Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18695 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18695 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASALINO JONATHAN nato il 08/07/1985 a MILANO

avverso l’ordinanza del 14/09/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;
lette le conclusioni del PG dr. Luca Tampieri, che ha chiesto l’annullamento con
rinvio dell’ordinanza impugnata

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Milano con ordinanza del 14-28 settembre 2017 ha
rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione che era stata
avanzata da Jonathan Casalino a causa della custodia cautelare patita, prima, in
carcere (dal 23 giugno al 5 ottobre 2012) e, poi, agli arresti domiciliari (dal 6 al
30 ottobre 2012), prima di essere assolto, 1’11 febbraio 2014, dalla Corte di
assise di Milano con la formula “perché il fatto non sussiste”, in relazione
all’accusa di omicidio preterintenzionale, per avere, con atti diretti a commettere

discoteca, cagionato la morte dello stesso, fatto commesso il 23 giugno 2012.

2.

Ricorre tempestivamente per la cassazione dell’ordinanza Jonathan

Casalino, tramite difensore, che denunzia promiscuamente erronea applicazione
di legge penale (art. 314 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione del
provvedimento in ordine alla sussistenza della colpa grave in capo al ricorrente.
Ripercorso l’antefatto, sintetizza il ricorrente le ragioni dell’impugnata
ordinanza, fondate sulla emersione dei seguenti fatti:
il decesso di Moccia immediatamente successivo alla colluttazione;
l’evidente stato di alterazione di Moccia, che aveva un tasso alcolemico pari
a 2,55 grammi / litro;
l’avere Casalino colpito Moccia con due botte in faccia.
Ciò posto, la Corte di appello ha ritenuto che Casalino avrebbe dovuto e
potuto «allontanarsi, senza reagire alle […] offese verbali [di Moccia], prima che

questi lo potesse aggredire fisicamente», poiché «Si desumeva […] che avrebbe
potuto allontanarsi senza ricorrere alle botte, stante il carattere evidente di
estrema debolezza dell’antagonista» (p. 4 dell’ordinanza impugnata).
Ebbene, partendo da tali assunti – che si stimano da parte del ricorrente
parziali – i Giudici di merito hanno ritenuto sussistente colpa grave, con
motivazione che addita ad illogica e contraria alle risultanze processuali.
La stessa Corte di appello riporta (alla p. 4) un breve stralcio
dell’interrogatorio di garanzia dell’imputato dal quale risulta che Casalino,
rispondendo al G.i.p., ha descritto Moccia come – sì – ubriaco ma non certo in
condizioni di estrema debolezza ed ha parlato di un’aggressione fisica patita dal
Moccia, riscontrata peraltro da un’escoriazione alla mano verificata nell’autopsia,
e che la versione di Casalino è conforme alle risultanze della sentenza della Corte
di Assise, prodotta in atti, ove si legge testualmente (rispettivamente alle pp. 41
e 25) che «l’istruttoria ha fatto emergere che Casalino Jonathan aveva colpito

con due manate Moccia Vincenzo perché quest’ultimo, chiaramente ubriaco, lo
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A

lesioni o percosse, cioè colpendo al volto Vincenzo Moccia, all’interno di una

aveva poco prima importunato andandogli contro con la testa, colpendolo con un
colpo al volto, proferendo una frase apparentemente minacciosa. La reazione
dell’imputato che poteva temere a ragione di essere nuovamente aggredito dalla
parte lesa, appare quindi del tutto proporzionata all’aggressione subita, tenuto
conto dei colpi ricevuti ed infetti e della necessità di allontanare da sé Moccia» ed
anche che «E’ provato […] che Casa/io reagì all’aggressione mentre questa era

stata appena espressa. La reazione quindi si manifesta chiaramente come tesa a
interrompere la situazione creata dal Moccia. Quindi Casa/io reagì nell’attualità
del pericolo dell’offesa ricevuta».

grave, contrariamente peraltro a plurimi insegnamenti di legittimità, che si
richiamano, un comportamento che, invece, si è accertato essere stato
assolutamente comprensibile e scusabile.
Inoltre già ex ante – sottolinea il ricorrente – sarebbe stata evidente la
sussistenza della scriminante della legittima difesa (o, al più, l’eccesso colposo in
legittima difesa) da parte di Casalino e ciò alla stregua non solo delle spiegazioni
fornite dallo stesso ma anche delle sommarie informazioni rese
nell’immediatezza dalle testimoni Valentina Alfano e Veronica Aprile (il cui
contenuto si riferisce nel ricorso), le quali hanno parlato entrambe di una previa
aggressione non solo verbale di Moccia contro Casalino.
Si segnala, inoltre, che la sola deposizione dissonante, cioè quella di
Deborah Ferrari, che peraltro ammetteva di non avere assistito alla genesi del
litigio, è stata del tutto sconfessata a dibattimento e che non sono addebitabili
alla difesa i gravi errori del consulente tecnico del P.M., il quale non solo non ha
svolto accertamenti tossicologici, pur autorizzati dal P.M. su richiesta espressa
della difesa di Casalino, sull’assunzione da parte di Moccia di alcool o di
stupefacenti, fatto accertato soltanto a dibattimento, ma che ha anche
individuato un’infiltrazione emorragica al capo poi rivelatasi del tutto inesistente.
In definitiva, ad avviso del ricorrente,

«la Cotte si spinge ad affermare

circostanze mai acclarate nel giudizio di merito (la situazione di estrema
debolezza di Moccia, che in realtà risultava, all’esame autoptico, avere
un’escoriazione al dito destro medio compatibile con la descritta colluttazione) e
negare l’esistenza, accertata in dibattimento, di una repentina aggressione da
parte di Moccia nei confronti di Casalino. Del tutto incongrua e illogica è pertanto
la motivazione dell’impugnato provvedimento, laddove tenta di descrivere la
colpa della vicenda all’odierno ricorrente» (p. 5 del ricorso).
Si chiede, in definitiva, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

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La Corte di appello avrebbe, quindi, errato in diritto qualificando come colpa

3. Il Procuratore generale della S.C. nella sua requisitoria scritta ex art. 611
cod. proc. pen. del 19-21 dicembre 2017 ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

4. Con memoria datata 28 febbraio 2018, pervenuta il 6 marzo 2017 (recte:
2018), l’avvocatura erariale ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi
il ricorso; con vittoria di spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

ad illustrare.

2. E’ preliminarmente opportuno richiamare i principi informatori della
disciplina dell’istituto

ex art. 314 cod. proc. pen. enucleati dalla Corte di

cassazione: va precisato che, trattandosi di principi consolidati, appare superfluo
il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo
preferibile affidarsi – prevalentemente, anche se non esclusivamente – a
passaggi motivazionali della S.C. nella qualificata composizione a Sezioni Unite.
2.1. Ebbene, l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo

l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante «vi abbia dato o
concorso a darvi causa per dolo o colpa grave»,

con condotte al riguardo

apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere
dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n.
43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).
2.2. L’indennizzo in questione si risolve «nell’attribuzione di una somma di
denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge)
arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un
fattore causale illecito» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro,

Rv. 203636; Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035).
2.3. Quanto alle valenze definitorie delle espressioni “dolo” e “colpa grave”,

è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv.
203636) che «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione
di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente
dal fatto di con fliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da
ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e
volontaria che, valutata con il parametro dellid quod plerumque accidit, secondo
le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione
di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della
comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo», sicché l’essenza del dolo sta,

1. Il ricorso di Jonathan Casalino è fondato, per le ragioni che ci si accinge

appunto, «nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento

all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il
giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio».
Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno
ricavati dall’art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto,

«è colposo il

comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza
rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si
sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore
l’organo giudiziario»: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di

inosservanza di leggi, regolamenti etc.) «pone in essere una situazione tale da

dare una non voluta ma prevedibile […] ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca
della privazione della libertà»

(Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996,

Sarnataro, Rv. 203636). E in tale ultimo caso la colpa deve essere “grave”, come
esige la norma,

«connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza,

imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon
senso» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).
2.4. Posto che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per
ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano
“dato causa” o abbiano “concorso a dar[e] causa” all’instaurazione dello stato
privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale
tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, si osserva che ad
escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della
riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi
“accertati o non negati” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro,
Rv. 203636; in conformità, tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del
10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione,
dunque, di dati meramente congetturali.
2.5. Si è anche precisato che la valutazione del giudice della riparazione si
svolge su di un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della
cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale:
tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed
eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare
non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se esse si

posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla
produzione dell’evento “detenzione” […] Il rapporto tra giudizio penale e giudizio
della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al
presupposto dell’altro […] spettando al giudice della riparazione una serie di
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colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza,

accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei
criteri propri all’azione esercitata dalla parte»

(Sez. U, n. 43 del 13/12/1995,

dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n.
27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n.
1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del
24/06/1998, Nemala, Rv. 212114).
Il giudice della riparazione deve seguire un

iter logico-motivazionale

autonomo rispetto a quello del processo penale e costituiscono compito del
giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di

al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della
colpa grave.
In particolare, «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice

della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa
grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro
indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari
non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o
neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione» (Sez. 4, n. 41396 del
15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del
18/02/2016, Buccini, Rv. 266808).
Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha,
naturalmente, l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata
secondo le corrette regole della logica: il mancato assolvimento di tale obbligo in
termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione.

2.6. In ordine alla colpa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo,
essa può essere di due tipi:
colpa extraprocessuale, come, ad esempio, frequentazioni ambigue (Sez. 4,
n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436; Sez. 3, n. 39199 del
01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014,
Calò, Rv. 258610; Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv,
238782), connivenza non punibile (Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito,
Rv. 263139; Sez. 4, n. 17/11/2011, dep. 2012, Cantarella, Rv. 252725; Sez. 4,
n. 2659 del 03/12/2008 dep. 2009, Vottari, Rv. 242538; Sez. 4, n. 42039 del
08/11/2006, Cambareri, Rv. 235397) ovvero comportamenti idonei ad essere
percepiti all’esterno come contiguità criminale (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013,
dep. 2014, Mannino, Rv. 258485; Sez. 4, n. 5628 del 13/11/2013, dep. 2014,
Maviglia, Rv. 258425; Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237;
Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218); .

fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive

ovvero colpa processuale, come, ad esempio, auto-incolpazione o silenzio
consapevole sull’esistenza di un alibi (Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014, dep.
2015, Garcia De Medina, Rv. 263197; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, Davoli,
Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, dep. 2002, Pavone, Rv. 220984).

3. Ebbene, tanto premesso in linea generale, deve ritenersi che i Giudici di
merito non abbiano fatto buon governo dei richiamati principi, sotto tre profili.

3.1. Il primo. Ferma l’autonomia delle due valutazioni (sulla responsabilità
penale; sulla ricorrenza dei presupposti per il diritto alla riparazione dell’ingiusta

comprende donde la Corte di appello tragga la convinzione, che si rivela decisiva
nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, che Moccia fosse, in
quel concreto contesto, un soggetto “debole”, non essendo richiamati contributi
istruttori in tal senso (la S.C., come ben noto, non ha accesso diretto agli atti a
contenuto probatorio) né risultando da consolidate massime di esperienza che
chi sia in stato di ebrezza sia, per ciò solo, “debole”.
Per massima di esperienza o fatto notorio si intende comunemente, infatti,
un fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da
apparire incontestabile (infatti «Le massime di esperienza sono generalizzazioni

empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma
autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza comune,
conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spaziotemporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici
illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze
o parametri riconosciuti e non controversi»: così Sez. 6, n. 1775 del 09/10/2012,
dep. 2013, Ruoppolo, Rv. 254196; v. anche, ex plurimis, Sez. 2, n. 51818 del
06/12/2013, Brunetti, Rv. 28117).

3.2. Il secondo. La Corte di merito presuppone che il comportamento di
Moccia precedente alle manate ricevute in faccia da Casalino sia stato solo
verbalmente aggressivo, senza confrontarsi, tuttavia, con quella parte della
motivazione assolutoria (pp. 9 e 11-13), dalla quale risulta che Moccia esercitò
anche un’aggressione di tipo fisico prima di ricevere le due manate in faccia.

3.3. Il terzo. Anche volendo ammettere un possibile contributo concausativo
della carcerazione da parte di Casalino, l’avere lo stesso reso interrogatorio,
senza avvalersi del diritto al silenzio, rispondendo alle domande poste e ponendo
in tale sede temi poi risultati in concreto decisivi per l’assoluzione, come
sottolineato dal P.G. (alla p. 2 della requisitoria scritta), è condotta che, di per
sé, non sembra efficiente sotto il profilo della causazione del protrarsi – per

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detenzione patita: cfr. punto n. 2.5. del “considerato in diritto”), non si

quattro mesi – della privazione della libertà personale, rilevante aspetto sul
quale la Corte di appello non si è pronunziata.

4. Discende dalle considerazioni svolte la decisione in dispositivo: la Corte di

appello esaminerà nuovamente la domanda di riparazione avanzata ex artt. 314315 cod. proc. pen. attenendosi ai principi individuati.

P.Q.M.

della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 21/03/2018.

Il Consigliere estensore
nie

Il

ente
Fumu

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione

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