Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18672 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18672 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: CENCI DANIELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRAZIA GIOVANNI nato il 04/02/1952 a SANT’AGATA FELTRIA

avverso la sentenza del 07/02/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI:

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE
FIMIANI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Uditi i Difensori:

per le parti civili è presente l’avvocato Alessandro Sintucci, del Foro di Forlì, il
quale deposita conclusione scritte e nota spese, chiedendo, in via principale,
dichiararsi l’inammissibilità o, in subordine, rigettarsi il ricorso;

per l’imputato Giovanni Grazia è presente l’Avvocato Giovanni Scudellari, del
Foro di Ravenna, che insiste per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Bologna il 7 febbraio 2017, in parziale riforma della
sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato il 30 aprile 3015 del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Rimini, sentenza con cui il dr. Giovanni
Grazia era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio colposo di Laura Sacchetti,
fatto occorso il 22 luglio 2011, riconosciute le circostanze attenuanti generiche,

quanto al resto, comprese le st a tuizioni a favore delle parti civili costituite.

2. Il dr. Giovanni Grazia, medico chirurgo specialista in ginecologia, in
servizio quale primario di reparto presso l’Ospedale di Ravenna, è stato ritenuto
nel doppio grado di merito responsabile di omicidio colposo, per avere cioè per
colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e, in particolare, nella
violazione delle norme di buona tecnica, cagionato la morte di Laura Sacchetti,
visitata una prima volta il 16 febbraio 2009 e successivamente nel 2009-2010
(cioè il 13 luglio 2009 e il 5 febbraio 2010), per omissione della corretta
diagnosi, nonostante gli elementi anamnestici disponibili, relativi ad un pregresso
intervento chirurgico subito dalla donna nel 2006 ed agli esiti delle precedenti
visite specialistiche effettuate (quattro negli ultimi tre anni), rivelassero la
presenza di una cisti ovarica di notevoli dimensioni, e per avere omesso di
disporre il necessario intervento chirurgico nei confronti della paziente,
intervento che avveniva soltanto nel luglio 2010, quando il carcinoma aveva già
raggiunto 12 centimetri di diametro ed era passato a diverso, e più grave, stadio
clinico; morte avvenuta il 22 luglio 2011.

3. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza l’imputato,
tramite difensore, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia promiscuamente
violazione di legge e difetto motivazionale.
3.1. Con il primo motivo censura errata applicazione della legge penale
(artt. 589 e 42 cod. pen.) e contraddittorietà della motivazione nel punto in cui
la sentenza ritiene sussistenti profili di colpa in capo all’imputato (pp. 2-5 del
ricorso).
Premette il ricorrente che i Giudici di merito hanno concordemente ritenuto
(p. 13 della sentenza impugnata e p. 15 di quella del Tribunale) che nel febbraio
2009, quando cioè l’imputato visitò per la prima volta la paziente, vi fossero
elementi ecografici che avrebbero imposto, quantomeno, di approfondire il

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ha rideterminato, riducendola, la pena nei confronti dell’imputato; con conferma

quadro clinico e che incorrerebbero in errore motivazionale, ritenendo che
l’imputato abbia omesso tali approfondimenti.
Al riguardo si evidenzia che, in realtà, nell’interrogatorio del 15 aprile 2013
alla polizia giudiziaria delegata dal P.M. (atto allegato al ricorso

sub n. 1),

l’imputato ha, invece, chiarito di avere consigliato alla paziente di eseguire tutta
una serie di esami in day hospital e che fu la paziente a scegliere di non eseguire
gli esami, circostanza questa che sarebbe stata accertata anche da parte dei
consulenti del P.M. Prosegue il ricorrente: «l’effettiva verificazione storica di una

giudicante, tanto che la stessa […] era stata elevata comunque al rango di
condotta colposa eziologicamente rilevante, arrivando a rimproverare al Grazia il
non avere tradotto, in una prescrizione scritta, gli approfondimenti diagnostici da
eseguire, nonostante una corretta interpretazione del quadro clinico […] la
circostanza per cui la prescrizione di ulteriori esami venga formalizzata in un atto
scritto o solo riferita oralmente potrebbe rilevare – al più – dal punto di vista
deontologico, ma non certo penale, atteso che, in questa sede, rileva la sostanza
della condotta tenuta (ovvero, l’aver correttamente indicato di sostenere altri
accertamenti)» (così alla p. 4 del ricorso).
Inoltre, i Giudici di appello avrebbero travisato la prova, attribuendo la
circostanza della prescrizione orale, collocata dall’imputato nell’interrogatorio
come riferita alla prima visita nel febbraio 2009, invece – ed erroneamente – alla
successiva visita del luglio 2009; si richiama al riguardo il contenuto
dell’interrogatorio dell’imputato in data 15 aprile 2013 (appunto, allegato).
In conclusione, ad avviso del ricorrente, «se la condotta tenuta dal Grazia,

ovvero il prescrivere ulteriori esami (indipendentemente dalle forme della sua
estrinsecazione) viene ritenuta conforme al modello legale imposto dalla
situazione concreta, allora l’imputato deve essere assolto perché il fatto non
sussiste, quantomeno ex art. 530, cpv., c.p.p., in quanto sussiste il dubbio […]
che egli abbia effettivamente prescritto gli accertamenti diagnostici da eseguire
(ovvero abbia osservato il comportamento doveroso), ma che poi, per ragioni
non conoscibili, gli stessi non siano stati svolti dalla paziente» (p. 5 del ricorso).
3.2. Mediante il secondo motivo denunzia errata applicazione della legge
penale (artt. 589 e 40 cod. pen.) e contraddittorietà della motivazione nel punto
in cui la decisione ritiene sussistente il nesso di causalità tra la condotta colposa
contestata all’imputato e l’evento (pp. 5-11 del ricorso).
Premette il ricorrente che preliminare a tutto è verificare se nel febbraio
2009, quando cioè l’imputato visitò la donna per la prima volta, la malattia fosse
già presente o meno e, nell’affermativa, in quale stadio si trovasse; osserva che
il tumore da cui era affetta la signora Sacchetti è noto per essere estremamente

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tale dirimente circostanza non era stata minimamente posta in dubbio dal primo

aggressivo, di rapida diffusione e normalmente individuato quando è già in uno
stadio avanzato.
Sintetizza, poi, i dati informativi confluiti nel processo, taluni correttamente
inseriti in sentenza ma altri – almeno ad avviso del ricorrente – del tutto
trascurati dalla • Corte di appello, tanto che si profilerebbe travisamento della
prova ed insostenibilità logica dell’apparato motivazionale.
In particolare, secondo i consulenti della parte civile, già nel marzo 2008
sussistevano indicazioni cliniche che avrebbero imposto l’intervento chirurgico,

a cinque anni dell’89 °/0.
Secondo i consulenti del P.M., invece, il tumore al momento della visita da
parte del dr. Grazia nel febbraio 2009 era già allo stadio I o allo stadio I.
Alla stregua delle precisazioni offerte dai periti del Tribunale a dibattimento,
invece, era assolutamente impossibile affermare in quale stadio si trovasse la
malattia nel febbraio 2009, specificando che il dubbio era talmente ampio da
potersi anche ipotizzare l’assenza in quel momento della cisti ovvero che la
stessa, pur presente, fosse benigna.
Ebbene, discende da quanto riferito, secondo il ricorrente, che la cisti a
febbraio 2009 poteva non essere presente oppure essere presente e benigna
(nel qual caso la condotta ritenuta antidoverosa sarebbe stata inutile) ovvero,
all’opposto, il tumore poteva essere non più curabile o non più efficacemente
contrastabile (e in tal caso la condotta ritenuta doverosa sarebbe risultata del
tutto ininfluente dal punto di vista causale). Con la conseguenza – si stima da
parte del ricorrente – che, occorrendo anche

«individuare il coefficiente

probabilistico, che assiste il carattere salvifico delle misure doverose, alla luce di
tutte le circostanze del caso concreto (cfr. Cass. pen., Sez. IV, n. 46336/14) […],
l’assenza di prova in ordine alla presenza della malattia, alla sua malignità ed a
suo stadio, si riflette inevitabilmente sul giudizio contro fattuale: manca la prova
che la condotta doverosa avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, proprio
perché manca la prova che, al momento in cui il Grazia la omise, vi fosse già una
malattia» cioè «manca la prova che il comportamento doveroso avrebbe avuto
una reale efficacia impeditiva dell’evento, proprio perché non è stata raggiunta la
certezza in ordine alla effettiva presenza della malattia (ovvero della sussistenza
della situazione tipica» (così alle pp. 10-11 del ricorso).

4. Il difensore delle parti civili Brunella Sacchetti, Sabina Sacchetti, Michela
Sacchetti, Marco Sacchetti, Ernesto Sacchetti e Giliola Brasetti, con memoria
depositata il 5 marzo 2018 ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi
il ricorso dell’imputato.

essendo a tale epoca il tumore già allo stadio I, con probabilità di sopravvivenza

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1.Appare opportuno prendere le mosse dalla constatazione che, oltre ad
alcune denunziate violazioni di legge, di cui si dirà, il ricorso in esame censura, in
larga parte, difetto di motivazione.
E’ ben noto che, nell’esaminare le doglianze attinenti alla tenuta

di legittimità sulla sentenza di merito (cfr. ex plurimis, a mero titolo di esempio,
le considerazioni svolte nella parte motiva della sentenze di Sez. 4 n. 19710 del
03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636, specc. ai punti nn. 4.1. e 4.2.).
Infatti, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il
controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti
né l’apprezzamento operato dal giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica
che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono
insindacabile, e cioè:
a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato;
b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità
evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo
del provvedimento.
Con l’ulteriore precisazione, quanto all’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, che essa deve essere evidente (“manifesta illogicità”), cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico ed adeguato, le ragioni
del convincimento.
In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu
ocu/i, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore (non modificata dalla
novella sul testo dell’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. ad opera della
legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. a e b), a riscontrare
l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

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argomentativa della sentenza, particolarmente rigorosi sono i limiti del controllo

Inoltre, il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare
dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento
va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica, come si è detto
con espressione particolarmente efficace, “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli
atti processuali citati nella stessa (ovvero ad altri che devono essere
specificamente indicati nel ricorso) ed alla conseguente valutazione effettuata dal
giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente
contrastante ed incompatibile con i principi della logica.

giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare ché la
motivazione della pronuncia:
A) sia “effettiva” e non già meramente apparente, cioè realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione;
B) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti
essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle
regole della logica;
C)

non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da

incongruenze insormontabili tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
D) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso
per cassazione: c.d. autosufficienza dell’impugnazione) in termini tali da
risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Nel vigente ordinamento, infatti, alla Corte di cassazione non è consentito
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, magari finalizzata, nella
prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi
da quelli operati dal giudice del merito; così come non è consentito che,
attraverso il richiamo agli “atti del processo”, possa esservi spazio per una
rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi
di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito: infatti al
giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
ipoteticamente preferibili rispetto a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in
quanto un tale modo di procedere trasformerebbe la Corte di legittimità
nell’ennesimo giudice del fatto.
1.2. Inoltre, è appena il caso di rammentare che dinanzi ad doppia
pronuncia di eguale segno, c.d. “doppia conforme”, come nel caso di specie, in
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Sicché, in sintesi, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso

cui l’unica modifica di quanto statuito dal Tribunale ad opera della Corte di
appello è consistita nella mitigazione del trattamento sanzionatorio, per effetto
del riconoscimento delle attenuanti generiche, il vizio di travisamento della prova
(nell’accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento
probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa
del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla
sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella
giurisprudenza dì legittimità: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014,

257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n.
24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; v. anche, più recentemente,
Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271635) può
essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente
rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente
travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella
motivazione del provvedimento di secondo grado.
Sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della richiamata
novella dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ad opera della legge n,
46 del 2006, risulta sindacabile il vizio di travisamento della
prova (desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti
specificamente indicati dal ricorrente), travisamento che si ha quando nella
motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo o
si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere
nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado,
non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum
con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per
rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto
probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 4060 del
12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438; Sez. 4, n. 5615 del
13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013,
Giugliano, Rv. 257499; oltre alle già citate Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del
Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv.
243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
1.3. Operata tale premessa, si prende atto che nel caso di specie i Giudici
di appello hanno riesaminato lo stesso identico materiale probatorio già
sottoposto al Tribunale, senza operare richiami a dati probatori non esaminati dal
primo giudice né introdurne di nuovi, e, dopo aver preso atto delle censure
dell’appellante, con cui si sono in effetti confrontati, sono giunti alla medesima
conclusione della sussistenza di penale responsabilità dell’imputato.
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Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv.

2. Ciò posto e sviluppando i principi suesposti, deve ritenersi che la
sentenza impugnata non contenga alcun travisamento della prova o dei fatti e
che, sotto il profilo del denunziato, sotto plurimi profili, difetto motivazionale,
regga al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od
illogicità della motivazione, per le ragioni che si passa ad illustrare.
Quanto alle censurate violazioni di legge (cioè artt. 589, 42 e 40 cod.
pen.), essendo, nella concreta struttura del ricorso, denunziate promiscuamente

2.1. Ebbene, quanto al primo motivo di ricorso (sintetizzato al punto n.
3.1. del “ritenuto in fatto”), si osserva che esso reitera temi già posti con
l’appello e già affrontati e non si confronta puntualmente con l’intero apparato
motivazionale, trascurando tre circostanze accertate dai Giudici di merito:
1) che gli esami indicati solo a voce da dr. Grazia nel febbraio 2009 non
comprendevano i marcatori tumorali, prescritti solo, ma – si è ritenuto tardivamente, dopo il controllo del febbraio 2010 (pp. 2 e 9 della motivazione
della sentenza impugnata);
2) che la tesi della volontaria scelta della paziente di non svolgere gli
accertamenti prescritti dal medico, sostenuta dalla difesa in appello, è stata già
adeguatamente valutata e confutata, essendosi infatti sottolineato che «occorre
[…] far notare come alla Sacchetti non sia stata rilasciata alcuna prescrizione
medica circa gli esami da effettuare in day hospital e che il contegno complessivo
tenuto dalla stessa mostra invece chiaramente una persona scrupolosa e
coscienziosa la quale, dopo il primo intervento, si sottoponeva regolarmente a
visite ginecologiche, richiedeva un secondo parere, […] effettuava
sistematicamente esami ematochimici. Da ciò si evince come il protrarsi
dell’atteggiamento attendista ed incurante posto in essere dall’imputato sia
connotato […] da negligenza, stante l’assenza di indicazioni e prescrizioni
oggettiva attestati la tipologia di esami specialistici da compiere» (pp. 10-11
della sentenza impugnata);
3) che, attesa la peculiarità della situazione, le linee-guida, come ritenuto
dai periti del Tribunale, la cui valutazione è condivisa dal Giudice, imponevano
allo specialista di intraprendere un iter diagnostico comprensivo di più fasi, la
prima volta ad accertare l’origine della massa annessiale già individuata, la
seconda volta ad accertare se si trattasse di malattia benigna ovvero
neoplastica, e che la corretta prognosi, posto che il tumore ovarico è
particolarmente insidioso anche perché asintomatico, dipendeva dalla
tempestività della diagnosi. E inoltre che l’esito delle verifiche già svolte dal
medico che aveva in precedenza in cura la donna, dr. Giardina, fossero indici, già
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rispetto al dedotto difetto motivazionale, si dirà insieme ad esso.

di per sé, rivelatori della necessità di un intervento chirurgico, intervento
chirurgico che, se effettuato, avrebbe condotto ad una diagnosi corretta. Ancora,
che vi erano – secondo quanto ritenuto accertato dal Tribunale – imprecisioni,
approssimazioni grossolane e superficialità nella lettura delle ecografie effettuate
dal dr. Grazia sia nel febbraio 2009 sia nel luglio 2009 sia nel febbraio 2010 (pp.
2-3 e 9-11 della sentenza impugnata). Inoltre,

«I periti

[del Tribunale]

sottolineavano che la diagnosi definitiva di “carcinoma a cellule chiare” fosse
stata formulata solo nell’agosto 2010, quando la neoplasia corrispondeva allo
iter diagnostico

approfondito, la corretta diagnosi sarebbe stata formulata già nel febbraio 2009,
momento in cui si poteva ragionevolmente ritenere che il tumore fosse allo
stadio I, al quale corrisponde una percentuale di sopravvivenza a 5 anni del/’83
%. Alla luce di queste ragioni gli esperti concludevano affermando che il ritardo
diagnostico e il conseguente approccio terapeutico, riconducibile alla condotta
negligente, imprudente ed imperita del dr. Grazia, avevano ridotto del 50 cY0,
orientativamente, le probabilità di sopravvivenza della paziente» (così alle p. 2-3
della motivazione della sentenza impugnata).
2.2. Quanto al tema del nesso di causalità, posto con l’ulteriore motivo di
ricorso (sintetizzato al punto n. 3.2. del “ritenuto in fatto”), si osserva che, in
realtà, il ricorrente costruisce il ricorso in maniera puntiforme, concentrandosi
esclusivamente sulla visita del 16 febbraio 2009, mentre è oggetto del processo,
poiché l’istruttoria vi si è soffermata ed anche perché l’arco temporale
dell’accusa si estende dalla prima visita, nel febbraio 2009, al decesso, l’intero
iter diagnostico (cfr. pp. 8 della sentenza impugnata e pp. 5 ss. e 15 ss. di quella
di primo grado), comprensivo dunque anche delle visite del dr. Grazia del 13
luglio 2009 e del 5 febbraio 2010 (v. pp. 5-6 della sentenza di primo grado).
In ogni caso, non tiene conto nell’impugnazione del corretto principio di
diritto da applicarsi ai reati omissivi, come puntualizzato anche nella nota
sentenza della Sezioni Unite del 2014 nella vicenda Thyssen Krupp, e cioè che
«Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed
evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità
statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità
logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di
deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio
di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e
sulle particolarità del caso concreto»

(Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014,

Espenhahn e altri, Rv. 261103, in continuità, peraltro, con Sez. U, n. 30328 del
10/07/2002, Franzese, Rv. 222138).

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stadio HIC. Pertanto[,] qualora l’imputato avesse seguito un

Alla stregua di tale precisazione si apprezza, disattese le censure difensive,
la congruità della motivazione impugnata, che precisa quanto segue:
«LA occorre soffermarsi sull’analisi del nesso di causalità tra la condotta
posta in essere dal dott. Grazie e l’evento morte della Sacchetti. Dalle
consulenze medico-legali e dall’esame dei periti sentiti in primo grado emerge
con chiarezza che l’anticipazione dell’intervento, al 2009, quando già
sussistevano i fattori clinici per effettuare una corretta diagnosi, avrebbe
permesso di operare la Sacchetti con un tumore allo stadio I/II, in modo da

sopravvivenza. Negli stadi inziali, infatti, la sopravvivenza al tumore a cinque
anni è pari all’85 %, mentre negli stadi avanzati scende al 25 %. Ulteriore e non
trascurabile dato, il fatto che la Sacchetti fosse stata operata nel 2006 per
endometriosi, fattore di rischio per l’insorgenza di un carcinoma ovarico, come
affermato dagli esperti.
Tutti questi elementi, considerato che la paziente si rivolgeva al dott. Grazia
con la diagnosi, effettuata da altro specialista, di “formazione cistica anecogena
all’ovaio di sinistra”, compresi i marker tumorali lievemente alterati, avrebbero
dovuto far propendere per il mantenimento di un comportamento diverso
rispetto a quello omissivo ed attendista posto in essere dall’imputato, alla
stregua di quanto affermato dalle linee guida, nonché dalla corretta prassi
medica.
Ebbene, una diagnosi tempestiva avrebbe reso il trattamento terapeutico
successivo all’intervento maggiormente efficace ed avrebbe aumentato la
percentuale di sopravvivenza della persona offesa in quanto, nel 2009, la
malattia si trovava chiaramente ad uno stadio precedente. Pertanto, se il dott.
Grazia avesse eseguito una diagnosi corretta nel febbraio 2009, alla luce delle
precedenti ecografie del dott. Giardina, ed avesse eseguito un corretto
approfondimento de guado clinico della paziente, si poteva stimare attorno all’80
% la possibilità di sopravvivenza a cinque anni della paziente.
E’ vero che non è stato possibile stimare restato avanzamento del tumore
nel febbraio 2009, secondo quanto affermato dai periti, tuttavia vi sono dati
incontrovertibili rivelatori della doverosità di un comportamento attivo da parte
dell’imputato; presenza di cisti ovarica di notevoli dimensioni, paziente già
affetta da endometriosi, rilevata necessitò di operare secondo il parere del dr.
Giardina [che l’aveva avuta in cura nel triennio 2006-2009]. Sulla base di queste
considerazioni, risulta in tutta la sue evidenza la concatenazione causale
protratta dell’atteggiamento attendista del dott. Grazia sino al decesso della
Sacchetti. Risulta in effetti priva di dubbio la validità del ragionamento
contro fattuale […] ipotizzando come realizzata dal Dott. Grazia la condotta
10

consentire una cítoriduzione adeguata con conseguente maggiore probabilità di

doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc – nella specie costituita per lo meno
da un più approfondito accertamento diagnostico – la morte della paziente non si
sarebbe verificata, ovvero si sarebbe verificata in epoca significativamente
posteriore […] Evidente nel caso in esame come il decesso della paziente sia
stato causato dall’avere omesso misura atte a rallentare il corso della patologia,
colposamente non diagnosticata; l’imputato, non avendo disposto gli
accertamenti clinici idonei ad individuare la malattia e non essendo, in
conseguenza, intervenuto con una terapia efficace a contrastare e rallentare il

cinque anni della Sacchetti, nonostante la presenza di elementi univoci circa la
necessità di un intervento precoce. Una condotta attiva, maggiormente
scrupolosa, rispondente ai canoni dettati dalle linee guida e non meramente
attendista sarebbe risultata idonea a scongiurare l’evento ovvero, quantomeno,
avrebbe ritardato il verificarsi del decesso della paziente, atteso che, in ragione
della condotta dell’imputato, l’intervento (già dichiarato necessario) veniva
ritardato al 2010, quando le condizioni della Sacchetti erano irrimediabili, a
causa della formazione di metastasi […] Sulla base delle risultanze fattuali
concretamente presenti nel caso di specie e valutata l’inesistenza di fattori
alternativi, è doveroso configurare la condotta omissiva posta in essere dal Dott.
Grazia quale condizione necessaria dell’evento lesivo, con “elevato grado di
credibilità razionale”» (così alle pp. 11-13 della sentenza impugnata).
In definitiva, non si rilevano né le violazioni di legge né i difetti
motivazionali, nemmeno sotto il profilo del travisamento, denunziati.

2.Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado
dalle parti civili, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili
Sacchetti Brunella, Sacchetti Sabina, Sacchetti Michela, Sacchetti Marco,
Sacchetti Ernesto e Biasetti Giliola, che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre
spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso il 21/03/2018.

decorso del tumore, ha esponenzialmente ridotto le possibilità di sopravvivenza a

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