Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18671 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 18671 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA

eTEJ2 11
.1244.13IN~A

sul ricorso proposto da:
RUSSO GAETANA N. IL 19/08/1954
avverso la sentenza n. 1528/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
09/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Data Udienza: 05/03/2014

14809/2013
RITENUTO IN FATTO
1.Russo Gaetana ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale
la Corte di appello di Catania ha confermato quella di primo grado con cui la stessa
è stata ritenuta responsabile di concorso per la detenzione a scopo di spaccio di 610
gr. di marijuana e di altra sostanza dello stesso tipo, fatto commesso il 30.3.2011 e,
concesse le attenuanti generiche, condannata a 4 anni di reclusione ed euro 20000

2. Lamenta la mancanza o manifesta illogicità della sentenza per quanto
riguarda il ritenuto concorso nel reato, essendo state male interpretate le urla della
medesima e il gesto di coprire la droga con un cuscino e la mancata concessione
dell’attenuante del fatto lieve.
Nell’interesse della ricorrente è stata presentata una memoria con cui si
sollecita la fissazione del ricorso in pubblica udienza anche in relazione alle modifiche
normative intervenute con il d.l.n.146 del 2013 che ha configurato una fattispecie
autonoma di reato per l’ipotesi di lieve entità, di cui al quinto comma dell’art. 73, in
precedenza considerata circostanza attenuante

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 motivi proposti sono inammissibili e ciò preclude la fissazione del ricorso in
pubblica udienza non essendovi ragioni per derogare alla procedura fissata dall’art.
610 cpp.
Si tratta di doglianze assolutamente generiche che ripropongono le analoghe
censure formulate con l’appello e alle quali la Corte ha già congruamente e
logicamente risposto indicando il percorso logico e fattuale sulla cui base il
comportamento della donna è stato ritenuto prova del concorso della medesima nel
contestato reato. Anche la valutazione circa la possibilità di qualificare il fatto in
termini di lieve entità è stata correttamente effettuata dalla Corte che la ha esclusa
facendo riferimento al quantitativo assai rilevante dello stupefacente detenuto, pari
a 1565 dosi e alle modalità della condotta essendo la merce in parte già confezionata
in dosi ed essendo altresì presenti materiali necessari per il confezionamento a’
dimostrazione che si trattava di un’attività non occasionale o di dimensioni ridotte.

1

di multa.

2. Occorre tuttavia tenere conto delle modifiche normative conseguenti a
pronunce della Corte costituzionale e a interventi del legislatore recentemente
intervenuti prima della decisione.
3. Con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, per quanto qui
rileva, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’ art. 4 bis della legge 21
febbraio 2006 n.49, entrata in vigore il 28.2.2006, nella cui vigenza sono stati
agli stessi, a seguito

di tale dichiarazione di

incostituzionalità e come dalla Corte costituzionale espressamente affermato, trova
applicazione l’art. 73 del d.P.R 309/90 e relative tabelle

nella formulazione

precedente le modifiche apportate con le disposizioni ritenute incostituzionali, con il
ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le droghe
leggere e le droghe pesanti anche agli effetti dell’ipotesi attenuata di cui al quinto
com ma.
A norma dell’art. 136 della Costituzione, quando una norma è dichiarata
incostituzionale la stessa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione, disposizione che trova un limite solo nel caso di
rapporti esauriti; pur essendo intervenuta solo in data odierna la pubblicazione della
predetta sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, ritiene tuttavia il Collegio che non sia
precluso al giudice di applicare la legge tenendo conto della intervenuta dichiarazione
di incostituzionalità (in proposito v. sentenza della IV sezione n.399 del 2014) laddove
la stessa determini effetti più favorevoli per l’imputato ed anche per ragioni di
economia processuale che trovano testuale riconoscimento nell’art. 111 della
Costituzione.

4. Nella materia è altresì intervenuto il d.l. 23 dicembre 2013 n.146 convertito,
con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10, il cui art. 2 ha introdotto nel testo del
d.P.R 309/90 un nuovo quinto comma che ha ridefinito i contorni della fattispecie in
esame nel senso che la medesima costituisce titolo autonomo di reato e non
circostanza aggravante come in precedenza ritenuto. La sentenza della Corte
costituzionale non ha inciso su tale disposizione; la stessa Corte Costituzionale ha
definito i limiti oggettivi del proprio intervento in relazione al d.l. 46/2013 convertito
in 1.10/2014, affermando che “trattandosi di

ius superveniens

che riguarda

disposizioni non applicabili nel giudizio a quo” lo stesso non poteva esplicare alcuna
incidenza sulle questioni oggetto del giudizio della Corte relative a disposizioni diverse
da quelle oggetto di modifica normativa e che “gli effetti del presente giudizio di

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commessi i contestati reati;

legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il
decreto legge n. 146 del 2013, ….., in quanto stabilita con disposizione successiva a
quella qui censurata e indipendente da quest’ultima”.
Pertanto il co. 5 dell’art. 73, relativo ai fatti di lieve entità, quale risultante
dall’intervento del legislatore intervenuto con il d.l. 146/2013, convertito con modif.
in I. 10/2014, non è stato travolto dalla predetta sentenza n.31/2014, ponendosi lo
stesso in rapporto di continuità normativa con la reviviscente legge del 1990 che già

trattamento sanzionatorio; in tal senso si è espressa diffusamente la IV sezione di
questa Corte con la sentenza n.397/2014 le cui osservazioni devono intendersi qui
interamente richiamate.
Ciò non toglie che nel regime intertemporale, con riferimento ai fatti
commessi dopo l’entrata in vigore della legge dichiarata incostituzionale (28.2.2006)
ma prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto legge (24.12.2013), debba trovare
applicazione la norma più favorevole tra quella vigente all’epoca del commesso
reato, tenuto conto della sentenza di incostituzionalità n.32/2014, e quella
attualmente vigente per effetto del predetto decreto legge.
5. La radicale modifica del quadro normativo di riferimento così intervenuta
richiede, tenendo presente che l’intervento della Corte costituzionale che qui viene in
rilievo ha riguardato non già le norme incriminatrici ma il trattamento sanzionatorio
applicabile, la valutazione delle situazioni giudicate ed oggetto di ricorso davanti a
questa Corte alla luce del principio di eguaglianza (art. 3 Costituzione) e di quelli
relativi alla successione di leggi nel tempo dettati dagli artt. 2, co.4, codice penale e
7, par. 1, Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, occorrendo in particolare
adeguarsi alla interpretazione della Corte EDU del predetto art. 7, par. 1, della citata
Convenzione europea, secondo cui l’imputato ha diritto di beneficiare della legge
penale successiva alla commissione del reato, che prevede una sanzione meno severa
di quella stabilita in precedenza, fino a che non sia intervenuta sentenza passata in
giudicato (sentenza CEDU Scoppola C/Italia; Corte cost. n.210/2013).
5. Ritiene il Collegio che alla applicazione della nuova normativa nei processi in
corso, in quanto più favorevole, non sia di ostacolo la inammissibilità del ricorso
trattandosi di questione che deve essere rilevata di ufficio ex art.609 cod.proc.pen.,
non potendosi considerare preclusivo la formazione del giudicato in senso sostanziale
(nel senso da ultimo espresso da SU n.24246 del 2004), atteso che l’intervento
3

puniva i fatti di lieve entità cui si riferisce il nuovo intervento, sia pure con un diverso

normativo è intervenuto successivamente alla data di proposizione del presente
ricorso e pertanto certamente non era possibile tenere conto di esso nella
formulazione dei motivi proposti.
6. Per effetto del principio della applicazione della legge più favorevole come
riconosciuto dalla Cedu, è dunque necessario che quando la legge del tempo in cui è

reato e previsione delle relative pene, rispetto a quello introdotto da una norma
9–ce.successiva, oecerre applicali( quest’ultimo con il limite del giudicato. Nella
individuazione della legge più favorevole si deve considerare la disposizione in
concreto complessivamente più favorevole, senza potersi mai combinare parti di
disposizioni diverse perché ciò porterebbe ad applicare un “tertium genus” non
consentito e cioè una normativa non prevista dal legislatore. Nella materia che occupa
è necessario inoltre tenere conto, laddove venga in rilevo la qualificazione del fatto in
termini di lieve entità, che la valutazione della legge più favorevole dipende dall’esito
del giudizio di bilanciamento operato nel singolo caso sotto il vigore della precedente
legge, attesi i rilevanti effetti che ne derivano sul piano non solo sanzionatorio.
Da quanto sopra detto deriva che per i reati commessi dopo il 28.2.2006 (data
di entrata in vigore della n.49/2006 c.d. legge Fini-Giovanardi) e prima del
24.12.2013 (data di entrata in vigore dell’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n.146
convertito, con modificazioni, in I. 21 febbraio 2014 n.10) dovrà essere applicata:
1)

nel caso di reati concernenti le droghe pesanti, la norma dichiarata

incostituzionale (ossia l’art. 73 co. 1, nella formulazione della legge del 2006,
c.d. Fini-Giovanardi) in quanto la stessa prevede una pena (da 6 a 20 anni)
inferiore nel minimo a quella (da 8 a 20 anni) della precedente legge del 1990,
c.d. Iervolino -Vassalli ed è pertanto più favorevole per l’imputato;
2)

stato commesso il reato prevede un trattamento più gravoso, quanto a definizione del

nel caso di reati concernenti le droghe leggere, la legge Iervolino-

Vassalli in quanto la pena per tali ipotesi previste (da 2 a 6 anni) è inferiore a
quella (da 6 a 20 anni) prevista dalla legge Fini-Giovanardi del 2006; occorre
sottolineare che con riguardo a tale ipotesi quello che era il precedente /1
massimo edittale è divenuto ora il minimo e che la modifica comporta la,/
applicazione di un diverso e più breve termine di prescrizione del reato;
3)

nel caso dell’ipotesi attenuata relativa a droghe pesanti, in ogni

caso (qualunque sia stato l’esito del giudizio di comparazione della circostanza
attenuante speciale) il nuovo decreto legge, che prevede una pena da 1 a 5
anni, più favorevole di quella sia della Fini-Giovanardi (da 1 a 6 anni) che della
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!

Iervolino-Vassalli (da 1 a 6 anni); la creazione di un autonomo titolo di reato
comporta altresì la applicazione del termine di prescrizione del reato rapportato
al massimo della pena prevista di sei anni, prorogabili a sette anni e mezzo.
4) nel caso dell’ipotesi attenuata relativa a droghe leggere, ove la
circostanza attenuante speciale sia stata ritenuta prevalente, la legge Iervolino
– Vassalli che stabilisce la pena da 6 mesi a 4 anni più favorevole sia di quella
della Fini – Giovanardi (da 1 a 6 anni) che del nuovo decreto legge (da 1 a 5

equivalente o sub valente , il nuovo decreto legge n.146/2013.
7. Venendo alla situazione in esame, ritiene il Collegio di dover annullare la
sentenza impugnata per tenere conto dei riferimenti edittali previsti in relazione al
diversificato trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e droghe pesanti dal testo
originario del dPR 309/90, ora rivitilazzato, e dunque della forbice da uno a sei anni
stabilita per l’ipotesi qui in considerazione, precisandosi che l’annullamento interviene
solo con riguardo al trattamento sanzionatorio e pertanto, ai sensi dell’art. 624
cod.proc.pen., il capo concernente la penale responsabilità è divenuto irrevocabile.

p.q.m.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e
rinvia sul punto alla Corte di appello di Catania.

Così deciso in Roma il 5.3.2014

anni); ove la medesima circostanza attenuante speciale sia stata ritenuta

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