Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18718 del 04/12/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18718 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ABBINANTE RAFFAELE nato il 15/08/1950 a MARANO DI NAPOLI
ABBINANTE FRANCESCO nato il 13/11/1975 a REGGIO EMILIA
PARIANTE VINCENZO nato il 08/02/1952 a NAPOLI

avverso la sentenza del 23/09/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Uditi i difensori avvocato DAVINO CLAUDIO del foro di NAPOLI in difesa di
ABBINANTE RAFFAELE
ABBINANTE FRANCESCO
PARIANTE VINCENZO che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso
e l’annullamento della sentenza impugnata;
avvocato MARAZZITA ANTONINO del foro di ROMA in difesa di
ABBINANTE FRANCESCO che chiede l’accoglimento del ricorso e l’annullamento
della sentenza impugnata;
avvocato GIANZI GIUSEPPE ANTONIO del foro di ROMA in difesa di
PARIANTE VINCENZO che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso

Data Udienza: 04/12/2017

e l’annullamento della sentenza impugnata.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di
Napoli, in riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli appellata da
Abbinante Raffaele, Abbinante Francesco, Pariante Vincenzo, Di Lauro Cosimo e
Carriola Lucio, assolveva Di Lauro Cosimo e Carriola Lucio dai reati loro ascritti;
confermava, invece, la condanna di Abbinante Raffaele, Abbinante Francesco e
Pariante Vincenzo alla pena dell’ergastolo e di Pariante Rosario, non ricorrente,

Abbinante Raffaele è stato condannato per il concorso nel tentato omicidio
premeditato di Montanino Fulvio e dei connessi reati relativi alle armi, commessi
nel mese di settembre 2004 (capi A e B); Abbinante Raffaele, Abbinante
Francesco e Pariante Vincenzo per il delitto di concorso in omicidio premeditato
ed aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 1 0 cod. pen. di Montanino Fulvio e Salierno
Claudio, uccisi con numerosi colpi di mitraglietta e di pistola il 28/10/2004,
nonché dei connessi reati relativi alle armi; in detto omicidio Abbinante Raffaele
è indicato essere uno dei mandanti mentre Abbinante Francesco e Pariante
Vincenzo come facenti parte del gruppo che aveva proceduto all’agguato, benché
da loro non materialmente commesso (capi C e D).
La responsabilità degli imputati è stata affermata sulla base di dichiarazioni
di numerosi collaboratori di giustizia.
Secondo il Giudice di primo grado, l’omicidio di Montanino Fulvio era stato
deciso per colpire Cosimo Di Lauro, a capo dell’omonimo clan, di cui Montanino
era stretto collaboratore; al clan Di Lauro si contrapponevano gli scissionisti
guidati da Raffaele Amato e Cesare Pagano, nonché gli storici vertici del clan:
Rosario Pariante, Raffaele Abbinante, Antonio Abbinante e i loro collaboratori
Arcangelo Abete, Gennaro Marino e Francesco Abbinante.
Secondo la ricostruzione accolta dai giudici di merito, l’omicidio di Montanino
era stato deciso da Arcangelo Abete, Gennaro Marino, Rosario Pariante e
Raffaele Abbinante: in questo senso erano le dichiarazioni dei collaboratori Luigi
Secondo e Carmine Cerrato e le ammissioni di Rosario Pariante, che aveva
riferito di avere personalmente ordinato di uccidere Montanino in quanto vicino a
Cosimo Di Lauro. Raffaele Abbinante aveva dato la sua adesione alla decisione
che era stata condivisa da tutti, tra cui Vincenzo Pariante.
In particolare, la decisione era stata condivisa da Raffaele Amato in una
riunione in Spagna, in occasione della creazione del “cartello degli scissionisti”,
cui erano presenti anche Arcangelo Abete e Vincenzo Pariante, nonché Carmine
Cerrato, successivamente collaboratore di giustizia; a quell’epoca era già stato
eseguito il tentativo di omicidio di Montanino di cui al capo A, contestato nel
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alla pena di anni dodici di reclusione.

presente giudizio al solo Raffaele Abbinante.
Secondo i collaboratori, Vincenzo Pariante e Francesco Abbinante erano stati
coinvolti nell’esecuzione dell’omicidio. Vincenzo Pariante non solo era il portavoce
del fratello Rosario, all’epoca detenuto, ma aveva partecipato alle fasi
preparatorie del delitto, sia recandosi in Spagna all’incontro con Raffaele Amato,
sia chiedendo il contributo di Francesco Abbinante che, in quell’epoca, da
latitante dirigeva sul campo uno dei tre gruppi degli scissionisti. Il
coinvolgimento degli Abbinante era avvenuto su pressione di Salvatore Cipolletta

Da parte sua, Francesco Abbinante, richiesto di collaborare nell’omicidio,
aveva designato due killer, Carputo e Marzocchi che, peraltro, non avevano
partecipato al delitto. Tuttavia, era stato ritenuto il suo concorso morale
nell’omicidio, poiché la sua disponibilità aveva rafforzato il proposito criminoso
del gruppo che stava organizzando l’omicidio.
La Corte territoriale rilevava che la contrapposizione tra il gruppo di Cosimo
Di Lauro, di cui Montanino era stretto collaboratore, e quello degli scissionisti di
cui facevano parte gli Abete, i Marino, i Pagano e i Pariante, non è posta in
discussione; ricordava, inoltre, che Rosario Pariante aveva ammesso di avere
ordinato l’omicidio di Montanino e che, in sede dibattimentale, avevano ammesso
la loro responsabilità anche Arcangelo Abete, Gennaro Marino, Ciro Mauriello,
Cesare Pagano e Carmine Pagano.
Con riferimento alla posizione di Raffaele Abbinante, la Corte osservava che
la chiamata in correità operata da Luigi Secondo aveva trovato un puntuale
riscontro in quella successiva di Rosario Pariante, cosicché tali dichiarazioni
erano sufficienti per confermare la responsabilità dell’imputato.
Luigi Secondo, affiliato al clan Amato – Pagano, in occasione della scissione
del clan Di Lauro si era schierato con Gennaro Marino e aveva partecipato, tra
l’altro, all’organizzazione dell’omicidio Montanino. Richiesto di riferire chi avesse
organizzato l’omicidio di Montanino, aveva indicato come mandanti Arcangelo
Abete, Gennaro Marino, Cesare Pagano e Raffaele Amato, aggiungendo che gli
Abbinante erano d’accordo e consentivano all’omicidio e ricordando che,
all’epoca, solo Francesco Abbinante era libero. Il collaboratore aveva indicato
come movente dell’omicidio la volontà di compiere un’azione dimostrativa nei
confronti di Cosimo Di Lauro. Tre dei quattro soggetti indicati come mandanti,
Pagano, Marino e Abete, avevano ammesso la loro responsabilità.
Le dichiarazioni di Secondo erano state riscontrate da quelle di Rosario
Pariante quanto al ruolo di Raffaele Abbinante. Secondo il collaboratore,
Abbinante aveva anche motivi di rancore personale nei confronti di Montanino.
L’ordine era stato dato nel corso delle udienze da parte dei detenuti rinchiusi

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su Guido Abbinante.

nelle gabbie ai sodali presenti dopo che Rosario Pariante aveva parlato con i
fratelli Abbinante. L’omicidio era stata una risposta a quello di Bizzarro, di cui era
stato indicato come responsabile Cosimo Di Lauro.
Secondo la Corte, le dichiarazioni di Rosario Pariante erano costanti nel
tempo; le imprecisioni in cui Pariante era incorso erano giustificate per la
distanza temporale dai fatti e per il fatto che il collaboratore riferiva il più
episodi omicidiari avvenuti in un breve lasso di tempo. Le censure della difesa
con riferimento alle dichiarazioni di Luigi Secondo, invece, non riguardavano la

I collaboratori erano attendibili soggettivamente e le dichiarazioni avevano
un’attendibilità estrinseca.
Anche Carmine Cerrato del ’76, parlando di un incontro avvenuto in Spagna,
aveva riferito che gli emissari (Vincenzo Pariante, Gennaro Marino e Arcangelo
Abete), parlavano anche per gli Abbinante e, in particolare, per Raffaele
Abbinante, che egli sapeva essere detenuto. Le dichiarazioni erano state rese
due giorni prima di quelle di Luigi Secondo.
Il fatto che alcuni collaboratori di giustizia non riferissero del coinvolgimento
di Raffaele Abbinante nell’omicidio era neutro, né rilevanti erano le dichiarazioni
di altri collaboratori, che avevano desunto il ruolo di Raffaele Abbinante dal suo
interesse nella vicenda, pur non avendone avuto diretta conoscenza.
Il coinvolgimento di Francesco Abbinante, invece, era stato riferito da
Giovanni Piana con dichiarazioni rese a tre anni di distanza dai fatti. Piana aveva
riferito di essere stato presente quando Gennaro Notturno, Arcangelo Abete e
Vincenzo Pariante erano giunti per incontrare Francesco Abbinante al fine di
ottenere due persone di fiducia che avrebbero dovuto far parte del gruppo di
fuoco che doveva uccidere Montanino; il collaboratore aveva sentito Francesco
Abbinante indicare le persone di Vincenzo Marzocchi e Giuseppe Carputo e
metterli a conoscenza dell’incarico; Piana sapeva anche che, quando Gennaro
Notturno era passato a prendere Marzocchi e Carputo per portarli nel punto di
ritrovo del gruppo di fuoco, i due non si erano fatti trovare.
Luigi Secondo, da parte sua, aveva riferito che Francesco Abbinante aveva
mandato dei killer e aveva dato la disponibilità per dare appoggio nella zona
sotto il suo controllo: secondo la Corte, tale versione riscontrava quella di Piana,
anche se era influenzata dalla limitata conoscenza dei fatti da parte di Secondo.
Ulteriore riscontro era giunto dalle dichiarazioni, rese dopo la sentenza di
primo grado, da Pasquale Riccio, da ritenersi autonome ed attendibili, in
mancanza di prova di un recepimento manipolatorio di altre dichiarazioni. Riccio
aveva riferito di avere saputo da Piana dell’incontro due giorni dopo che era
avvenuto. Inoltre, insieme ad altri era stato convocato da Francesco Abbinante,

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specifica accusa formulata nei confronti di Raffaele Abbinante.

che aveva riferito del colloquio con Arcangelo Abete e aveva detto a Carputo e a
Mazzocchi di mettersi a disposizione. Si trattava di dichiarazioni logiche e
coerenti, nonché spontanee. Riccio aveva ammesso di aver fatto parte del clan
Abbinante e di avere partecipato all’omicidio di Dell’Oioio.
In definitiva, Francesco Abbinante non solo era a conoscenza dell’avvenuta
deliberazione da parte dei vertici dell’associazione detenuti dell’omicidio
Montanino, ma, in quanto unico soggetto libero e latitante, aveva fornito il
proprio contributo per la sua realizzazione. La circostanza che i due soggetti

irrilevante.
Anche la posizione di Vincenzo Pariante dipendeva dalle dichiarazioni di Luigi
Secondo, che non erano ritenute generiche; esse non contraddicevano quelle di
Carmine Cerrato classe ’76, che aveva fatto riferimento ad un viaggio in Spagna
nel mese di gennaio 2004, in quanto i viaggi in Spagna erano frequenti e, quindi,
doveva ritenersi che i due collaboratori si riferissero ad occasioni differenti.
Luigi Secondo aveva riferito quanto avvenuto sotto la sua percezione: la
volontà di Rosario Pariante veicolata dal fratello Vincenzo; era irrilevante che egli
non fosse in grado di riferire l’epoca in cui tale direttiva era stata impartita,
poiché ai partecipi interessava soltanto conoscere le decisioni del capo detenuto.
Rigettando un’argomentazione difensiva, che evidenziava che Rosario
Pariante, ammettendo la propria responsabilità, non aveva riferito di un
coinvolgimento del fratello Vincenzo, la Corte territoriale osservava che
l’assunzione di responsabilità da parte di Rosario Pariante non era idonea ad
escludere la responsabilità del fratello Vincenzo: in effetti, Rosario Pariante non
aveva esplicitamente escluso un contributo del fratello alla realizzazione della
deliberazione omicidiaria, né i viaggi all’estero del fratello, i contatti con i vertici
dell’associazione che si trovavano in Spagna e i colloqui intrattenuti con lui sia
prima che dopo l’applicazione del regime di cui all’art. 41 bis ord. pen.
In definitiva, la responsabilità di Vincenzo Pariante dipendeva dalle
dichiarazioni di Giovanni Piana, Biagio Esposito, Carmine Cerrato classe ’76 e
Luigi Secondo.
La Corte confermava la sussistenza delle aggravanti della premeditazione e
di quella di cui all’art. 7 d.l. 152 del 1991 e rigettava i motivi di appello che
invocavano le attenuanti generiche.

2. Ricorre per cassazione l’avv. Claudio Davino quale difensore di Raffaele
Abbinante Raffaele e Francesco Abbinante, deducendo distinti motivi.
Con un primo motivo il ricorrente deduce mancanza e manifesta illogicità
della motivazione.

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designati a far parte del gruppo di fuoco non si fossero fatti trovare era

La motivazione della sentenza di appello non può essere implicita: il giudice
di appello deve confrontarsi con gli elementi di fatto e con le ragioni di diritto
esposti dall’appellante. La Corte territoriale si era limitata a richiamare
integralmente la motivazione della sentenza di primo grado, senza sottoporla ad
alcun vaglio critico e senza esaminare e valutare gli specifici motivi di
impugnazione proposti dagli appellanti, né esaminare la memoria depositata
davanti al giudice di primo grado. A sua volta, la sentenza di primo grado
riproduceva alla lettera l’ordinanza cautelare e non teneva in alcun conto le

depositate prima dell’inizio del giudizio di primo grado.
Con riferimento al movente dell’omicidio di Montanino, uomo di fiducia di
Cosimo Di Lauro, la difesa aveva esposto l’ipotesi che il delitto fosse stato la
“prova di fedeltà” che Arcangelo Abete aveva dato a Cesare Pagano: ipotesi che
escludeva una responsabilità degli Abbinante. Il Giudice di appello non aveva
preso in considerazione la prospettazione.

Viene trattata la posizione di Francesco Abbinante.
Nell’atto di appello, la difesa aveva sottolineato che la chiamata in correità
di Giovanni Piana nei suoi confronti era isolata e non convergeva con quelle di
Luigi Secondo e Biagio Esposito.
La sentenza di appello non aveva fatto alcun richiamo alle dichiarazioni di
Biagio Esposito, pure utilizzate da quella di primo grado. La Corte territoriale
indicava quelle dichiarazioni come “neutre”; al contrario, la difesa aveva
evidenziato che esse sostenevano l’estraneità degli Abbinante alla decisione
sull’omicidio Montanino e quella di Francesco Abbinante alla sua esecuzione.
Infatti, secondo Esposito, alla data del 29/11/2004 (quindi in epoca successiva
all’omicidio) gli Abbinante non erano stati ancora contattati.
Inoltre, la difesa aveva evidenziato che la sintesi delle dichiarazioni di Luigi
Secondo effettuata dagli inquirenti non corrispondeva al loro contenuto e che era
evidente una progressione accusatoria delle dichiarazioni del collaboratore
pulsato dall’interrogante. Luigi Secondo aveva indicato Raffaele, e non
Francesco, come rappresentante della famiglia Abbinante; di Francesco non
aveva fatto il nome, salvo rispondere affermativamente alla domanda del P.M.
che lo faceva; si parlava di un nipote di Raffaele Abbinante (di cui Francesco è il
figlio), vale a dire Pasquale Riccio. Il collaboratore era stato spinto ad affermare
che Francesco Abbinante aveva inviato dei killer per l’omicidio Montanino, senza
che gli fosse nemmeno mostrata una fotografia.
Per di più, Secondo non aveva riferito che gli Abbinante erano d’accordo per
l’omicidio di Montanino, ma solo che Raffaele e i fratelli, non il figlio Francesco,

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risultanze delle trascrizioni delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

ne erano a conoscenza; secondo il collaboratore, gli Abbinante avevano
condiviso la decisione sulla scissione, non quella dell’omicidio Montanino.
Si trattava, inoltre, di teste de relato che non aveva indicato la sua fonte.
La sentenza di appello riportava soltanto un passo delle dichiarazioni e non
aveva preso in considerazione i rilievi difensivi.
Anche le dichiarazioni di Giovanni Piana erano state travisate. La difesa
aveva fatto rilevare, da una parte l’inverosimiglianza della versione secondo cui
Francesco Abbinante, all’epoca latitante, fosse facilmente reperibile; dall’altra che

faceva confusione sull’epoca degli incontri che indicava essere avvenuti all’inizio
della scissione, cioè prima che fosse stato deliberato l’omicidio Montanino.
Gli altri collaboratori non riferivano alcunché sulla partecipazione di
Francesco Abbinante: nemmeno Luigi Secondo, uomo di fiducia di Marino, né i
cugini Cerrato. Inoltre, la mancata partecipazione al gruppo di fuoco di Carputo e
Marzocchi poteva essere derivata da un contrordine dato da Raffaele Abbinante,
con il quale essi avevano avuto visite in carcere e che era contrario all’omicidio,
secondo quanto riferito da Salvatore Torino.
La difesa del ricorrente, in sede di discussione orale davanti alla Corte
territoriale, aveva inoltre sostenuto che le dichiarazioni di Pasquale Riccio non
potevano fungere a riscontro lquelle di Piana, poiché Riccio aveva ricevuto le
informazioni dallo stesso Piana; inoltre Riccio sosteneva che i gruppi di fuoco a
Varcaturo erano comandati da Giovanni Esposito e da lui stesso, e non da
Francesco Abbinante.
Il ragionamento dei giudici era circolare: ritenevano che la partecipazione di
Francesco e Raffaele Abbinante costituisse un riscontro incrociato per i due
imputati, senza prendere in considerazione le ipotesi alternative rappresentate
dalla difesa, come un veto all’omicidio da parte di Raffaele Abbinante o la
desistenza da parte di Francesco Abbinante.
Il ricorrente ricorda la testimonianza di Maurizio Prestieri secondo cui
Francesco Abbinante era una “mosca bianca” all’interno del gruppo.

Passando a trattare la posizione di Raffaele Abbinante, il ricorrente ricorda
che nell’atto di appello aveva evidenziato discrasie, divergenze, contraddizioni e
illogicità nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Rosario Pariante aveva inizialmente riferito che la decisione di uccidere
Montanino era stata adottata come risposta all’omicidio di Luigi Aliberti; solo
successivamente, resosi conto che la versione era insostenibile, per la data dei
due omicidi e per quella nella quale era stato posto in regime di cui all’art. 41 bis
ord. pen., aveva modificato la versione, sostenendo invece che la decisione era

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si trattava di dichiarazioni incostanti e contraddittorie. In realtà, il collaboratore

una reazione all’omicidio di Federico Bizzarro. Inoltre, le due versioni
confliggevano tra loro sui particolari del colloquio avuto in aula con Abete.
L’appellante aveva fatto rilevare che, all’epoca dell’omicidio di Bizzarro,
Abete e Ronga, che avevano parlato con Rosario Pariante in aula, facevano
ancora parte del clan Di Lauro: di conseguenza, non avrebbero mai indicato
Cosimo Di Lauro come responsabile dell’omicidio che, secondo altri collaboratori,
avevano eseguito proprio loro (Ronga lo aveva confessato).
Inoltre la versione di Rosario Pariante, di avere dato mandato ad Arcangelo

confliggeva con quella di altri collaboratori.
Luigi Secondo aveva individuato in Abete e Marino i soggetti che avevano
indicato a Cesare Pagano il Montanino come obiettivo dell’omicidio, al posto dei
figli di Di Lauro. Con questo omicidio, Abete e Marino volevano dare; segno di
vicinanza ad Amato e a Pagano. In nessun modo il collaboratore riferiva di un
mandato di Rosario Pariante e di Raffaele Abbinante. Rosario Pariante mentiva:
l’omicidio Montanino era stato deciso su spinta di Marino e Abete che cercavano
di creare un gruppo autonomo da Pariante, mantenendo una posizione ambigua:
discutere con Amato-Pagano della scissione e uccidere ancora per i Di Lauro.
Solo nel mese di settembre i due avevano deciso di schierarsi definitivamente.
Rosario Pariante era all’oscuro della decisione adottata di uccidere
Montanino, come risultava chiaramente dalla testimonianza di Luigi Secondo,
cosicché non esisteva alcun mandato da parte sua, nemmeno a nome di Raffaele
Abbinante al quale Secondo non faceva alcun riferimento; il collaboratore aveva
soltanto immaginato che Pariante fosse a conoscenza del proposito di uccidere
Montanino, ma non lo aveva saputo direttamente.
L’appellante aveva fatto notare che, secondo la versione di Secondo, la
discussione su chi avrebbe dovuto essere ucciso era proseguita sino alla fine:
circostanza incompatibile con un mandato preciso dato da Rosario Pariante ad
Abete.
La motivazione della sentenza su questo aspetto era generica e non
esaminava in alcun modo le censure difensive.
Allo stesso modo non erano esaminate le argomentazioni difensive che
facevano leva sulle dichiarazioni rese dagli altri collaboratori.
In particolare, Biagio Esposito aveva escluso che gli Abbinante fossero stati
contattati per la scissione prima del novembre 2004 ed aveva confermato che
l’omicidio Montanino era stato deciso da Abete, Marino, Amato e Pagano.
Da parte sua, Carmine Cerrato classe ’71 aveva presentato una versione del
tutto differente della scissione dai Di Lauro: a Rosario Pariante era stato chiesto
un parere solo nel mese di maggio 2004, epoca in cui ancora non era stata

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Abete di uccidere Montanino in una delle udienze del mese di maggio 2004,

decisa l’uccisione di Montanino, che sarebbe stata deliberata solo nel mese di
settembre, quando Pariante si trovava già in regime di cui all’art. 41 bis ord.
pen.. In ogni caso, il collaboratore non aveva menzionato Raffaele Abbinante tra
le persone che avevano deliberato l’omicidio.
Era stato individuato, poi, un diverso motivo per uccidere Montanino: la
notizia che questi aveva avuto l’incarico di eliminare gli Amato – Pagano.
Nel mese di maggio 2004, poi, Abete e Marino erano ancora vicini ai Di
Lauro, tanto che erano stati inviati in Spagna per scoprire dove alloggiassero

In definitiva, contrariamente a quanto sostenuto da Rosario Pariante, dopo
l’omicidio Bizzarro non vi era stata alcuna decisione, che era stata presa molti
mesi dopo.
Erano rilevanti anche le dichiarazioni di Luca Menna, ma il giudice non le
aveva prese in considerazione: Menna aveva indicato Pagano, Amato, Marino ed
Abete come coloro che avevano deciso l’omicidio di Montanino, senza riferire
alcunché riguardo a Raffaele Abbinante.
Anche Antonio Prestieri aveva escluso con certezza che Raffaele Abbinante
fosse tra i mandanti e aveva riferito che la decisione di uccidere Montanino era
stata presa a settembre 2004.
Da parte sua, Salvatore Torino aveva riferito che, a sua conoscenza,Raffaele
Abbinante avrebbe voluto evitare l’omicidio Montanino.
Analogamente Giuseppe Misso aveva individuato i mandanti in Abete,
Notturno e Gennaro Marino, Raffaele Amato, Cesare Pagano e Cipolletta. Anche
Michelangelo Mazza non individuava Raffaele Abbinante tra coloro che avevano
deciso il delitto.
La sentenza aveva evitato di confrontarsi con tutti gli elementi evidenziati
dalla difesa e, quindi, di valutare effettivamente l’attendibilità soggettiva dei
chiamanti e quella oggettiva del narrato: un chiaro vizio di motivazione.
La motivazione risultava apparente anche con riferimento alla condanna per
il tentato omicidio contestato al capo A dell’imputazione, essendo stata
riprodotta la motivazione della sentenza di primo grado.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche,all’aggravante
dei motivi abietti e a quella di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.

3. L’avv. Davino propone ricorso per cassazione nell’interesse di Vincenzo
Pariante, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte territoriale si era limitata a richiamare integralmente, salvo qualche

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Amato e Pagano.

minima interpolazione, la motivazione della sentenza di primo grado nella parte
in cui affermava la responsabilità del ricorrente, senza sottoporla ad alcun vaglio
critico e senza affrontare i motivi di impugnazione, né il contenuto della memoria
depositata in sede di conclusioni dalla difesa dell’imputato.
Ricordando la diversa ricostruzione del movente dell’omicidio già esposto
con riferimento alle altre posizioni, il ricorrente osserva che, se il mandato di
Rosario Pariante al fratello Vincenzo di uccidere Montanino fosse stata una
risposta all’omicidio Bizzarro, avvenuto nell’aprile 2004, sarebbe caduto nel

Abete, quando si era recato in Spagna nel maggio 2004, non aveva ancora
aderito alla scissione. La decisione di uccidere Montanino era stata presa a
ridosso dei primi tentativi e a prenderla erano stati Amato, Pagano, Abete e
Marino.
Il giudice di appello non aveva preso in adeguata considerazione le
argomentazioni esposte nell’atto di appello: vengono ricordate le dichiarazioni di
Biagio Esposito e di Luigi Secondo ed evidenziato come Vincenzo Pariante si era
recato in Spagna solo nel gennaio 2004 mentre non aveva partecipato agli
incontri a Varcaturo tra Cesare Pagano, Gennaro Marino e Arcangelo Abete; era
stato Marino a spingere per l’esclusione di Vincenzo Pariante. Il collaboratore non
riferiva di alcun mandato da parte di Rosario Pariante.
Viene ancora analizzata la versione di Carmine Cerrato cl. ’76,
evidenziandone la contraddittorietà con riferimento all’epoca in cui Vincenzo
Pariante era andato in Spagna e ai motivi del viaggio: Cerrato sosteneva che il
viaggio di Vincenzo Pariante in Spagna risaliva al mese di settembre 2004,
mentre Luigi Secondo lo posizionava nel mese di gennaio 2004 (quando la
decisione di uccidere Montanino certamente non era stata presa); in realtà, non
era possibile che il viaggio fosse avvenuto nel mese di settembre, perché Marino
si era sentito tradito per il fatto che, nel mese di gennaio, Vincenzo Pariante si
era recato in Spagna insieme ad Abete, tanto da ipotizzarne l’uccisione.
Il collaboratore mentiva, sia nell’indicare anche Salierno come possibile
obiettivo dell’azione criminosa, sia nel sostenere già avvenuta la scissione nel
mese di gennaio 2004, sia nel riferire che Vincenzo Pariante si era recato in
Spagna nel mese di settembre per riferire il mandato ad uccidere Montanino da
parte del fratello Rosario, di cui lo stesso Rosario Pariante non aveva affatto
riferito.
La Corte territoriale aveva omesso di provvedere anche sulle argomentazioni
esposte nell’atto di appello relative alle dichiarazioni di Giovanni Piana. La difesa
aveva fatto rilevare, da una parte l’inverosimiglianza della versione secondo cui
Francesco Abbinante, allora latitante, fosse facilmente reperibile; dall’altra che si

lo

vuoto perché, all’epoca, Arcangelo Abete era ancora legato al clan Di Lauro.

trattava di dichiarazioni incostanti e contraddittorie.
Inoltre, nell’atto di appello era stato evidenziato che tutti gli appartenenti
alla famiglia Prestieri escludevano la partecipazione dei Pariante all’omicidio
Montanino e che Rosario Pariante non aveva riferito di avere dato un mandato al
fratello Vincenzo, ma di avere incaricato direttamente Arcangelo Abete in una
delle udienze di maggio 2004 del processo a suo carico.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di

generiche, aggravante dei motivi abietti e aggravante ex art. 7 legge 203 del
1991.

3. Ricorre per cassazione per Vincenzo Pariante anche l’avv. Giaquinto,
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte territoriale, come il giudice di primo grado, si era limitata ad una
riproduzione stereotipata dei contributi dichiarativi dei collaboratori di giustizia
senza procedere ad un pregnante vaglio degli stessi.
L’ipotesi che la sentenza aveva adottato era che Rosario Pariante avesse
acconsentito all’omicidio di Montanino e comunicato la sua volontà al fratello
Vincenzo nel corso dei colloqui sostenuti nell’istituto carcerario; Vincenzo
Pariante avrebbe proceduto a comunicare tale assenso agli altri affiliati.
In realtà, il collaboratore di giustizia Luigi Secondo aveva riferito che
Vincenzo Pariante si era recato in Spagna, insieme ad Arcangelo Abete, nel mese
di gennaio 2004 per manifestare l’appoggio a Raffaele Amato nella guerra contro
Cosimo Di Lauro. Successivamente, poiché Gennaro Marino si era sentito tradito
da Abete, questi si era offerto di uccidere Vincenzo Pariante: così sosteneva il
collaboratore di giustizia, ma si trattava di circostanza palesemente falsa.
La decisione di uccidere Montanino era stata presa alcuni mesi dopo; la
Corte territoriale aveva creduto alle dichiarazioni di Secondo, per il quale
Vincenzo Pariante aveva riferito dell’assenso del fratello Rosario all’omicidio,
dopo avergli parlato in carcere, senza tenere conto che Rosario Pariante, dal
mese di giugno 2004, si trovava in regime di cui all’art. 41 bis ord. pen. e che i
fatti erano iniziati un mese prima dell’omicidio.
In realtà, Rosario Pariante aveva escluso di avere veicolato la sua volontà
all’esterno durante i colloqui in carcere con il fratello Vincenzo.
Da parte sua, Carmine Cerrato cl. ’76 aveva fornito una diversa versione del
viaggio di Vincenzo Pariante in Spagna per incontrare Raffaele Amato,
posizionandolo nel mese di settembre 2004 e non – come affermato da Luigi
Secondo – nel mese di gennaio 2004.

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motivazione con riferimento alle decisioni in punto di diniego delle attenuanti

Le dichiarazioni di Cerrato contrastavano con quelle dell’omonimo Carmine
Cerrato classe ’71, che aveva riferito di incontri tra soggetti diversi e in epoca
diversa: contrasto risolto sbrigativamente dalla sentenza impugnata con
l’osservazione che i viaggi in Spagna erano frequenti. Secondo Carmine Cerrato
classe ’71, Vincenzo Pariante aveva incontrato Pagano e Amato a Barcellona per
riferire che il fratello Rosario era d’accordo a fare la guerra contro Cosimo Di
Lauro, senza peraltro esprimersi con riferimento ad un obiettivo specifico della
guerra. L’individuazione di Fulvio Montanino come obiettivo sarebbe avvenuta

Gennaro Marino in un incontro in cui Vincenzo Pariante non era presente.
Si trattava di dichiarazioni ignorate dalla sentenza che non affrontava e non
risolveva i contrasti tra le diverse versioni dei collaboratori di giustizia.
Da parte sua, Rosario Pariante aveva fornito una versione ancora differente,
attribuendosi la paternità del mandato omicidiario e precisando che il nome di
Fulvio Montanino come soggetto da colpire era stato deciso insieme agli
Abbinante nel corso di un’udienza e comunicato ad Arcangelo Abete e Antonio
Ronga che erano venuti ad assistervi. La decisione di uccidere Montanino,
secondo Pariante, era stata una reazione all’omicidio di Federico Bizzarro,
avvenuto il 26/4/2004. Rosario Pariante, secondo la sua versione, non aveva
affatto comunicato il mandato omicidiario al fratello Vincenzo.
La motivazione della sentenza non affrontava le diversità delle versioni; né
era sufficiente la sottolineatura secondo cui Rosario Pariante non aveva escluso i
viaggi all’estero del fratello né i colloqui con lo stesso in carcere.
La sentenza non aveva valutato adeguatamente nemmeno i motivi di
gravame concernenti le dichiarazioni di Biagio Esposito e di Giovanni Piana: il
primo si riferiva ad un viaggio in Spagna di Vincenzo Pariante in epoca assai
anteriore all’individuazione di Fulvio Montanino come obiettivo dell’agguato e
riportava, comunque, dichiarazioni de relato; il secondo, nel riferire che Vincenzo
Pariante aveva chiesto a Francesco Abbinante di procurargli due persone fidate
da inserire nel gruppo di fuoco, aveva riconosciuto all’imputato un ruolo
decisionale che nessuno in precedenza gli aveva attribuito e riferito circostanze
prive di riscontro.
In effetti, circostanza dirimente non affrontata dalla Corte territoriale era
l’inutilità del ruolo di Vincenzo Pariante come portavoce del fratello Rosario,
detenuto, atteso che questi aveva già trasmesso la decisione direttamente ad
Abete e Ronga; né i colloqui intrattenuti da Vincenzo Pariante con il fratello
Rosario dopo la sottoposizione dello stesso al regime di cui all’art. 41 bis ord.
pen. permettevano di trasmettere un ordine di questo genere.
Oltre ad essere contrastanti tra loro, le dichiarazioni dei collaboratori di

12

solo nel mese di settembre 2004 ad opera dei vertici del clan Amato – Pagano e

giustizia erano prive di riscontri con riferimento ai viaggi compiuti da Vincenzo
Pariante in Spagna.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento al riconoscimento delle aggravanti, al diniego delle
attenuanti generiche e alla mancata esclusione della recidiva.

1. I primi motivi dei tre ricorsi sono fondati e impongono l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata.
I restanti motivi sono di conseguenza assorbiti.

Il vizio motivazionale della sentenza impugnata si coglie verificando che le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state utilizzate in maniera tale da
comporre un quadro apparentemente “sufficiente”, ai sensi dell’art. 192, comma
3, cod. proc. pen., ma cancellando o ritenendo in ogni caso irrilevante qualsiasi
elemento che potesse far dubitare della sua tenuta complessiva: in questo modo
sostanzialmente ignorando le difformità tra le varie dichiarazioni, ma anche la
complessità di quanto avvenuto nell’anno 2004, in cui si susseguirono il
“riposizionamento” di numerosi soggetti all’interno dei gruppi camorristici,
accordi, tentativi di tregua, delitti ecc.
L’atteggiamento del giudice di appello emerge con evidenza con riferimento
a due dati eclatanti: il motivo per cui era stato deciso l’omicidio di Fulvio
Montanino, indicato da Rosario Pariante prima come risposta a quello di Luigi
Aliberti e solo in un secondo momento come reazione a quello (precedente) di
Bizzarro, nonché l’epoca e il numero dei viaggi in Spagna di Vincenzo Pariante
(uno o due? Gennaio e/o settembre 2004?). In entrambi i casi la Corte sorvola
su tali significative difformità e, per la seconda questione, propone una soluzione
fin troppo semplice, che cioè i viaggi in Spagna erano frequentissimi e che,
verosimilmente, Vincenzo Pariante ne aveva fatti più di uno, cosicché ciascuno
dei collaboratori di giustizia aveva riferito su quello di cui era a conoscenza; ma,
anche rispetto alla prima difformità, la sentenza non affronta le conseguenze
della modifica della versione di Rosario Pariante: non si pone, cioè, la domanda
se, alla data dell’omicidio Bizzarro, Abete e Ronga fossero interlocutori possibili
(il ricorrente sostiene che essi, all’epoca, erano ancora legati a Cosimo Di Lauro),
soprattutto perché era stato proprio Ronga ad eseguire l’omicidio di cui quello
Montanino sarebbe stata la reazione.

1

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. In realtà, non viene risolto in maniera convincente ed esplicito il quesito
di fondo: chi aveva deciso l’omicidio di Fulvio Montanino, e quando esso era
stato effettivamente deciso.
Secondo Rosario Pariante, la decisione – con l’individuazione dell’obiettivo
dell’agguato – era stata presa da lui insieme a Guido e Raffaele Abbinante in
quella “riunione operativa” tenuta in una gabbia dell’aula di udienza nel mese di
aprile 2004, con l’immediata comunicazione ad Arcangelo Abete e a Ronga
Antonio, presenti in aula. La sentenza (pag. 35) riporta: “gli demmo il mandato

Luigi Secondo, invece, indica i soggetti che avevano deciso l’omicidio
Montanino in Arcangelo Abete, Gennaro Marino, Cesare Pagano e Raffaele
Amato; i Pariante e gli Abbinante “erano a conoscenza di questa cosa”, “erano
d’accordo”. La notizia che Rosario Pariante era d’accordo non veniva, però,
direttamente da Arcangelo Abete (che, si ricordi, Rosario Pariante aveva indicato
come destinatario del mandato ad uccidere Montanino da lui manifestato in
aula), ma dal fratello Vincenzo, che si recava ai colloqui in carcere con Rosario.
Ma anche il motivo dell’individuazione di Montanino come vittima è
variamente presentato dai collaboratori che riferiscono che egli fu ucciso perché
stretto collaboratore di Cosimo Di Lauro o perché era stato incaricato di uccidere
Amato e Pagano, come sostiene Carmine Cerrato cl. ’71, o addirittura perché
Raffaele Abbinante aveva motivi personali di rancore nei suoi confronti, ovvero
perché Salvatore Cipolletta aveva insistito per questa decisione con Guido
Abbinante; quesiti di sicuro rilievo non affrontati nella sentenza impugnata.

3. La lettura integrale dei verbali di interrogatorio di Luigi Secondo (pag. 33
– 47 sentenza di primo grado) sembra dimostrare che la convinzione della Corte
territoriale, in base alla quale “la chiamata in correità di Secondo Luigi operata
nei confronti di Raffaele Abbinante ha trovato un puntuale riscontro nella
successiva chiamata in correità di Pariante Rosario”) sia stata raggiunta evitando
di affrontare l’articolazione del racconto del collaboratore cui si contrappone la
apparente “linearità” di quello di Rosario Pariante.
In effetti, Secondo fa riferimento a numerosi colloqui, alla discesa definitiva
di Cesare Pagano a Napoli solo alla fine del mese di settembre 2004 (quando il
tentato omicidio di Montanino era già stato eseguito), alla “prova di amore” che
Gennaro Marino (che era il suo capo diretto) ed Arcangelo Abete volevano dare a
Raffaele Amato e a Cesare Pagano (quindi un movente dell’omicidio diverso
dall’esecuzione dell’ordine proveniente da Rosario Pariante e Raffaele
Abbinante), alle discussioni in ordine all’obbiettivo dell’agguato proseguite fino
all’ultimo (l’obbiettivo alternativo a Montanino erano i figli di Di Lauro).

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di uccidere Montanino”.

Di fronte al racconto della discussione finale (“Vi fu un’ennesima discussione
tra Pagano Cesare e Marino Gennaro, là dove il primo ribadiva che voleva la
morte di Cosimo Di Lauro e dei figli di Paolo Di Lauro, mentre Marino ribadiva
che lui non riteneva opportuno uccidere i figli di Paolo Di Lauro e che sarebbe
stato un bel colpo per lui uccidere Montanino Fulvio. Stanco di queste
discussioni, Abete Arcangelo si inserì nella conversazione e, rivolto a Pagano
Cesare, disse che entro due ore da quel momento egli avrebbe ucciso Montanino
Fulvio, diventando così operativa e concreta la scissione … questa proposta

si sarebbe operato per l’agguato, per le divergenze insorte, voleva presso di sé i
figli o di Marino o di Abete”), la figura di Rosario Pariante e, si direbbe, ancora di
più quella di Raffaele Abbinante, risultano del tutto evanescenti, mentre la
“sentenza di morte” pronunciata nell’aula in cui si celebrava il processo nel mese
di maggio 2004 è del tutto assente.

4. Anche le considerazioni svolte dall’appellante Francesco Abbinante, ora
ricorrente, in ordine alle modalità con cui Luigi Secondo era giunto ad indicarlo
come partecipe dell’organizzazione dell’agguato (da esso traendosi altresì il
riscontro che Raffaele Abbinante era uno dei mandanti) non sembrano essere
state prese in adeguata considerazione dalla sentenza impugnata.
In particolare, l’appellante aveva evidenziato che nelle trascrizioni integrali
delle dichiarazioni del collaboratore emergeva che gli Abbinante, di cui Raffaele
era indicato come rappresentante, erano d’accordo sulla scissione, che,
comunque, essi erano detenuti e che il
l’identificazione di Francesco Abbinante nel

nipote di Abbinante era latitante;
nipote era stata sostanzialmente

compiuta dal P.M., mentre questi è il figlio di Abbinante pentrei Pasquale Riccio è
il nipote.
La questione di una incomprensione delle domande da parte del
collaboratore non viene affrontata dalla Corte territoriale.

5.

Scendendo all’analisi delle singole posizioni, emerge, comunque, il

problema – quanto a Raffaele Abbinante – della rispondenza della prova esposta
in sentenza ai dettati dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.: in effetti, a fronte
delle dichiarazioni di Rosario Pariante, a suo dire “testimone” diretto del
consenso dato da Raffaele Abbinante all’omicidio Montanino, stanno quelle de
relato di Luigi Secondo, la cui fonte di conoscenza non è indicata ed è comunque,
incerta, addirittura non apparendovi certezza se il consenso di Raffaele
Abbinante all’esecuzione dell’omicidio fosse, almeno in parte, presunto dal
collaboratore, o desunto da una valutazione complessiva del “quadro” in

15

operativa di Abete convinse Pagano Cesare il quale gli chiese, però, che mentre

movimento di cui faceva parte.
Come si è detto, l’inserimento in questo quadro della partecipazione di
Francesco Abbinante appare “forzata” nelle parole del collaboratore, e forse
nemmeno troppo convinta.

Inoltre non vengono adeguatamente valutate le dichiarazioni di altri
collaboratori, tra cui quelle di Biagio Esposito – per il quale gli Abbinante erano
del tutto estranei alla decisione di uccidere Montanino – e di Maurizio Prestieri –

all’insaputa di Rosario Pariante.

6. L’incertezza relativa alla posizione di Raffaele Abbinante si ripercuote
inevitabilmente anche su quella di Francesco Abbinante.
In effetti, l’affermazione secondo cui le dichiarazioni di Giovanni Piana sono
riscontrate da quelle di Luigi Secondo e da quelle di Pasquale Riccio (rese dopo la
sentenza di primo grado) non sembrano tenere conto delle specifiche
contestazioni sull’attendibilità del Piana mosse dall’appellante (e riprodotte in
ricorso), sul silenzio di Secondo in ordine all’incontro nel quale era stato chiesto
l’ausilio a Francesco Abbinante, sul possibile significato della mancata
partecipazione volontaria di Marzocchi e Carputo all’omicidio nonostante la loro
designazione, sulla dipendenza delle dichiarazioni di Riccio da quelle di Giovanni
Piana, che era la sua fonte di conoscenza, sulla sua dipendenza operativa da
Giovanni Esposito.

7. La mancata approfondita analisi delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia si riscontra anche con riferimento alla posizione di Vincenzo Pariante.
Si è già fatto riferimento alla questione dell’epoca e del numero dei viaggi in
Spagna attribuiti all’imputato; altro tema rilevante è il ruolo di Vincenzo Pariante
di “portavoce” di Rosario Pariante, quando – come si è detto – Rosario Pariante
avrebbe comunicato la decisione di far uccidere Montanino direttamente a Ronga
ed Abete. Appare fin troppo semplice la risposta all’obiezione del giudice di
appello, secondo cui Rosario Pariante non aveva

negato il ruolo del fratello,

poiché le dichiarazioni di Rosario Pariante sembrano configurare un percorso
diverso, se non alternativo.

Il ricorrente, comunque, evidenzia che le date e i partecipanti ai viaggi in
Spagna diversamente riferiti dai vari collaboratori portano con sé ricostruzioni
differenti delle dinamiche decisionali e non possono essere semplicemente

oggetto di una sommatoria. In particolare, secondo Carmine Cerrato cl. ’71,
Vincenzo Pariante non aveva affatto portato in Spagna il consenso del fratello

16

per il quale la decisione dell’omicidio era stata decisa da Raffaele Abbinante

Rosario ad uccidere Montanino, ma solo quello ad iniziare la guerra contro
Cosimo Di Lauro, in un momento in cui il progetto omicidiario e l’obiettivo non
erano stati ancora definiti.
Il ruolo limitato di Vincenzo Pariante pare desumersi anche da quanto
riferito da Biagio Esposito e Luigi Secondo, anche con riferimento alla fase
esecutiva del delitto.

8. In definitiva, la Corte territoriale sembra aver eluso il ruolo del giudice di

dall’appellante alla motivazione della sentenza di primo grado e alle
prospettazioni alternative tratte dal materiale probatorio.
Come già anticipato, l’esito appare una semplificazione di un quadro che,
invece, risulta complesso, sia sotto il profilo del succedersi degli eventi dell’anno
2004, sia sotto quello delle dichiarazioni spesso difficilmente compatibili dei vari
collaboratori di giustizia.

Il Giudice del rinvio provvederà, quindi, ad un’analisi più approfondita e più
convincente degli atti di appello, colmando, nell’autonomia del suo giudizio, le
lacune motivazionali sopra evidenziate.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione
della Corte di assise di appello di Napoli.

Così deciso il 4 dicembre 2017

appello, che è quello di rispondere specificamente alle censure mosse

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