Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1869 del 21/02/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1869 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEO ANTONIO N. IL 25/01/1967
avverso la sentenza n. 10725/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
09/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/02/2013 la relazione fatta dal
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Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO m
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,,9’it0
che ha concluso per

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731-

Data Udienza: 21/02/2013

Ritenuto in fatto
Leo Antonio veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Frosinone per rispondere del reato
di cui all’art. 590 c.p. perché, in qualità di preposto del legale rappresentante della Trust Metal
Plastrom, contribuiva a cagionare al lavoratore Massimo Riuscito lesioni personali consistite in
trauma da schiacciamento delle dita e mano destra con lesioni ossee e muscolo tendinee dalle
permanente delle funzioni dell’arto.
Il Tribunale di Frosinone, con sentenza del 28.5.2010, dichiarava Leo Antonio responsabile del
reato al medesimo ascritto e, concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla
contestata aggravante, lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre di
reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il difensore dell’imputato chiedendo in
primo luogo l’assoluzione del medesimo e, come secondo motivo di grave, l’applicazione
dell’indulto ai sensi della legge 241/2006.
Con sentenza del 9.5.2012 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza impugnata,
riservando l’applicazione dell’indulto alla fase esecutiva.
Il Leo, tramite il proprio difensore, proponeva allora ricorso per Cassazione, deducendo i
seguenti motivi:
1-difetto di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione dell’indulto ai
sensi della legge 241/2006.
Sostiene la difesa che, avendo l’imputato fatto espressa richiesta di applicazione dell’indulto
congiuntamente al beneficio della sospensione condizionale della pena già riconosciuto dal
giudice di prime cure, la Corte di Appello avrebbe dovuto accogliere o respingere la richiesta
anziché rinviare la decisione al giudice dell’esecuzione e ciò anche in considerazione delle
diverse conseguenze per l’imputato derivanti dall’indulto proprio o improprio.
La difesa, in particolare, afferma che la pronuncia su tale richiesta avrebbe dovuto costituire per
l’organo giudicante un obbligo e non una mera facoltà.
Lamenta ancora parte impugnante che quand’anche si ritenesse che, a fronte di espressa
domanda, il giudice della cognizione possa sottrarsi alla pronuncia sui presupposti di operatività

quali gli derivava l’amputazione del terzo dito della mano destra nonché l’indebolimento

dell’indulto con rinvio al giudice dell’esecuzione, ciò non comporta il venir meno di un obbligo
di motivazione sulle ragioni per le quali ritenga di riservare alla fase esecutiva tale pronuncia.
2) Estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Ritenuto in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
rileva che la mancata applicazione dell’indulto non può costituire motivo di nullità della
sentenza e, correlativamente, motivo di ricorso per Cassazione, giacchè tale beneficio si applica
di regola in sede esecutiva, mentre può prospettarsi un motivo di ricorso quando il giudice di
merito abbia erroneamente rifiutato l’applicazione del beneficio richiesto ed abbia fatto erronea
applicazione delle norme che regolano la concessione del beneficio.
In definitiva “la mancata applicazione dell’indulto può costituire valido motivo di ricorso in
Cassazione solo quando il giudice di merito abbia erroneamente escluso l’applicazione del
beneficio e non anche quando abbia semplicemente omesso di pronunciare al riguardo (Cass.
Sentenza n. 8121 del 23.4.1985”.

L’inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, a questa Corte
la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi
compresa l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella Pubblica Udienza tenutasi il 21.2.2013.

Questa Corte, infatti, aderendo ad un indirizzo ermenutico oramai consolidatosi sul punto,

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