Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18685 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 18685 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

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ORDINANzA

sul ricorso proposto da:
JAITEH EBRIMA N. IL 15/09/1994
avverso la sentenza n. 19157/2013 TRIBUNALE di ROMA, del
26/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;

Data Udienza: 19/03/2014

2. Il ricorso è inammissibile, ex articolo 606, comma 3, c.p.p., perché
proposto per motivi manifestamente infondati e, ex articolo 591, comma 1,
lettera c), c.p.p., perché i motivi sono privi del requisito della specificità,
consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun
contenuto di effettiva critica alla decisione impugnata.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U.
27 settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura
della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto,
ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi
positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta
qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il
giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad
essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata
sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).
In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni
delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso
contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita,
che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le
condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione
citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti,
il giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto,
a valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le
stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo,
proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p.,
senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto
essere applicata nel momento del giudizio.
Ciò rilevato il Collegio non può non tener conto che la recente disposizione di
cui al D.L. n.146 de123.12.2013 (conv. In L. n. 10 del 21.02.2014),nel qualificare
il V comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90 quale figura autonoma di reato, ha
rideterminato la pena edittale da uno a cinque annidi reclusione ed € 3.000,00 a
26.000,00 di multa.
Di poco successiva è la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014,
depositata il 25.02.2014, che, per quanto qui rileva, ha dichiarato la
illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis della L. 21.02.2006 n. 49, cioè del
testo dell’art. 73 d.P.R. 309/90 nella formulazione di cui alla predetta legge
c.d. “Fini-Giovanardi”, determinando, come dalla Corte Costituzionale
espressamente affermato, l’applicazione dell’art. 73 del predetto d.P.R.
309/90 e relative tabelle nella formulazione originaria (Legge c.d.
“Iervolino-Vassalli”).
La Corte Costituzionale ha definito i limiti oggettivi del proprio intervento in
relazione al D.L. 146/2013, precisando che “trattandosi di ius superveniens
che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo lo stesso non
poteva esplicare alcuna incidenza sulle questioni oggetto del giudizio della

L

FATTO E DIRITTO
1. L’imputato JAITEH EBRIMA ricorre per cassazione contro la sentenza di
applicazione concordata della pena in epigrafe indicata, deducendo carenza
di motivazione della medesima in ordine all’insussistenza di una delle “cause
di non punibilità” di cui all’articolo 129 c.p.p.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone la trasmissione dtyli
atti al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma alla udienza camerale del 19 marzo 2014.

Corte relative a disposizioni diverse da quelle oggetto di modifica normativa
e che gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non
riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto legge n. 146
del 2013„ in quanto stabilita con disposizione successiva a quella
censurata e indipendente da quest’ultima”: Ha poi affermato che “rientra nei
compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle
impugnate, non siano più applicabili perchè divenute prive del loro oggetto
(in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono
continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza
degli artt. 4 bis e 4 vicies ter, oggetto della presente decisione”.
Ritiene, però,i1 Collegio che la suddetta sentenza, avendo dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter della L. 49/2006,
abbia travolto l’intero art. 73 d.P.R. 309/1990, facendo rivivere, almeno per
i reati commessi prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 146 del 2013 anche
il precedente testo del comma V con la ripartizione del trattamento
sanzionatorio previsto tra droghe leggere e droghe pesanti, più favorevole al
reo per quel che concerne le droghe leggere, che prevede una pena
detentiva da sei mesi a quattro anni di reclusione.
Orbene, per il caso di specie, dovendosi applicare, quanto al trattamento
sanzionatorio, la disposizione normativa più favorevole si evidenzia che la
pena base concordata tra le parti di anni uno e mesi tre di reclusione, ed
applicata dal Giudice, si discosta in maniera significativa dal minimo edittale
di sei mesi previsto dell’art. 73 V comma d.p.r. 309/1990 nella formulazione
di cui alla legge “Iervolino-Vassalli” compromettendo l’accordo intervenuto
tra le parti in ordine ad una pena non più applicabile all’epoca della
commissione del fatto.
Pertanto, la sentenza va annullata senza rinvio per essere venuto meno il
patto tra le parti con trasmissione degli atti al Tribunale di Roma.

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