Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18683 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 18683 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

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sul ricorso proposto da:
SORDO CRISTIAN N. IL 23/08/1976
avverso la sentenza n. 8831/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di CAGLIARI, del 13/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 19/03/2014

Motivi della decisione
Sordo Cristian ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p. presso il Tribunale di Cagliari in data 13.02.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti di anni
quattro, mesi quattro di reclusione ed C 20.000,00 di multa, in ordine al reato di
cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990. Al prevenuto si contesta la detenzione di
aliquote di sostanze stupefacenti di tipo hashish e marijuana complessivamente

sostanze e la coltivazione di diverse piante di cannabis indica. Il ricorrente si duole
della mancata esclusione della recidiva.
La parte, a mezzo del difensore, ha depositato memoria. Dopo avere
rilevato il mancato avviso al difensore fiduciario per l’odierna udienza, l’esponente
richiama la sentenza della Corte Costituzionale del 12.02.2014 e conclude
chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
La doglianza dedotta dall’esponente è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.

inferiori al chilogrammo, la cessione di quantitativi imprecisati delle medesime

D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.
Non di meno, rileva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare di
ufficio la non congruità della pena applicata al prevenuto, in riferimento alle ipotesi

Si osserva che l’inammissibilità del ricorso non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare anche senza rinvio la sentenza impugnata, in ragione delle
modifiche normative che sono intervenute dopo il deposito del ricorso. Invero, deve
in questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative sopravvenute,
l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una pronuncia di
annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n.
21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso
non ha impedito l’annullamento della sentenza impugnata, in conseguenza della
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata al caso di giudizio).
Deve poi osservarsi che l’esponente, nella memoria depositata il 5.03.2014,
dopo aver rilevato, in termini meramente assertivi, l’omesso avviso al difensore di
fiducia, ha diffusamente argomentato in riferimento alla sentenza n. 32/2014 della
Corte Costituzionale, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata. Si
ritiene, pertanto, che il complessivo tenore della memoria ora richiamata evidenzi
che la parte ha rinunziato ad ogni eccezione di ordine processuale ed ha insistito
per la trattazione della causa.
Tanto chiarito, deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze
stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella
versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena
per le sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo
di due anni al massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente

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di reato in addebito.

della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le

disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre allora considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto
alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella
della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della
declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Nel caso di specie, al Sordo, per la detenzione delle richiamate aliquote di
hashish e la coltivazione di alcune piante di cannabis indica, è stata applicata la
pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione oltre la multa, computata
partendo dalla pena base di anni sei di reclusione. Ebbene, in conseguenza delle
modifiche incidenti sulla cornice normativa di riferimento, intervenute nelle more
del presente procedimento, si ha che la pena base originariamente stabilita dalle
parti, corrispondente al minimo edittale, risulta ora pari alla misura massima
prevista dalla legge. Non è chi non veda, allora, che l’accordo concluso dalle parti e
ratificato dal giudice concerne l’applicazione di una pena che non può ritenersi
congrua, rispetto ai fatti per i quali si procede.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
giacché l’evidenziata incongruità della pena applicata ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., rende invalido il patto concluso dalle parti. Deve disporsi la trasmissione
degli atti al Tribunale di Cagliari, perché proceda a nuovo giudizio. La
giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le parti sono
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e che, in
mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
Si osserva che l’epilogo decisorio ora richiamato rientra nella sfera di
competenza della Settima sezione penale, alla luce delle recenti variazioni tabellari,
disposte dal Primo Presidente, con decreto immediatamente esecutivo del
26.02.2014. Ed invero, nel decreto ora richiamato, si rileva espressamente che in

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droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente

caso di pronunce della Corte Costituzionale che incidono sulla pena applicabile quale la situazione verificatasi in riferimento alla fattispecie di reato di cui all’art.
73, d.P.R. n. 300/1990, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32
del 2014 – la Settima sezione penale, in ipotesi di ricorso avverso sentenze rese ai
sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., può adottare sentenze di annullamento senza
rinvio, con trasmissione degli atti alla autorità giudiziaria di provenienza.
P.Q.M.

Tribunale di Cagliari.
Così deciso in Roma, in data 19 marzo 2014.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti al

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