Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18681 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 18681 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

CERIIIISEM

AJ ,é

sul ricorso proposto da:
PARRINO GIUSEPPE N. IL 26/10/1962
avverso la sentenza n. 60/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
02133721112 10,0 2, Qo te
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 19/03/2014

Ritenuto in fatto
Parrino Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Milano in data 20.02.2012, con la quale è stata confermata
la sentenza di condanna emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Pavia il
26.09.2011, in ordine al reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in riferimento
alla detenzione a fine di spaccio di circa 27 chili di sostanza stupefacente di tipo
hashish.

La parte deduce il vizio motivazionale, rilevando che la Corte territoriale non
ha esaminato punti decisivi che erano stati dedotti in sede di appello.
Sotto altro aspetto, l’esponente denuncia la violazione di legge, rilevando
che il primo giudice, a fronte della richiesta di rinvio avanzata dal difensore di
fiducia per lo studio del fascicolo, ha differito solo di due ore la trattazione della
causa.
Con ulteriore ricorso, a firma del difensore, viene dedotta la
contraddittorietà della motivazione. La parte osserva che nel dispositivo della
sentenza impugnata sono riportate errate indicazioni, con riferimento all’autorità
giudiziaria che ebbe ad emettere la sentenza di primo grado, che sono indicate le
generalità di soggetti diversi dal Parrino e che non risulta indicata la pena
comminata.
La parte ha depositato memoria, pure richiamando la sentenza ella Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014.
Considerato in diritto
Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
Le doglianze dedotte dall’esponente sono inammissibili.
L’eccezione processuale, relativa al mancato rinvio della trattazione della
causa da parte del G.i.p. non risulta dedotta in sede di appello.
La doglianza sulla mancata disamina delle questioni che di converso erano
state dedotte in sede di gr’avame è del tutto aspecifica, di talché risulta
inammissibile per genericità.
L’ulteriore censura dedotta con ricorso depositato in data 23.08.2013 è
manifestamente infondata, atteso che le discrepanze contenute nel dispositivo della
sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano in data 20.02.2012 sono state
oggetto della procedura di correzione di errore materiale, in forza di ordinanza resa
dalla medesima Corte di Appello in data 26.02.2013, acquisita agli atti.
Non di meno, rileva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare di
ufficio l’illegittimità della pena inflitta al prevenuto, in riferimento al reato in
addebito.

)

Si osserva che l’inammissibilità del ricorso non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare con rinvio la sentenza impugnata, in ragione delle
modifiche normative che sono intervenute dopo il deposito del presente ricorso.
Invero, deve in questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative
sopravvenute, l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una
pronuncia di annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI,
sentenza n. 21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove

impugnata, in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale della
norma applicata al caso di giudizio).
Tanto chiarito, deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze
stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella
versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena
per le sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo
di due anni al massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche
nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in
materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre allora considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale, ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto
alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella
della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della

l’inammissibilità del ricorso non ha impedito l’annullamento della sentenza

declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Orbene, nel caso di specie, al Parrino, per la detenzione di 27 chili di
hashish, in assenza di contestazione relativa all’ipotesi di ingente quantità, è stata
inflitta la pena di anni nove di reclusione ed C 45.000,00 di multa, diminuita di un
terzo, per la scelta del rito abbreviato.

alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame, limitatamente alla determinazione
del trattamento sanzionatorio, poiché l’entità della pena inflitta travalica il limite
edittale massimo, che risulta applicabile al caso di giudizio, per le spiegate ragioni.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 624,
comma 2, cod. proc. pen., rileva il Collegio che la sentenza impugnata è divenuta
irrevocabile, in riferimento alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato,
per il reato in addebito.
Si osserva che l’epilogo decisorio ora richiamato rientra nella sfera di
competenza della Settima sezione penale, alla luce delle recenti variazioni tabellari,
disposte dal Primo Presidente, con decreto immediatamente esecutivo del
26.02.2014. Ed invero, nel decreto ora richiamato, si rileva espressamente che in
caso di pronunce della Corte Costituzionale che incidono sulla pena applicabile quale la situazione verificatasi in riferimento alla fattispecie di reato di cui all’art.
73, d.P.R. n. 300/1990, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32
del 2014 – la Settima sezione penale può adottare sentenze di annullamento con
rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al

trattamento sanzionatorio per

effetto della sentenza della Corte Costituzionale n.

32/2014. Rinvia sul punto alla

Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto.

V° l’art. 624 c.p.p. dichiara

l’irrevocabilità della sentenza in ordine alla afferm azione di responsabilità per il
reato ascritto.
Così deciso in Roma, in data 19 marzo 2014.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio

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