Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18655 del 06/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18655 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli;
nei confronti di :
MBOUP Babacar, nato a Guinguineo (Sen) il 23 giugno 1974;
LIBASE Gaye, nato a Dakar (Sen) 30 giugno 179;

avverso la sentenza n. 496/13 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del 13
maggio 2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata ed il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pasquale
FIMINANI, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.

Data Udienza: 06/11/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di
Napoli ha proposto, per saltum, ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione distaccata di Caserta, emessa
il 13 maggio 2013 e con la quale Mboup Babacar e Libase Gaye erano stati
condannati alla pena di mesi 3 di reclusione ed euro 200,00 di multa in
quanto ritenuti responsabili, in concorso fra loro, dei reati di cui agli artt. 171ter della legge n. 633 del 1941 e 648, comma 2, cod. pen.
lamentava il fatto che il

Tribunale avesse ritenuto, in assenza di qualsivoglia motivazione, ricorrere
l’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 cod. pen., sebbene, ad avviso del
ricorrente, l’episodio non potesse essere definito, stante la mole dei supporti
magnetici rinvenuti nella detenzione dei prevenuti, scarsamente rilevante.
Ad avviso della Procura generale non ricorrevano neppure le ragioni per il
riconoscimento delle attenuanti generiche, peraltro, prosegue il ricorrente,
concesse sulla base di una motivazione largamente inadeguata..
Infine rilevava il ricorrente che il Tribunale ha applicato ai due prevenuti
una pena illegale: essa, infatti, determinata all’esito della unificazione dei reati
contestati sotto il vincolo della continuazione, risulta essere inferiore al
minimo della pena previsto per il reato di cui all’art. 171-ter della legge n. 633
del 1941, ritenuto il meno grave fra i reati commessi in continuazione, ciò in
contrasto coi principi elaborati dalla giurisprudenza in materia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato dal Procuratore generale, risultato fondato solo nei
limiti che saranno di seguito precisati, deve essere accolto per quanto di
ragione.
Con riferimento alla dedotta violazione di legge – o, quanto meno, alla
ritenuta omessa motivazione della sentenza impugnata – relativamente alla
qualificazione operata dal giudice di prime cure dell’illecito commesso dai due
prevenuti come rientrante entro il perimetro del comma secondo dell’art. 648
cod. pen. (che come è noto punisce in maniera assai più blanda di quanto non
sia previsto dal comma primo le ipotesi di ricettazione caratterizzate dalla
particolare tenuità) osserva la Corte che, secondo la giurisprudenza di
legittimità, il valore del bene o dei beni ricettati è un elemento concorrente
solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della
particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è particolarmente
lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto, mentre se è accertata la
lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi alla verifica
della sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 cod. pen.,
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Nel proprio ricorso il Procuratore generale

che consentono di configurare l’attenuante de qua, e che va, al contrario,
esclusa quando emergano elementi negativi, sia sotto il profilo strettamente
obbiettivo (quale l’entità del profitto), sia sotto il profilo soggettivo della
capacità a delinquere dell’agente (Corte di cassazione, Sezione II penale, 30
dicembre 2013, n. 51818; idem Sezione I penale, 12 aprile 2012, n.13600;
idem Sezione II penale, 21 luglio 2010, n. 28689).
La Corte è ben consapevole che, secondo una non recente, ma per vero
successivamente non contrastata, indicazione giurisprudenziale

necessari per la ricognizione della ipotesi lieve di cui al capoverso dell’art. 648
cod. pen., costituisce valutazione di fatto non suscettibile di essere sindacata
dal giudice della legittimità, ma questo Collegio osserva altresì che siffatto
vincolo si arresta di fronte alle ipotesi in cui la decisione di merito sia affetta
da chiari vizi logici o giuridici (Corte di cassazione, Sezione II penale, 17
maggio 1986, n. 3831).
Nel caso che interessa, siffatto vizio è rinvenibile nella totale assenza di
motivazione dell’assunto fatto proprio dal tribunale di Santa Maria Capua
Vetere, assenza costituente violazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 125,
comma 3, cod. proc. pen. il quale impone, a pena di nullità, che sentenze ed
ordinanze giurisdizionali siano motivate.
Il Tribunale campano, infatti, ha apoditticamente ritenuto sussistere
l’ipotesi lieve senza aver in alcun modo esaminato né il valore economico del
reato compiuto dai due prevenuti, né, laddove avesse riscontrato sotto il
predetto profilo trattarsi di fatto di lieve entità, se nel caso in questione
ricorrevano gli altri fattori necessari per la affermazione della qualificabilità del
reato entro il paradigma del comma secondo dell’art. 648 cod. pen.
La natura eminentemente di merito di tale valutazione impone, una volta
annullata sul punto la sentenza, il rinvio alla Corte di appello di Napoli,
affinché compia la verifica omessa dal giudice di prime cure, trattandosi di
accertamento che esula dalle competenze di questa Corte.
Parimenti fondato è il terzo motivo di impugnazione, afferente alla
determinazione della pena.
Infatti, è costante la giurisprudenza della Corte nel rilevare che, sebbene,
in ipotesi di reati avvinti dal vincolo della continuazione sia corretta la
individuazione del più grave fra i reati commessi sulla base della maggiore
afflittività potenziale della pena massima prevista, nel senso che deve
intendersi essere più grave il reato che prevede la più alta pena massima
edittale, tuttavia, nella ipotesi in cui la pena minima omogenea fra i diversi
reati affasciati dal vincolo della continuazione sia diversamente calibrata, il
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l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricorrenza degli elementi

giudice non potrà comunque irrogare una pena che sia inferiore alla pena
minima edittale prevista per il reato satellite (Corte di cassazione Sezione
unite penali, 13 giugno 2013, n. 26939), dovendosi altresì precisare che,
laddove i reati satelliti siano più di uno, il cennato limite si attesterà sulla
pena minima più elevata prevista per i diversi reati satellite contestati.
Nel caso in esame il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha
correttamente individuato nella ricettazione, sebbene nella sua fattispecie

della sua sanzione detentiva massima pari a ben sei anni di reclusione, ma ha
poi irrogato, stante la assenza della espressa previsione di una pena minima
da parte dell’art. 648, comma secondo, cod. pen., in concreto una sanzione
determinata in funzione della pena base (a questa, infatti, e non alla pena
risultante ci si deve riferire onde non violare il limite parametrato al minimo
edittale della pena previsto per il reato satellite) di mesi tre di reclusione e
euro 200,00 di multa.
Detta sanzione è, però, inferiore a quella minima prevista per il reato di
cui all’art. 171-ter, comma 2, della legge n. 633 del 1941 (tale apparendo,
vista la quantità dei supporti digitali posti in vendita dai due prevenuti, la
violazione ad essi contestata), che è determinata dal legislatore in anni uno di
reclusione ed euro 2.582,00 di multa.
Anche sotto il descritto profilo la sentenza impugnata deve, perciò, essere
annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli.
Infondato è, invece, il motivo di ricorso relativo alla motivazione della
concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore dei due
prevenuti.
Invero, rileva la Corte, attesa la finalità di queste in quanto strumento
volto a consentire la migliore aderenza della pena in concreto alla effettiva
gravità del fatto commesso, appare non inadeguata la motivazione che,
nell’esplicitare le ragioni che hanno indotto il giudicante al loro
riconoscimento, faccia riferimento, sia pure con sintetica formulazione, alla
limitata gravità del fatto ed allo scarso allarme sociale che la sua commissione
ha procurato nell’ambiente ove i fatti si sono verificati; elementi questi che
hanno plausibilmente indotto il Tribunale, onde mitigare la pena e renderla
adeguata alla effettività del fatto compiuto dai prevenuti, alla concessione
delle attenuanti generiche in loro favore.
Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio
alla Corte di appello di Napoli, con riguardo sia alla ritenuta qualificazione del
reato di ricettazione ascritto agli imputati come ipotesi lieve stante l’assoluto
difetto di motivazione sul punto, sia in ordine alla determinazione della pena
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lieve, il più grave fra i reati unificati dal vincolo della continuazione, in ragione

irrogata considerato il regime sanzionatorio da applicarsi in ragione della
avvenuta unificazione sotto il vincolo della continuazione dei reati contestati.
Deve, invece, essere rigettato per il resto, il ricorso del Procuratore
generale di Napoli.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli
limitatamente alla applicabilità dell’art. 648, comma secondo, cod. pen. ed

Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2014
Il Consigliere estensore

Il P=52 ,Cer,

jj

alla determinazione della pena.

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