Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18631 del 30/01/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18631 Anno 2017
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MEI VIRGINIO nato il 01/07/1955 a CARBONIA

avverso la sentenza del 04/02/2016 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2017, la relazione svolta dal Consigliere
ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del MARIA FRANCESCA LOY
che ha concluso per

Data Udienza: 30/01/2017

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott.ssa Maria Francesca Loy, ha
concluso per il rigetto del ricorso. L’avv. Leonardo Filippi per il ricorrente ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza emessa in data 4 febbraio 2016 la Corte d’Appello di Cagliari, in
parziale modifica della sentenza di primo grado, riqualificando giuridicamente il
fatto – originariamente contestato ex art. 377 c.p. – nel delitto di cui all’art. 611
c.p. , confermava la condanna comminata Mei Virginio in dieci mesi di reclusione.

indurla a commettere il delitto di falsa testimonianza nel procedimento n. 8350/05 che lo
vedeva imputato per il reato di sfruttamento della prostituzione.
Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione delle norme processuali stabilite a
pena di nullità per omesso contraddittorio sulla mutata qualificazione giuridica del fatto.
Lamenta il ricorrente che nessun contraddittorio era stato instaurato dalla Corte
territoriale sulla diversa e più grave qualificazione giuridica data al fatto.
Essendo, peraltro, il fatto originariamente contestato connotato da una condotta sia da
offerte che da minacce era impossibile prevedere una modifica del fatto storico limitata alle
sole minacce.
Infine, lamenta il ricorrente che vi è stata una riqualificazione in peius senza previa
contestazione anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all’art. 611 c.p.
per difetto di minacce nonché travisamento della prova sul punto.
Assume il ricorrente che non essendo la persona offesa stata chiamata a rendere
dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria, era giuridicamente impossibile che le asserite
minacce potessero essere dirette a commettere l’eventuale falsa testimonianza.
Né comunque alle espressioni che avrebbe proferito l’imputato e dettagliatamente
indicate nel capo di imputazione, avrebbe potuto essere attribuita la natura giuridica di
minaccia.
2.3. Con il terzo motivo, è stata dedotta violazione di legge per aver la sentenza
impugnata confermato la sentenza di primo grado che aveva applicato la pena accessoria
del’interdizione dai pubblici uffici per la durata, nonostante abbia riqualificato diversamente il
fatto in un delitto che non prevede una tale pena accessoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va osservato preliminarmente – così esaminando una doglianza svolta dal ricorrente nel
secondo motivo – che le espressioni proferite dall’imputato all’indirizzo della persona

2

offesa, ovvero che ” lui conosceva tanta gente e le avrebbe rovinato la reputazione e così

.<.f) All'imputato è stato contestato di aver usato minacce nei confronti di Putzu Francesca per le persone che stava frequentando avrebbero saputo chi era e che, se non lo avesse aiutato, lui avrebbe portato al processo due testimoni contro di lei e le avrebbe fatto passare guai come non ne aveva mai passati" abbiano una evidente connotazione intimidatoria, essendo finalizzate a limitare la libertà psichica della vittima con la prospettazione di un male ingiusto. Né persuade affatto l'assunto del ricorrente secondo cui non si sarebbe trattato di minaccia ma solo di prospettazione del futuro esercizio del suo legittimo esercizio di difesa. Tali affermazioni, per la loro virulenza, e tenuto conto che erano rivolte nei confronti di una adulti, non si appalesano certo come reazione legittima di chi si sia sentito ingiustamente accusato. In primo luogo, le parti della frase che fanno riferimento alla reputazione (in un piccolo centro quale Carbonia) ed ai guai che la persona avrebbe passato (eloquente è l'espressione "come mai ne aveva passati") sono assolutamente estranee a tale fattispecie. In ogni caso, deve rilevarsi che ai fini della configurabilità del reato di minaccia, la prospettazione di un male futuro ed ingiusto - la cui verificazione dipende dalla volontà dell'agente - può derivare anche dall'esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge (Sez. 5, n. 8251 del 26/01/2006, Rv. 233226), come emerge, nel caso di specie, dalla ricostruzione della Corte territoriale. Ciò premesso, non è condivisibile l'impostazione del giudice di secondo grado, che ha ritenuto di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica sul rilievo che il delitto di cui all'art. 377 c.p. , come statuito da questa Corte con la sentenza n. 37503/2002, richiederebbe la necessaria e formale acquisizione da parte della persona offesa della qualità di testimone. In realtà, la sentenza di questa Corte sopra citata aveva esaminato non l'attuale fattispecie di cui all'art. 377 c.p. (intralcio alla giustizia) ma quella precedente di subornazione, abrogata a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 14, comma 1° L. 16/03/2006 n. 146, legge quest'ultima antecedente ai fatti per cui procedimento, avvenuti tra l'ottobre 2008 ed il maggio 2009. Nell'attuale formulazione della norma predetta, non è più necessario, affinchè ricorra il delitto in rubrica, che la persona abbia acquisito la veste formale di testimone, avendo anche recentemente questa Corte statuito che integra il reato di intralcio alla giustizia, previsto dall'art. 377 cod. pen., la condotta di chi compie pressioni e minacce sulla persona che abbia reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari al fine di indurla alla ritrattazione nella medesima fase ovvero in prospettiva del successivo dibattimento. (Sez. 6, n. 17665 del 17/02/2016 - dep. 28/04/2016, Gilardi, Rv. 26679601). 3 giovane ragazza che aveva avuto da minorenne una pluralità di rapporti sessuali con Deve quindi riqualificarsi il fatto commesso dall'imputato nell'originaria imputazione del delitto di cui all'art. 377 c.p. La riqualificazione giuridica del fatto determina l'assorbimento del primo e del terzo motivo, nonché dei residui profili del secondo motivo. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali . P.Q.M. pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2017 Il consigliere est re Il Presi ente Qualificato il fatto a norma dell'art. 377 c.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al

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