopralluogo, ricognizione e individuazione di possibili bersagli a ragione delle
2

particolare Ahamadzai Qari Khesta aveva rappresentato di aver lasciato il paese

caratteristiche e della natura dei luoghi filmati (strutture commerciali, ingressi di
hotel, aeroporti, aree pedonali), di cui venivano ripresi esclusivamente le zone di
accesso e di passaggio: il filmato girato all’interno del centro commerciale di
Bari, alle ore 18.58 del 16.12.2015, della durata di 33 secondi, inquadrava un
corridoio ove insistevano gli ingressi dei singoli esercizi commerciali, il luogo
filmato non presentava attrattive turistiche, non vi era uno sfondo particolare,
ma solo gente in movimento ripresa di spalle, non comparivano i connazionali
dell’operatore che in quel momento lo accompagnavano, era ripresa in

del video girato con lo stesso cellulare, appena cinque giorni prima,
1’11.12.2015, alle ore 12.16 presso l’aeroporto di Bari Palese: breve durata della
ripresa (31 secondi), medesima zona attenzionata (zona di accesso alla struttura
e di passaggio), passeggeri ripresi solo di spalle, assenza di soggetti in posa o di
interesse specifico per l’operatore che, poco dopo, si imbarcava su un volo
diretto a Parigi; non diversa la natura delle riprese eseguite, sempre da
Ahmadzai Surgul, nell’estate 2015 a Londra: un filmato della durata di due
minuti e otto secondi che riprendeva l’area dei Royal Docks e, segnatamente la
London Cable Car e il vicino Crowne Plaza London (7.8.2015); un filmato della
durata di 58 secondi che riprendeva la South Quay Footbridge, passerella
pedonale in West India Dock (20.8.2015); un video della durata di un minuto e
venti secondi avente ad oggetto l’ingresso del Sunborn Yacht Hotel (27.8.2015);
video della durata di 24 secondi che riprendeva l’ingresso del centro commerciale
Port- Est West India Quay (31.8.2015). Tutti i filmati erano brevi, di nessun
interesse turistico, senza primi piani o persone raffigurate, avevano ad oggetto
luoghi normalmente assai frequentati per la presenza di edifici di natura
commerciale, di strutture ricettive o ricreative o più semplicemente destinati
esclusivamente al transito pedonale. Ai filmati si aggiungevano fotografie
scattate sempre con lo stesso cellulare ritraenti ingressi di altri hotel e aree
pedonali. Filmati e fotografie che sembravano rispondere a finalità di
catalogazione di luoghi, individuati con accortezza, tutti apparentemente
anonimi, ma accomunati dall’intensa frequentazione della popolazione delle città
in cui si trovavano;
– le foto rinvenute nel cellulare di Nasiri Hakim che ritraevano mezzi della
Polizia di Stato o camionette dei Carabinieri e in quello di Ahmadzaj Qari Khesta
ritraenti zone del porto di Bari e navi della marina mercantile, scatti eseguiti il
15.11.2015 in compagnia di Ahmadzai Mansoor;
– i continui spostamenti, in Italia e all’estero ., degli indagati con impiego di
disponibilità economiche affatto ingiustificate. Segnatamente: Nasiri Hakim
aveva dimorato a Birmingham quanto meno dal 16 marzo al 16 giugno 2015;

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particolare la zona di accesso e passaggio comune; medesime le caratteristiche

Ahmadzai Surgul si trovava a Londra nel periodo compreso tra il 29 luglio e il 31
agosto 2015; dal 9 al 15 dicembre 2015 si era spostato freneticamente in aereo
da Londra a Bari, da Bari a Parigi, da Parigi a Roma; Ahmadzai Qari Khesta nel
periodo dal 5 ottobre al 14 dicembre 2015 aveva effettuato numerosissimi viaggi
a Trieste e Roma, Londra, Parigi; il 15.12.2016, il giorno antecedente il controllo
che aveva dato l’abbrivio alle investigazioni, i due Ahmadzai si trovavano insieme
a Roma (Qari Khesta vi era giunto da Bari il giorno precedente, Surgul era
atterrato lo stesso giorno all’aeroporto di Fiumicino con un volo da Parigi); ivi

complessivo di euro 1.180 corrisposto in contanti; il 16.12.2015 avevano fatto
rientro a Bari e, poche ore dopo il loro arrivo, si erano incontrati con Nasiri e
Ahmadzai Mansoor presso il centro commerciale Ipercoop, procedendo a filmare
la struttura; il 18 dicembre erano partiti per Kabul, rientrando nel paese da cui
asseritamente si erano allontanati per sfuggire alle persecuzioni e
all’arruolamento forzato da parte dei talebani;
– la condizione degli indagati, stranieri privi di mezzi e di una qualche
occupazione lavorativa, che non era conciliabile con i frequenti spostamenti, tutti
di breve durata, e con l’accertata disponibilità di denaro, carte di credito, telefoni
di ultima generazione, di numerose schede telefoniche, prevalentemente estere,
frequentemente sostituite;
– l’anomala abitudine di conservare sui propri cellulari immagini di scontrini
relativi a transazioni apparentemente irrilevanti (ricevute di pagamento di hotel,
di pasti da asporto et similia), prassi che lasciava ipotizzare che quanto
fotografato contenesse informazioni da ricordare o avesse la funzione di
testimoniare la presenza in un dato luogo e in un dato momento;
– le foto estrapolate dalla memory card sequestrata al Nasiri, scattate sia il 7
che il 9 luglio 2015 che lo ritraevano imbracciare un fucile d’assalto M16, arma
imbracciata, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, da altro soggetto non
identificato che si trovava in sua compagnia;
– l’esame del traffico telefonico che aveva attestato l’esistenza di ben 212
contatti tra l’utenza di Ahmadzai Quari Khesta e quella di Nasiri (intestata a un
cittadino pakistano e attivata a Brescia) nel periodo compreso tra il 30.10.2015 e
il 6.3.2016, di cui 96 contatti con cadenza giornaliera sino al 17.12.2015, giorno
antecedente l’accertata partenza del primo per Kabul, e i successivi 116
intrattenuti dopo la partenza del connazionale, contatti proseguiti sino al giorno
della dismissione dell’utenza da parte del suo utilizzatore.
2.3 Appariva di conseguenza evidente, alla stregua dei dati fattuali
globalmente apprezzati e alla luce delle stabili e comprovate relazioni tra gli
indagati, l’esistenza di un gruppo, la cui attività non consisteva semplicemente
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avevano acquistato due biglietti aerei per la tratta Bari-Kabul, per un ammontare

in una generica adesione all’ideologia dell’ISIS, come sostenuto dal G.i.p, ma che
di questo mirava a propagandare, sostenere e supportare l’azione terroristica,
essendosi estrinsecata in comportamenti concreti diretti alla realizzazione delle
finalità associative, come indiziato dalle condotte di sopralluogo e di
individuazione di possibili obiettivi, dai rapporti intrattenuti in Italia e all’estero
testimoniati dai frequenti spostamenti, dalla disponibilità di almeno un’arma di
micidiale potenzialità lesiva e dall’interesse mostrato per le armi da guerra, dalle
ingiustificate disponibilità economiche.

adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere riposava sul concreto
pericolo di recidiva, emergente dalla gravità delle condotte in contestazione e
dalla pericolosità espressa dalla personalità dell’indagato, nonché sul pericolo di
fuga emergente dalla precarietà dell’attuale residenza, dall’assenza di attività
lavorativa, dalla comprovata capacità di spostamento, dai collegamenti e
appoggi internazionali ancora da definire ma che rendevano altamente probabile
un suo trasferimento all’estero.
3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Nasiri Hakim,
a mezzo del difensore avvocato Pasquale Puzziferri, chiedendone l’annullamento.
Denunzia:
a) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 581 e 591 cod. proc.
pen. con riferimento all’omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello di
parte pubblica, carente di riferimenti a fatti e circostanze che avrebbero dovuto
dare concretezza alle doglianze dell’impugnante. Il pubblico ministero,
richiamando e apoditticamente replicando il contenuto della preliminare
incolpazione,

non aveva addotto a sostegno del gravame alcun concreto

elemento indiziante l’esistenza e l’operatività della presunta cellula terroristica,
formulando censure generiche al provvedimento gravato e adducendo dati
equivoci, utilizzabili per qualunque gruppo di cittadini extracomunitari
appartenenti alla religione musulmana;
b)

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione

nell’analisi del quadro indiziario, essendo quello enucleato nell’ordinanza
impugnata inidoneo a provare il coinvolgimento del ricorrente nel gruppo
terroristico e la stessa sussistenza di una condotta riconducibile all’ipotesi di cui
all’art. 270 bis cod. pen., ossia il necessario elemento di una struttura
organizzativa, anche minima e concretamente operativa che superi la soglia della
mera adesione ideologica. Più in particolare, con riferimento alla posizione
dell’indagato, assente era la motivazione sull’attività di proselitismo e di
propaganda ad esso concretamente riferibile, né era stato spiegato come il
Nasiri, privo di attività lavorativa, avrebbe potuto finanziare o prestare

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2.4 Quanto alle esigenze cautelari si evidenziava che il giudizio di

assistenza agli associati; nullo il valore delle foto estrapolate dal suo cellulare, la
fotografia di un fucile o l’immagine caricaturale di un personaggio pubblico non
essendo sufficienti a supportare l’accusa di partecipazione ad un’associazione
terroristica; la circostanza che l’indagato si fosse fatto ritrarre imbracciando un
fucile all’interno di un supermercato, in luogo aperto al pubblico e senza destare
sospetto, induceva logicamente a ritenere che l’arma non fosse vera.
3.1 Con memoria depositata in data 15.11.2015, il difensore del ricorrente
contesta l’adozione del metodo unitario di lettura degli elementi di prova,

quadro indiziario volta a valutarlo in un’ottica complessiva, sono state
impropriamente valorizzate “situazioni” che, singolarmente considerate,
avrebbero autorizzato opzioni interpretative alternative ampiamente plausibili e
verosimili: così come la consultazione di siti internet di propaganda islamica da
parte di Ahmadzai Qari Khesta, verosimilmente mosso da semplice curiosità
ovvero da esigenze di conoscenza e di approfondimento di una realtà
“avversata”; così come i filmati raffiguranti gallerie commerciali o ingressi di
alberghi londinesi, eseguiti solo per l’attrazione esercitata sugli stranieri dalle
tipiche manifestazioni di ricchezza e di opulenza dell’occidente industrializzato;
così come gli spostamenti all’estero frequenti tra gli immigrati, aspiranti ad
insediarsi in paesi che garantiscono maggiori possibilità occupazionali.

Considerato in diritto

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare nel suo complesso infondato.
2. Non assistito da fondamento è il motivo con il quale (per la prima volta in
questa sede) si eccepisce l’inammissibilità dell’appello del P.m. avverso il rigetto
della domanda cautelare per mancanza di specificità dei motivi, sostenendo che
l’atto di impugnazione si sarebbe risolto

“in mere affermazioni di principio,

astratte e tautologiche, senza alcun riferimento a dati fattuali enucleabili dalla
vicenda concreta” e senza alcuna indicazione di elementi oggettivi a sostegno
dell’esistenza e dell’operatività del gruppo criminoso.
La censura si risolve, invero, nella contestazione del peso probatorio degli
elementi offerti dall’accusa e non nel difetto di specificità del gravame che, per
come emerge dal testo del provvedimento impugnato, si è concentrato sulla
gravità indiziaria, esclusa dal G.i.p., con puntuale censura dei punti contestati e
analitica illustrazione degli elementi indiziari che confutavano la valutazione
negativa, conseguente ad una lettura incompleta, frazionata e parcellare degli
elementi di prova. Secondo orientamento consolidato di questa Corte è
inammissibile per difetto di specificità l’appello del P.m. avverso l’ordinanza
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rappresentando in particolare che mediante una tecnica di ricostruzione del

reiettiva della domanda cautelare motivato con mero richiamo al contenuto
dell’originaria richiesta, mentre nel caso in esame, come si ricava dalla lettura
dell’ordinanza (p. 3 e 4) l’appellante ha specificamente contestato la conclusione
del primo decidente in ordine all’assenza di elementi da cui desumere risvolti
operativi dei contenuti ideologici del materiale trovato nei dispositivi elettronici
degli indagati, partitamente indicando gli indici integranti, secondo
prospettazione accusatoria, il mininnum organizzativo e il carattere operativo del
gruppo investigato.

dell’impugnazione avrebbe sopperito alla genericità del gravame, estendendo la
sua cognizione al di là del devolutum, attraverso la valorizzazione di fatti e
circostanze non indicati nel contesto espositivo dell’atto impugnatorio. A parte
l’infondatezza del rilievo, giova rammentare che come l’appello del pubblico
ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal giudice del dibattimento,
salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell’originaria contestazione,
attribuisce tradizionalmente al giudice ad quem gli ampi poteri decisori elencati
nell’art. 597, comma 2, lett. b), del codice di rito ed ha effetto pienamente
devolutivo, con la conseguenza che il giudice dell’appello è legittimato a
verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della
motivazione della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di
specifica critica, anche l’impugnazione del pubblico ministero avverso l’ordinanza
di rigetto della richiesta cautelare devolve al tribunale investito dell’appello una
cognizione non limitata ai singoli punti oggetto di specifica censura, ma
all’integrale verifica delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla legge per
l’adozione della misura restrittiva della libertà personale. “Le singole censure
racchiuse nei motivi di gravame del pubblico ministero segnano dunque le
ragioni del disaccordo rispetto al provvedimento reiettivo e delimitano i confini
dell’originaria domanda cautelare con specifico riguardo alle posizioni degli
imputati e alle imputazioni, cioè ai fatti ed alle circostanze oggetto della
contestazione (…) ma i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell’appello
de libertate, pur nel rispetto del perimetro disegnato dall’originaria domanda
cautelare, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all’intero thema
decidendum, (…), poiché il tribunale della libertà funge, in tal caso, non solo
come organo di revisione critica del provvedimento reiettivo alla stregua dei
motivi di gravame del P.M., ma anche come giudice al quale è affidato il poteredovere di riesaminare ex novo la vicenda cautelare nella sua interezza” al fine di
verificare la sussistenza delle condizioni e dei presupposti di legge e di
eventualmente adottare il provvedimento genetico della misura all’esito di uno
scrutinio che risponda ai criteri di concretezza e attualità degli indizi e delle
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2.1 Nemmeno coglie nel segno il rilievo secondo cui il giudice

esigenze cautelari (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli e altro, punto 3.2
del Considerato in diritto).
3. Venendo all’esame delle ulteriori deduzioni difensive che denunziano
carenze e illogicità motivazionali sotto il profilo della ritenuta gravità indiziaria, le
doglianze illustrate mirano a proporre una diversa lettura fattuale delle risultanze
acquisite, ponendosi ai limiti dell’ammissibilità.
3.1 Va ribadito che, in materia cautelare, allorché sia denunciato con ricorso
per cassazione vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del

merito sullo spessore, sulla concludenza e sul significato probatorio del quadro
indiziario esula dalle funzioni del giudice di legittimità, al quale compete
verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto – con gli
adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare,
non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della
responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza- delle ragioni
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, senza alcun
potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda indagata e il peso degli
indizi che il Tribunale del riesame ha ritenuto idonei a supportare l’applicazione
della misura coercitiva. Il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la
ricostruzione dei fatti e non sono consentite censure che, pur formalmente
investendo la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede
di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti
alla previsione della norma incriminatrice.
E sotto tale profilo l’ordinanza impugnata non incorre nei vizi denunciati,
non presentando una motivazione carente o soltanto apparente e risultando
argomentata in modo coerente e logico con valutazione probatoria rispondente a
criteri di completezza, globalità ed unitarietà dell’esame, a differenza della
valutazione atomistica e parcellizzata proposta nel ricorso.
3.2 II provvedimento impugnato, nella disamina e valutazione dei dati
fattuali sottoposti al suo esame, ha fatto, innanzitutto, corretto richiamo e
corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in
relazione al reato di cui all’art. 270 bis cod. pen., fattispecie di natura complessa
e suscettibile di svariate declinazioni pratiche, per la cui integrazione è
sufficiente «l’esistenza di una struttura organizzata, anche elementare, che
presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del

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riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il sindacato di

progetto criminoso e tale da giustificare la valutazione di pericolosità» (Sez. 1, n.
1072 del 11/10/2006, dep. 2007, Bouyahia Maher, Rv. 235289; Sez. 5, n. 2651
del 8/10/2015, dep. 2016, Nasr Osama, Rv. 265924). Con particolare
riferimento al terrorismo di matrice ideologica islamica questa Corte ha
ripetutamente affermato (per tutte Sez. 6, n. 46308 del 12/07/2012,
Chabchoub, Rv. 253944), «con riferimento a strutture organizzative “cellulari” o
“a rete” – caratterizzate da estrema flessibilità e in grado di rimodularsi secondo
le pratiche esigenze che di volta in volta si presentano, in condizione di operare

telefonici, informatici) anche discontinui o sporadici tra i vari gruppi in rete» che
la fattispecie delittuosa di cui all’art. 270-bis cod. pen. deve ritenersi integrata ovviamente in presenza del necessario elemento soggettivo – anche da un
sodalizio che realizza condotte di supporto all’azione terroristica di organizzazioni
riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla
diffusione di documenti di propaganda, all’assistenza agli associati, al
finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi, alla predisposizione o
acquisizione di documenti falsi, all’arruolamento, all’addestramento, ossia a tutte
quelle attività funzionali all’azione terroristica, alcune delle quali integranti anche
fattispecie delittuose autonome, “fuori dai casi di concorso nel reato di cui all’art.
270-bis c.p.” (vedi artt. 270-ter, 270- quater e 270-quinques cod. per9.
Del tutto corretta è, per conseguenza, l’affermazione che per l’integrazione
del delitto contestato non era necessario che la struttura in esame avesse
materialmente posto in essere condotte violente o tutte le condotte che la
giurisprudenza ha individuato come sintomatiche della concretezza dei propositi
criminosi dell’associazione, essendo sufficiente la prova anche di una o di alcune
di esse, apprezzate sulla base di dati concreti e non di mere supposizioni ché,
pur configurandosi il delitto in esame con natura di pericolo presunto, tale
anticipata tutela non può comportare la criminalizzazione di condotte che
rimangano confinate sul piano della mera ideazione o adesione psicologica ad
un’ideologia pur violenta ed estrema, essendo indubitabilmente sottile la linea di
confine fenomenologica tra la libertà di manifestazione, anche collettiva, di una
ideologia, in forme legittime, e la partecipazione ad un’associazione con finalità
terroristica a prescindere o prima della commissione di reati-fine, in presenza di
una struttura organizzativa rudimentale, flessibile e a volte del tutto
spontaneistica rispetto al collegamento con esponenti dell’ISIS o di altre
organizzazioni terroristiche internazionali. In tale seconda ipotesi la valutazione
di rilevanza penale non potendo prescindere da un’analisi rigorosa della
configurazione degli elementi, pur se minimi, di manifestazione della

contemporaneamente in più Paesi, anche in tempi diversi e con contatti (fisici,

composizione organizzativa di uomini e di attività prodromiche alla commissione
di eventuali reati fine.
3.3 Nella fattispecie, il Tribunale, a dispetto delle carenze o aporie segnalate
dal ricorso dell’indagato, ha plausibilmente valorizzato una serie articolata di
elementi, riportata per sintesi in fatto al par.2.2, dai quali, con motivazione
esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente dai vizi rilevabili in
questa sede, è stata nel complesso desunta la sussistenza del necessario quadro
di gravità indiziaria in relazione al reato ipotizzato, ritenuto nella specie

In particolare ha escluso la riconduzione della vicenda esaminata nell’alveo
della sola manifestazione di adesione ideologica al radicalismo fondamentalista,
poiché ad essa si erano in concreto “accompagnati seri propositi criminali diretti
alla realizzazione delle finalità associative, svelati, nella loro allarmante
pericolosità, dalle condotte di sopralluogo di possibili obiettivi, dal mantenimento
costante di collegamenti con soggetti, allo stato ancora sconosciuti, in territorio
italiano e all’estero, dalla disponibilità di almeno un’arma e dall’interesse
comunque mostrato per tipi di armi (kalashnikov) tristemente noti per il loro uso
in azioni di guerra e, infine, dalle disponibilità economiche necessarie per
finanziare gli incessanti spostamenti”.
Privi di giustificazione e insuscettibili di interpretazioni alternative, erano da
ritenersi i filmati, oggettivamente anomali, di centri commerciali, ingressi di
hotel, aeroporti, zone destinate al solo transito pedonale, eseguiti a Bari e
soprattutto a Londra a partire dall’estate del 2015 da Ahmadzai Surgul. E tale
materiale, secondo la non implausibile interpretazione offertane dal Tribunale,
che ha valorizzato la natura dei luoghi attenzionati, accomunati dalla
caratteristica di essere intensamente frequentati, la tipologia delle riprese (tutte
di breve durata, eseguite frettolosamente, per lo più in orari serali o notturni)
come pure l’assenza di riprese o di scatti di diversa tipologia, doveva ritenersi
indicativo di una vera e propria attività di ricognizione e catalogazione di possibili
bersagli, al pari delle foto scattate da Ahmadzai Qari Khesta nel porto di Bari e di
quelle conservate nel cellulare di Nasiri che lo ritraevano in orario serale sempre
in prossimità di mezzi in uso alle forze dell’ordine. Condotte, quelle della
individuazione, sopralluogo e documentazione dei possibili obiettivi, sicuramente
integranti attività preparatorie e oggettivamente sintomatiche di progetti
operativi concreti e realizzabili.
Sintomatici sono apparsi, altresì:
– i continui spostamenti (minuziosamente ricapitolati a p. 39 e s.) sul
territorio italiano e all’estero (Londra e Parigi) effettuati da Ahnnadzai Surgul e
Ahamadzai Qari Khesta (ma anche Nasiri risulta aver dimorato per un breve

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configurabile nei suoi elementi costitutivi essenziali.

periodo in Inghilterra), privi di alcuna apparente giustificazione lecita, indicativi
di un collegamento effettivo e continuato con altri soggetti e, soprattutto, senza
la possibilità di risalire alla fonte di finanziamento dei viaggi. Spostamenti della
durata di pochi giorni (al massimo due), intensificatisi nell’ultimo mese prima
della partenza dei due per Kabul, sovente contraddistinti da ulteriori
comportamenti anomali, quali quelli di fotografare e conservare nella memoria
del cellulare le ricevute di transazioni apparentemente irrilevanti, mercé le quali
si intendeva documentare la propria presenza in un certo luogo e in un dato

– l’ingiustificata disponibilità di carte di credito, danaro in contante, telefoni
cellulari, schede telefoniche frequentemente cambiate per ragioni di evidente
segretezza delle conversazioni e utilizzo comune di cellulari e utenze;
– il condiviso interesse per le armi, in particolare per i fucili d’assalto
kalashnikov, testimoniato dalle foto rinvenute nei dispositivi cellulari di
Ahamadzai Quari Khesta e di Nasiri Hakim e l’allarmante constatazione
dell’effettiva disponibilità da parte del ricorrente di un fucile di assalto MI6,
imbracciando il quale Nasiri, in due distinte occasioni, si era fatto immortalare
all’interno di un negozio di alimentari verosimilmente inglese, presso il quale
l’indagato, per come emerso dai messaggi postati, aveva prestato per breve
tempo attività lavorativa.
Elementi che, unitariamente valutati, come hanno osservato i giudici
dell’appello, non si riducevano al tratto comune (della cui ricorrenza nemmeno il
G.i.p. ha dubitato), rappresentato dall’appartenenza al mondo dell’integralismo
islamico e dall’adesione ideologica al radicalismo fondamentalista proiettato
verso l’ideologia della guerra santa jihadista e verso l’esaltazione del martirio,
tratto affatto dissonante “con lo status giuridico acquisito dagli indagati nel
nostro Paese” nè all’esistenza di un consesso velleitario di uomini incapaci di
assumere iniziative sul mondo esterno e legati esclusivamente dal comune
sentire ideologico, ma davano ragione, nella fluidità della fase cautelare e degli
elementi indiziari da valutare, dell’esistenza di una composizione organizzativa
di uomini e di concrete attività prodromiche alla commissione di eventuali reatifine, dell’esistenza di un gruppo “coordinatosi, sotto l’egida di una comune
ideologia estremista, per studiare ed individuare possibili obiettivi, mantenendo,
nel frattempo, anche grazie la disponibilità di danaro di fonte ignota, contatti
interni ed internazionali tutti da definire, ma certamente gravemente indiziari” e
potendo altresì contare sulla concreta disponibilità di armi.
4. Fermo quanto precede, le doglianze del ricorrente inerenti all’adeguatezza
del quadro indiziario valorizzato dal Tribunale si risolvono nella prospettazione di
una diversa valutazione delle circostanze esaminate, sollecitando un controllo e

11

tempo;

un sindacato non appartenente al giudice di legittimità il cui compito – va ribadito
– è solo quello di verificare che il giudice di merito abbia dato adeguatamente
conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro
indiziario a carico dell’indagato offrendo motivazione congrua in ordine alla
valutazione degli elementi indizianti; controllo di logicità, peraltro, che deve
rimanere all’interno del provvedimento impugnato, non essendo possibile
procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi di prova o a un
diverso esame dei dati materiali e fattuali delle vicende indagate.

superare il vaglio di legittimità: quello positivo consistente nell’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che l’hanno determinato; quello negativo
rappresentato dall’assenza di illogicità evidenti, risultanti prima facie, e, dunque,
dall’assenza di argomentazioni incongrue rispetto al fine giustificativo del
provvedimento.
A fronte, le censure sviluppate, che propongono una lettura frazionata degli
elementi di prova, appaiono in larga parte generiche e meramente confutative
laddove negano la presenza di indicatori fattuali indizianti l’esistenza e
l’operatività dell’ipotizzata struttura associativa, versate in fatto laddove
propongono una alternativa interpretazione del materiale estratto dai cellulari dei
coindagati Ahmadzai Qari Khesta e Ahmadzai Surgul, infondate laddove
minimizzano, banalizzandoli, gli elementi emersi a carico dell’indagato che, si
assume, mostrerebbero al più la sua appartenenza al mondo dell’integralismo
islamico, la mera adesione psichica alla sua ideologia o al massimo
l’esternazione, anche se in forme non continenti, delle sue idee. Ma il ricorso
tace sulla conclamata assiduità dei rapporti con gli altri indagati e in particolare
con Ahmadzai Qari Khesta, registrati con cadenza giornaliera anche durante i
suoi frequenti spostamenti in Italia e all’estero, sulla sostituzione di schede
telefoniche, sulla diretta partecipazione dell’indagato nell’attività di sopralluogo
presso il centro commerciale barese, sulla disponibilità da parte dello stesso di
un’arma micidiale, la cui natura di arma vera non è stata posta in dubbio
nemmeno dal primo decidente e nemmeno smentita dall’indagato, essendo
quella dell’arma giocattolo tesi indimostrata e mero argomento dialettico e
confutativo svolto dalla difesa dell’indagato.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria è richiesta di trasmettere copia del presente provvedimento al
Tribunale di Bari perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92 disp. att. cod.
proc. pen..

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E l’ordinanza impugnata risponde ad entrambi i requisiti richiesti per

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmesso al Tribunale distrettuale di Bari perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 92 disp. att. cod. proc. pen. Manda la Cancelleria per gli immediati
adempimenti a mezzo fax.

Il onsigliere stensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017

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