Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18680 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18680 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: DAWAN DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI VENEZIA
nel procedimento a carico di:
VISCO NICOLA nato il 04/04/1979 a POLLENA TROCCHIA
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso la sentenza del 06/04/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore che ha concluso
per il rigetto dei ricorsi.

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Venezia, sez. 3 pen.,
il 6 aprile 2017, interpongono due distinti ricorsi per cassazione il Procuratore
generale presso la medesima Corte e l’imputato, Nicola Visco personalmente (in
epoca antecedente la L. n. 103/2017).
2.

A seguito di rito abbreviato, il Tribunale monocratico di Verona aveva

309/90 per aver detenuto presso la sua abitazione a fine di spaccio gr. 29,75 di
cocaina (gr. 22,821 di principio attivo) suddivisa in involucri e gr. 11,25 di
hashish (gr. 1,281 di principio attivo) in unico pezzo (reato accertato il
16/09/2016). Concesse le circostanze attenuanti generiche, configurata la
continuazione per il diverso genere di sostanze detenute illecitamente,
disapplicata la recidiva reiterata infraquinquennale, lo condannava alla pena
finale di anni 4 di reclusione ed euro quattordicimila di multa (oltre al pagamento
delle spese processuali). Applicava altresì all’imputato la pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5.
3.

La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del

giudice del primo grado, ha riqualificato il reato nella fattispecie di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/90, rideterminando in conseguenza la pena ad anni 1 e
mesi 8 di reclusione ed euro duemilaottocento, con conseguente revoca della
pena accessoria.
La Corte territoriale sostiene che, agli atti, non emergono elementi univoci da
cui desumere un’attività di spaccio professionale del ricorrente; che i precedenti
a suo carico, non specifici, modesti e risalenti nel tempo, convergono a favore
della veridicità della versione resa dall’imputato sulla eccezionalità della
detenzione dello stupefacente per integrare un reddito, già esiguo ed incerto,
divenuto insufficiente al mantenimento del figlio minore nell’importo disposto
nella sentenza di separazione coniugale.

4. Col suo ricorso, il Procuratore generale censura inosservanza o erronea
applicazione della legge penale nel punto in cui ha ritenuto l’imputato
responsabile del reato di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90. Rileva,
riportandosi alle condivise conclusioni del Tribunale, che già solo il dato
ponderale porta ad escludere l’applicabilità del comma 5 dell’art. 73, a fronte
della capacità di questo di soddisfare una non irrilevante e multiforme tipologia
di consumatori; né può reputarsi idonea a sminuire l’entità del fatto la
prospettata necessità economica.

dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n.

L’impugnata sentenza non fa una corretta applicazione dei principi che
devono presiedere all’applicazione del ritenuto fatto lieve secondo cui il giudice
deve valutare tutti gli elementi considerati dalla norma, sia quelli riguardanti
l’azione sia quelli relativi all’oggetto del reato, dovendo escludere la sussistenza
del fatto lieve quando anche uno solo di questi elementi porti ad affermare che la
lesione del bene giuridico protetto non sia di lieve entità (cfr. sez. 3, sent. n.
32695/2015, Rv. 264491). L’esorbitante quantitativo di cocaina detenuto

dovuto condurre la Corte di appello a confermare la qualificazione del fatto ai
sensi del comma 1 dell’art. 73 d.P.R. 309/90.

5. Il ricorso presentato personalmente dall’imputato Nicola Visco lamenta
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 163 cod. pen. e
all’art. 597 comma 5 cod. proc. pen. Il giudice del gravame non ha applicato il
beneficio della sospensione condizionale che poteva disporre d’ufficio e non ha
motivato su detta mancata concessione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
2. Quanto al ricorso del Procuratore generale, si osserva che l’impugnata
sentenza risulta congruamente motivata, essendo preclusi al giudice di
legittimità vagli che involgano o lambiscano il merito del giudizio.
3.

Quanto al ricorso di Nicola Visco, la pretesa è manifestamente

infondata non avendo il giudice di appello il dovere di motivare sul mancato
esercizio di poteri officiosi che non sia stato sollecitato dalla parte. Il motivo è poi
generico poiché non indica né quando sarebbe stata invocata la sospensione
condizionale della pena né le ragioni per cui essa potesse essere concessa ad un
recidivo qualificato, come il Visco risulta essere dal capo d’imputazione.

dall’imputato, che la stessa sentenza impugnata definisce “non irrisorio” avrebbe

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.
Dichiara inammissibile il ricorso di Visco Nicola e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della
Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore
Daniela Dawan
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Così deciso il 5 aprile 2018

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