Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18688 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18688 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRIPODI DOMENICO ANTONIO N. IL 07/06/1957
avverso l’ordinanza n. 40/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 04/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO
BLAIOTTA;
lette/sete le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 11/04/2013

cc 29 Tripodi Domenico

Motivi della decisione
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha accolto l’istanza presentata da Tripodi
Domenico, intesa ad ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 6
maggio 1993 al 20 luglio 1994 ed ha liquidato un indennizzo di 67.916 euro.

2.

Ricorre per cassazione l’interessato censurando la determinazione

calcolo aritmetico suggerito dalla giurisprudenza di legittimità senza tuttavia tenere
adeguatamente conto di tutti danni di ordine familiare e lavorativo e psichico subiti e
documentati. Si è particolare dimostrato il danno connesso alle turbe psichiche e la
questione è stata illogicamente risolta dalla Corte argomentando che i certificati sono
successivi al periodo di detenzione, trascurando che si assume proprio che il pregiudizio in
questione sia derivativo e quindi successivo rispetto alla restrizione di libertà. Altrettanto
illogicamente la Corte omette di considerare i pregiudizi subiti dai familiari, trascurando
che i patimenti subiti da costoro hanno sconvolto l’equilibrio mentale del ricorrente.

2.1 L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria chiedendo che il ricorso
si è dichiarato inammissibile o comunque rigettato.

3. Il ricorso è infondato. In tema di equa riparazione per l’ingiusta detenzione la
giurisprudenza di questa Corte ha enucleato un canone base per la liquidazione del danno,
costituito dal rapporto tra la somma massima posta a disposizione dal legislatore, la
durata massima della custodia cautelare ( 6 anni) e la durata dell’ingiusta detenzione
patita. La somma che deriva da tale computo può essere dimezzata nel caso di
detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività. Tale aritmetico criterio di calcolo
costituisce solo una base, utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo
all’imponderabile soggettivismo del giudice e per conferire qualche uniformità ed
oggettività al difficile giudizio di fatto. Il meccanismo in questione individua l’indennizzo in
una astratta situazione standard, nella quali i diversi fattori di danno derivanti
dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio, ordinario. Tale valore può
subire rimaneggiamenti verso l’alto o verso il basso sulla base di specifiche contingenze
proprie del caso concreto. Occorre quindi esaminare i fattori documentati, afferenti alla
personalità ed alla storia personale dell’imputato, al suo ruolo sociale, professionale e
sociale, alle conseguenze pregiudizievoli concretamente patite e tutti gli altri di cui sia
riscontrata la rilevanza e la connesione eziologia con l’ingiusta detenzione patita. Il calcolo
finale ben potrà essere il frutto della ponderazione di documentati fattori

di segno

contrario. Al giudice si chiede una valutazione equitativa, discrezionale; ma ciò non

significa che, come sopra accennato, ci si debba affidare ad una ponderazione intuitiva
che si sottragga all’analisi ed alla valutazione delle indicate contingenze rilevanti. Al
contrario, proprio quando compie valutazioni discrezionali, il giudice è tenuto ad offrire
una motivazione che, magari in modo sintetico ma comunque esaustivamente, dia conto

dell’indennizzo in questione. Si lamenta che è stato utilizzato esclusivamente il criterio di

del materiale probatorio utilizzato e della valutazioni espresse, in modo che sia possibile
ripercorrere l’iter logico seguito.
L’ordinanza impugnata si attiene a tali principi. Si espone che la misura custodiale
è stata adottata in relazione a gravi indizi afferente alla partecipazione ad una cosca
mafiosa e che è stata emessa sentenza assolutoria divenuta irrevocabile. Constatata
l’esistenza del diritto all’equa riparazione, la Corte si è attenuta, per ciò che attiene alla
quantificazione dell’indennizzo, al criterio aritmetico sopra indicato suggerito dalla
giurisprudenza di questa Corte, aggiungendo correttamente che, attesa la natura
indennitaria dell’istituto, tale liquidazione copre i pregiudizi tutti di ordine familiare e
alle particolarità del caso concreto. Nel caso di specie la Corte medesima ha ritenuto che
non vi fossero le condizioni per incrementare l’indennizzo determinato nella misura
standard, non essendo stati provati fatti pregiudizievoli e significativi idonei a giustificare

io

l’adeguamento richiesto. Si argomenta che la detenzione è cessata nel luglio c

1994

mentre l’insorgenza della patologia nervosa desumibile dalla certificazione prodotta risale
al luglio del 1995. La distanza dall’epoca della remissione in libertà non consente di
ritenere l’esistenza di nesso causale con la restrizione. D’altra parte, l’amarezza e lo
sconvolgimento delle abitudini di vita cui il richiedente fa riferimento sono conseguenze
tipiche della detenzione e sono quindi comprese nell’indennizzo liquidato. In tale
apprezzamento non si scorge alcun vizio logico; e l’entità dell’indennizzo, dunque, non
può essere riconsiderata nella presente sede di legittimità.
Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna al pagamento delle spese
processuali. Appare congruo compensare le spese tra le parti.

P qm
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 11 aprile 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

(Rocco Marco Blalotta)

(Carlo

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

sco)

personale, salvi i necessari adattamenti sia in diminuzione che in aumento con riguardo

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