Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18686 del 27/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18686 Anno 2018
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: RANALDI ALESSANDRO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BOVA OLINDO nato il 06/02/1979 a TERMINI IMERESE

avverso l’ordinanza del 23/06/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
ft(Cf-t—to
lette~te le conclusioni del PG

Data Udienza: 27/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo, quale giudice della riparazione, con
l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale Olindo Bova ha
chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita dal 19.12.2008 al
9.3.2009, nell’ambito di un procedimento penale per il reato di cui all’art. 416
cod. pen. – nel quale gli era stato contestato di essersi associato con altri
soggetti allo scopo di commettere delitti di esercizio abusivo di attività di gioco e

Imerese emessa il 12.2.2016, divenuta irrevocabile il 18.10.2016.

2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone
ricorso per cassazione l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Lamenta che il giudizio della Corte di appello si configura come del tutto
sommario ed illogico, posto che la sola colpa del Bova sarebbe stata quella di
aver risposto a due/tre telefonate di un suo conoscente – dal contenuto
assolutamente ininfluente – il quale era sottoposto ad intercettazione, in assenza
di elementi da cui desumere frequentazioni tra il ricorrente e i coimputati.
Deduce che per escludere il diritto alla riparazione è necessario che il giudice
pervenga al suo convincimento in base a dati di fatto certi e non sulla scorta di
dati congetturali, come asseritamente avvenuto nel caso di specie.

3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile, perché generico e aspecifico, non

confrontandosi adeguatamente con la ragioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato.

2. La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta
al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314
cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è
propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa
determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia
cautelare subita dall’interessata.

2

scommesse – dal quale era stato assolto con sentenza del Tribunale di Termini

E’ infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa
che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da
una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può
insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una
misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo
quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con
la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa,
nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit,

dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo,
quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come
prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione
alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo
dell’autorità giudiziaria. Pertanto è sufficiente considerare quanto compiuto
dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento
solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di
equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha
patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o
colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di
stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che
abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del
13/11/2013 – dep. 25/02/2014, Maltese, Rv. 25908201). La valutazione del
giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo
rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto
della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel
processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno
delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che
negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto
alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri).

3. Le doglianze proposte dal ricorrente si incentrano, in maniera inadeguata
e parziale, sul merito della vicenda processuale che ha visto protagonista il Bova,
limitandosi a contestare, sotto il profilo dell’accertamento del fatto-reato, il
significato probatorio attribuito ad alcune delle telefonate intercettate, senza

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possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento

confrontarsi compiutamente con le esaustive argomentazioni dell’ordinanza
impugnata, che ha, invece, fornito un percorso logico-motivazionale
intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto dianzi accennati in
materia di riparazione per ingiusta detenzione.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio
utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento
del Bova, pur ritenuto privo di rilevanza penale, ha contribuito colposamente in
maniera decisiva all’emissione della misura cautelare. Ciò sulla base di quanto

provvedimento cautelare, prevalentemente fondato sugli esiti delle conversazioni
telefoniche intercettate, da cui si ricavano i frequenti contatti avuti dal Bova con i
raccoglitori delle giocate, Alessandro Indricchio e Salvatore La Bua, dal cui
tenore emergeva la sussistenza di un rapporto confidenziale e di complicità del
Bova con i predetti coimputati, tanto che gli stessi si incontravano abitualmente
con il Bova per raccogliere i soldi delle giocate, e costui dimostrava piena
consapevolezza delle decisioni adottate dal gruppo e delle percentuali di
guadagno spettanti a ciascuno sulle scommesse raccolte.
A fronte di ciò, la Corte di merito ha evidenziato che in sede di interrogatorio
di garanzia il Bova si è avvalso della facoltà di non rispondere e non ha neanche
impugnato il provvedimento restrittivo, in tal modo adottando un
comportamento assolutamente imprudente che ha certamente contribuito al
mantenimento della misura, in quanto l’interessato avrebbe potuto certamente
fornire chiarimenti in ordine ai suoi contatti e frequentazioni con i coimputati
emergenti dalle intercettazioni, anche e soprattutto in relazione alla sua
individuazione quale soggetto indicato nel corso delle conversazioni telefoniche
intercettate. In tale prospettiva, è impeccabile la motivazione della Corte
territoriale, che individua nell’assenza di alcuna plausibile spiegazione da parte
del Bova di tali suoi contatti o dell’asserito errore di persona, una ulteriore
condotta gravemente colposa e sinergica alla misura, come tale ostativa al
riconoscimento del richiesto indennizzo.
Infine, è stato correttamente evidenziato che la formula assolutoria di
insussistenza del fatto è limitata al delitto associativo, mentre la declaratoria di
improcedibilità in ordine ai reati-fine dell’associazione (art. 4 legge 401/89), per
essere gli stessi estinti per prescrizione, dimostra che restano comprovate le
condotte, gravemente colpose, attribuibili all’istante inerenti alla effettiva
ricezione, in plurime occasioni, delle scommesse clandestine dei giocatori ed alla
trasmissione delle stesse ai raccoglitori, utilizzando con gli stessi un tono
confidenziale e dimostrando di essere a conoscenza delle modalità operative di
raccolta delle giocate e di riscossione delle vincite presso il banco clandestino.

4

(/-

risultante dal compendio probatorio valutato ai fini dell’emissione del

In proposito, va qui ribadito il costante indirizzo giurisprudenziale di
legittimità secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra
gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di
chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività
criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità
(Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014 – dep. 2015, Dieni, Rv. 26243601; Sez. 4, n.
45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 24923701; Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008,

4. Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n.
186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in
dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27 febbraio 2018

Il Cons lere estensore
Alesa dro Ranaldi

Il PricJente
Sa lvatol Dovere

Grigoli, Rv. 24121801).

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