Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18687 del 27/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18687 Anno 2018
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOSPINOSO VINCENZA nato il 02/09/1974 a CERIGNOLA

avverso l’ordinanza del 22/06/2017 della CORTE APPELLO di BARI
sentita la relazione svolta dal Presidente SALVATORE DOVERE;
lette/se:pte le conclusioni del PG
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Data Udienza: 27/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Lospinoso Vincenza, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 19.6.2012 al
22.10.2012 (dapprima in carcere e poi agli arresti domiciliari), in relazione ai
reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 2, 4 e 7 I. n. 895/1967 nonché all’art. 23 I.
n. 110/1975 ed all’art. 648 cod. pen.,

per i quali era stata prosciolta con

sentenza passata in giudicato.

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento della Lospinoso aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto la Lospinoso, che era
stata presente ad una conversazione oggetto di captazione da parte degli
inquirenti, nella quale si menzionava una ‘cosa’, ritenuta essere un’arma, non
aveva offerto chiarimenti in merito alla circostanza.

2.

La ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per

“violazione dell’art. 606, co. 1 lett. b, c ed e cod. proc. pen. in relazione agli artt.
314 e 315 cod. proc. pen.”.
Premesso che il contenuto della conversazione in parola non ha consentito di
accertare qualsivoglia riferimento ad un’arma illegalmente detenuta dalla
Lospinoso, essendo rimasta ignota la natura della ‘cosa’, l’esponente assume
che nei confronti della stessa non sono stati acquisiti elementi di colpa e che il
solo silenzio serbato in sede di interrogatorio non può valere a fondare ex se un
rimprovero di colpa, essendo necessario che l’indagata fosse in grado di fornire
specifiche circostanze idonee a caducare il valore indiziante degli elementi
acquisiti in sede di indagini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
3.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno
premettere, con estrema sintesi, l’indicazione delle linee portanti della disciplina
dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come delineata dalla
giurisprudenza di legittimità.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare
se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o

La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia

successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata
dall’avere il richiedente dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in
comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo processuale
(autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il giudice è
peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerunnque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,

cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che

ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).
Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è
limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è
pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio,
mentre resta nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a

sull’esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del
11/04/2012 – dep. 06/06/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Dovendosi tener conto del fatto che va tenuta distinta l’operazione logica propria
del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un
reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del
giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo
stesso materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in
relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa
di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638; più di
recente, tra le molte, Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 – dep. 23/01/2017, La
Fornara, Rv. 268952).
Ma, ovviamente, il giudice della riparazione non può ignorare quanto accertato
nel giudizio sull’imputazione e può affermare e negare solo quanto è stato
affermato e negato in questo; mentre un più ampio spazio di manovra gli è
riconosciuto in relazione a quelle circostanze che non sono state escluse dal
primo giudice, pur se non positivamente affermate (cfr. Sez. 4, n. 8163 del
12/12/2001 – dep. 28/02/2002, Pavone, Rv. 220984; Sez. 4, n. 4372 del
21/10/2014 – dep. 29/01/2015, Garcia De Medina, Rv. 263197).
Quanto alla rilevanza nell’ambito del giudizio riparatorio delle modalità di
esercizio delle facoltà difensive, la costante giurisprudenza di questa Corte è nel
senso affermativo, ma a ben precise condizioni. Infatti si afferma che, ai fini
dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave
dell’interessato – fermo restando l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza

motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione

o alla menzogna da parte della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato nell’ipotesi in cui solo questi ultimi siano in grado di fornire una logica
spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi acquisiti nel corso
delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato
esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti
favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento dell’esistenza della
colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo
causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può

elementi di colpa (Sez. 4, Sentenza n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv.
251928).
In rapporto alla peculiarietà del caso in esame appare opportuno richiamare
l’attenzione sul fatto che la valorizzazione del silenzio serbato dal ristretto non
può essere portata di per sé a ragione dell’affermazione di sussistenza di colpa
grave, avendo essenziale rilievo che quel silenzio abbia mantenuto ignote
all’autorità procedente informazioni che, nella disponibilità del silente, avrebbero
avuto l’effetto di sottrarre gli inquirenti all’errore. Inoltre, ed è il secondo aspetto
che pure merita di essere rimarcato, quel silenzio va pur sempre accompagnato
ad altri elementi, convergenti verso la strutturazione di una condotta
macroscopicamente imprudente o negligente.
Siffatti principi comportano la necessità che la motivazione del provvedimento
reso sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione dia conto della natura e
consistenza degli elementi che, in possesso dell’istante, avrebbero potuto essere
rivelati e la cui mancata ostensione ha avuto sinergica efficienza causale nel
mantenimento della misura cautelare.

4. Tanto premesso, va ritenuto che l’ordinanza impugnata mostri sicure carenze
motivazionali.
Occorre muovere dalla considerazione che la Corte di Appello identifica il
comportamento colposo essenzialmente nel non aver offerto indicazioni all’A.G.
circa il significato del termine ‘cosa’ utilizzato nella conversazione sottoposta a
captazione, alla quale ella aveva personalmente partecipato; termine che, alla
luce di altre emergenze delle indagini, era apparso agli inquirenti come allusivo
ad una pistola Beretta con matricola abrasa. La Corte di Appello non fa
riferimento ad alcun comportamento della Lospinoso anteriore all’interrogatorio
di garanzia.
Orbene, risulta del tutto evidente che in tal modo viene ravvisato un
comportamento che in via astratta è in grado di precludere il riconoscimento
dell’indennizzo in

relazione al

protrarsi della detenzione dal tempo

tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri

dell’interrogatorio in avanti; ma non si evidenzia una condotta colposa
concorrente nell’adozione della misura cautelare.
Ma più radicalmente, non appare adeguatamente descritta neppure la condotta
gravemente colposa incentrata sulla mancata comunicazione agli inquirenti di
notizie valevoli a far cessare il vincolo cautelare, poiché la Corte di Appello si é
limitata ad affermare che la Lospinoso “non ha giammai inteso rendere un
seppur minimo chiarimento collaborativo”, senza specificare quali chiarimenti
fosse nella possibilità della donna di rendere, con rilevante probabilità di far

riguardo non può reputarsi sufficiente la evocazione di quel quadro, per come
ritenuto dal giudice della cautela, perché la Corte di Appello non offre alcuna
indicazione circa la conferma di esso all’esito del giudizio di merito. In sostanza,
non essendo chiarito quali fatti sono stati acclarati nel giudizio di assoluzione non
è neppure possibile cogliere, sia pure per implicito, quali notizie decisive fossero
in possesso della Laspinoso e le ragioni per le quali il mancato dissolvimento del
sospetto ingeneratosi negli inquirenti possa ritenersi gravemente negligente.

5. L’ordinanza impugnata merita quindi di essere annullata con rinvio alla Corte
di appello di Bari, la quale dovrà procedere a nuove esame tenendo conto di
quanto sopra evidenziato.

P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Bari
per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/2/2018.
Il Presidente est.
Salva

Dovere

venire meno il quadro indiziario posto a base dell’ordinanza custodiale. A tal

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