Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18654 del 21/03/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 18654 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARAPELLA VALERIO N. IL 02/05/1980
avverso la sentenza n. 293/2009 TRIBUNALE di AVEZZANO, del
21/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. n.
f4P14‘ 111
che ha concluso per,
i “3-4, e-ti-t .27 “fse te i av
C.t
A__ A .4„,IJI

r”,

cy

tt,

t

.740/m.

Data Udienza: 21/03/2013

Uctitirper4a-pa~ler4hoev
Udit i difensor Avv. te /9( t•

at, cc./

t

47:

4

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 21.10.2011, il tribunale di Avezzano ha condannato Valerio Carapella alla pena di euro 490,00 di
ammenda, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida della durata di sei mesi, in relazione
al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico pari a
0,94 g/1 e 0,98 gli) commesso in Avezzano il 1.6.2008.
Avverso tale sentenza, a mezzo del proprio difensore, ha proposto appello l’imputato invocando: i) la revoca delle ordinanze
emesse dal giudice di primo grado alle udienze del 25.9.2009 e del
18.2.2011, avendo il giudice a quo mancato di rilevare la nullità del
verbale redatto dalla polizia giudiziaria in data 1.6.2008, per violazione dell’art. 360 c.p.p. (avendo la polizia stradale di Avezzano proceduto al compimento degli atti di accertamento relativi al reato in
esame senza la presenza obbligatoria di un difensore dell’indagato),
nonché per violazione dell’art. 354 c.p.p. (atteso il mancato rispetto
delle norme relative al deposito degli atti riguardanti l’accertamento
del tasso alcolemico), nonché per aver omesso di dichiarare la nullità
dell’accertamento con la procedura del alcoltest (con la conseguente
acquisizione dei relativi atti in violazione delle norme richiamate),
con la reiterazione dell’istanza di esame del teste Massimiani presente ai fatti come indicato dalla teste Cerasani; 2) la riforma della decisione del primo giudice, siccome fondata, oltre che sull’utilizzazione
di atti nulli, sulla base di dichiarazioni testimoniali generiche e di
mero stile, senza neppure la prova che lo strumento usato per
l’accertamento del tasso alcolemico fosse ritualmente tarato; 3) il
contenimento della pena e della sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente di guida in corrispondenza dei minimi edittali, avuto riguardo agli indici di cui all’articolo 133 c.p.; 4) la
conversione della pena pecuniaria con quella del lavoro di pubblica
utilità.
Con nota del 2.10.2012, il presidente della Corte d’appello de
L’Aquila, sul presupposto dell’inappellabilità della sentenza di primo
grado, ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione per la trattazione dell’impugnazione.
Con memoria depositata in data 31.1.2013, contenente un motivo aggiunto, il difensore dell’imputato, ritenuta l’erroneità della nota del presidente della corte d’appello de L’Aquila che ha trasmesso
gli atti alla corte di cassazione sul presupposto dell’inappellabilità
della sentenza, ha invocato l’ulteriore trasmissione degli atti alla corte
d’Appello de L’Aquila, atteso che del tutto erroneamente la sentenza
di primo grado ha inflitto la sola pecuniaria a carico dell’imputato,
stante la previsione edittale, riferita al reato de quo, della congiunta
comminazione della pena detentiva con quella pecuniaria, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 593, comma 3, c.p.p..

2

3

Considerato in diritto
Dev’essere preliminarmente disattesa l’argomentazione
illustrata dal ricorrente con la memoria difensiva depositata in data
31.1.2013, ; ritenere erronea la valutazione compiuta dal presidente della corte d’appello de L’Aquila del 2.10.2012 (con la quale lo
stesso ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione per la trattazione dell’impugnazione) circa l’inappellabilità della sentenza qui
impugnata, avendo quest’ultima erroneamente inflitto, a carico
dell’imputato, la sola pena pecuniaria a fronte della previsione edittale (riferita al reato in esame) della congiunta comminazione della pena detentiva con quella pecuniaria, con la conseguente inapplicabilità
dell’art. 593, comma 3, c.p.p. (che sancisce la non appellabilità delle
sentenze di condanna “per le quali è stata applicata la sola pena
dell’ammenda”).
Ritiene, infatti, questo collegio (ben consapevole del contrastante indirizzo fatto proprio, tra gli altri, da Cass., Sez. 3, n.
12673/2006, Rv. 234594; Cass., Sez. 6, n. 1644/2002, Rv. 223280)
insuperabile l’inequivoco ed espresso tenore del richiamato art. 593,
comma 3, c.p.p., laddove esclude l’appello avverso le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda (e non
già delle sentenze di condanna per le quali è astrattamente prevista
la sola pena dell’ammenda): e tanto, non solo in coerenza al dettato
dell’art. 12 prel. c.c. (per cui “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione
del legislatore”, alla luce dell’elementare canone interpretativo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), ma anche in forza
della decisiva consideratone secondo cui la mancata impugnazione
del pubblico ministero avverso l’illegale determinazione della pena,
rende irretrattabile la valutatone giudiziaria in ordine alla gravità del
reato, compiuta attraverso la comminazione (sia pur erronea) della
sola pena dell’ammenda.
Varrà sul punto considerare — a voler porre un problema di
coerente compatibilità con il sistema che ordinariamente prevede il
duplice grado di giurisdizione — come l’interpretazione qui accreditata impedisce di ipotizzare alcun contrasto con gli arti. 3 e 24 della Costituzione, atteso che il diritto all’appello non è stato costituzionalizzato, sicché esso non può ritenersi imposto dall’art. 24 Cost., né la limitazione dell’appello qui confermata confligge con il principio di ragionevolezza desunto dall’art. 3 Cost., in quanto il legislatore può ragionevolmente escludere l’appello per il caso in cui il giudice abbia
condannato il contravventore alla sola pena dell’ammenda e conservarlo per il caso in cui il giudice abbia irrogato la pena dell’arresto,
atteso che la diversità del trattamento ben può ritenersi giustificata

2.1. –

4

dalla diversa valutazione giudiziaria della gravità del reato (cfr. in
termini, Casa., Sez. 3, n. 8340/2000, Rv. 218194).
Nel merito dell’impugnazione, tutti i motivi – ad eccezione di quello riferito alla sostituzione della pena irrogata con il lavoro
di pubblica utilità (di cui al successivo paragrafo) – sono infondati.
Il motivo di ricorso riguardante la nullità del verbale redatto
dalla polizia giudiziaria in ragione della mancata presenza obbligatoria del difensore dell’indagato, o per la violazione riguardante le
norme relative al deposito degli atti, è del tutto privo di pregio.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in
tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, l’accertamento strumentale di tale stato (mediante il c.d. ‘alcoltest’) costituisce atto di polizia giudiziaria urgente e indifferibile cui il difensore può assistere senza diritto ad essere previamente avvisato, dovendo la polizia giudiziaria unicamente avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia (Cass., Sez.
4, n. 27736/2007, Rv. 236933).
Sotto altro profilo, vale sottolineare come il verbale contenente
gli esiti del c.d. ‘alcoltest’, per l’accertamento della guida in stato di
ebbrezza alcoolica, non è soggetto al deposito previsto dall’art. 366
comma 1, c.p.p., in quanto sì tratta di un atto di polizia giudiziaria,
urgente e indifferibile, al quale il difensore, ai sensi dell’art. 356 stesso codice, può assistere, senza che abbia il diritto di preventivo avviso. Deve, pertanto, escludersi la nullità dell’accertamento urgente per
l’omesso deposito del relativo verbale nei termini previsti dall’art.
366, comma i c.p.p., atteso che la polizia giudiziaria quando procede
ad un atto urgente ex art. 354 stesso codice ha solo l’obbligo, ai sensi
dell’art. 114 disp. att. c.p.p., di avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, ma non è
tenuta né a prendere notizia dell’eventuale nomina, né a nominare un
difensore d’ufficio, con conseguente inapplicabilità della procedura di
deposito di cui al citato art. 366 (Cass., Sez. 4, n. 26738/2006, Rv.
234512).
Manifestamente infondata, inoltre, deve ritenersi la doglianza
relativa alla disattesa richiesta di esame di un teste di riferimento,
avendo il ricorrente omesso di indicare le ragioni idonee a configurare detta prova come decisiva, ai sensi dell’art. 606, lett. d). c.p.p., ai
fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato.
Sul punto, vale richiamare l’insegnamento di questa giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale la mancata acquisizione di
una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art.
6o6, comma primo, lett. d), c.p.p., quando si tratta di una “prova decisiva”, ossia di un elemento probatorio suscettibile di determi-

2.2. –

nare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre confrontati con le altre ragioni poste a sostegno della decisione – solo
ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti
nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale (Cass., Sez. 6, n.
37173/2008, Rv. 241009; Cass., Sez. 2, n. 2827/2005, Rv. 233328;
Cass., Sez. 1, n. 46954/2004, Rv. 230589).
Nella specie, il ricorrente ha del tutto omesso di indicare le circostanze specifiche sulle quali la testimonianza invocata avrebbe dovuto incidere, né quali fatti decisivi, idonei a determinare una decisione diversa, detta testimonianza avrebbe potuto sottoporre
all’attenzione del giudice, in tal modo impedendo al giudice di legittimità di verificare se la prova invocata consentisse effettivamente di
provocare una decisione del tutto diversa da quella assunta o non invece una diversa valutatone degli elementi complessivamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale.
Del pari manifestamente infondata – costituendo una mera
censura in fatto – deve ritenersi la doglianza relativa alla ritenuta genericità delle dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado (senza che il ricorrente abbia dedotto vizi di contraddittorietà o di travisamento della prova); laddove del tutto priva di fondamento deve ritenersi la censura riguardante la pretesa inidoneità dello strumento
utilizzato per il test alcolimetrico, avuto riguardo al principio statuito
da questa corte di legittimità ai sensi del quale, in tema di guida in
stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo costituisce
onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto
accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non limitandosi a richiedere il deposito della
documentazione attestante la regolarità dell’etilometxo (Cass., Sez. 4,
n. 42084/2011, Rv. 251117). Di una simile prova contraria, nel caso di
specie, l’imputato ha del tutto omesso di offrire il benché minimo riscontro.
Manifestamente infondata, da ultimo, deve ritenersi la doglianza relativa alla misura della pena e della sanzione amministrativa inflitta all’imputato, in consideratone del relativo carattere di
censura in fatto.
2.3. – Appare viceversa fondato il motivo di ricorso riferito alla
possibilità, non esercitata d’ufficio dal giudice di primo grado, di valutare, in mancanza di opposizione dell’imputato, la somituibilità della pena inflitta con la misura del lavoro di pubblica utilità, trattandosi, infatti, di un incombente imposto dalla legge più favorevole al reo
già in vigore al momento della pronuncia della sentenza di primo
grado.

5

Al riguardo, questa stessa corte ha già avuto modo di affermare come, in tema di successione di leggi penali nel tempo, l’art. 2,
comma 3, c.p., facendo riferimento alla ‘disciplina più favorevole’, intende riferirsi a quella che in concreto — ossia proprio in relazione
all’ipotesi in giudizio — venga a risultare, complessivamente, più favorevole per il giudicabile (Cass., Sez. 6, n. 394/1990, Rv. 186207), e
che l’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel
tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera comparazione, bensì in concreto, mediante il
confronto dei risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di
ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice
(Cass., Sez. 1, n. 40915/2003, Rv. 226475 ed altre conformi).
Nel caso di specie, occorre considerare come con la sopravvenuta legge n. 120/2010, mentre da un lato è stato introdotto il comma 9-bis dell’art. 186 c.d.s. (che prevede la pena sostitutiva del lavoro
di pubblica utilità, con l’aggiunta, in caso di esito positivo, dell’estinzione del reato, della riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e della revoca della confisca del veicolo sequestrato), dall’altro, è stata inasprita la pena detentiva prevista (dal previgente art. 4 d.l. n. 92/2008) per il reato di cui al comma 2 lett. c) della medesima norma e confermato l’inasprimento della pena medio
tempore inserito in relazione all’ipotesi di cui al comma 2 lett. b) (qui
applicabile) con disposizione legislativa successiva alla commissione
del fatto qui in esame.
Sulla base di tali elementi di valutazione, non può invero negarsi che, nel complesso, la nuova disposizione, alla luce dei tanti
vantaggi introdotti a fronte dell’avvenuto inasprimento della sanzione, là dove sia intervenuta la specifica scelta dell’imputato (ovvero la
sua mancata opposizione), divenga per quest’ultimo oggettivamente e
in concreto più favorevole rispetto a quella previgente, benché la pena-base di partenza debba comunque essere commisurata alle previsioni della nuova formulazione dell’art. 186 c.d.s., non potendo certamente realizzarsi (pena la violazione del principio di legalità) la
combinazione di frammenti normativi di leggi diverse secondo il criterio del favor rei, con la creazione e applicazione di una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore (cfr.
Cass., Sez. 6, n. 36757/2004, Rv. 229687).
Sotto altro profilo, un eventuale diniego dell’invocata sostituzione fondato sulle possibili conseguenze derivanti dalla violazione
degli obblighi imposti in caso di concessione del beneficio sarebbe
motivato in forza di un ragionamento meramente ipotetico, che, per
escludere la natura più favorevole della nuova disposizione, prefigura
il caso della violazione delle prescrizioni con reviviscenza in sede esecutiva di una pena ben maggiore di quella prevista dalla normativa
previgente: questione, su cui il ricorrente – che ha espressamente in-

6

vocato l’applicazione del beneficio della sostituzione – non ha palesato alcuna particolare riserva (cfr., sul punto, Cass., Sez. 4, n.
11198/2012, Rv. 252170).
Di tali particolari considerazioni dovrà farsi carico il giudice
del rinvio nell’esaminare la richiesta di sostituzione dell’odierno imputato, non trascurando la valutazione dell’eventuale sopravvenuta
irrevocabilità delle disposizioni assunte con riguardo alla concreta
determinazione dell’entità della pena, in applicazione dei principi generali e degli eventuali vincoli derivanti dalla disciplina positiva del
sistema delle impugnazioni.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena inflitta con il lavoro di
pubblica utilità con rinvio al Tribunale di Avezzano per nuovo esame
sul punto.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.3.2013.

7

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA