Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18610 del 24/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 18610 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BARBANERA ANGELO N. IL 07/09/1988
avverso la sentenza n. 3316/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
28/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 24/03/2015

R.G. 35266/2014

Considerato che:
Barbanera Angelo ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Catania del 28/2/2014, che, in riforma della sentenza del Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Catania del 3/6/2013, rideterminava la pena inflitta
in anni quattro di reclusione ed € 1.800,00 di multa per il reato di cui all’art.
110, 628 comma 2 e 3 n. 1 cod. pen., chiedendone l’annullamento ai sensi

motivazione e l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla
qualificazione giuridica del fatto che doveva essere ritenuto furto nonché si duole
del trattamento sanzionatorio con particolare riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
Nel ricorso viene prospettata una valutazione delle prove diversa e più
favorevole al ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e
confermata dalla sentenza di appello, che si è limitata a ridurre la pena. In
sostanza si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione
di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva,
immune da vizi logici; viceversa dalla lettura della sentenza della Corte
territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità,
risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del
quale si è pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento
alla responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli; in tal senso si è
fatto riferimento a puntuali risultanze probatorie in base alle quali si è ritenuto
che il fatto contestato integrasse il delitto di rapina, essendosi fatto riferimento
ad una violenza diretta contro la persona diretta a frapporre un ostacolo
all’autonomia della vittima, in modo tale da impedire alla stessa l’inseguimento.
Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di legittimità
((Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289 del
24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
Quanto poi al trattamento sanzionatorio, il giudice di appello ha ritenuto
adeguata la pena sopra determinata considerandola bene perequata rispetto al
reale disvalore del fatto, rilevando, con adeguata motivazione, di non potere
concedere le attenuanti generiche stante l’irrilevanza della confessione attesa la
flagranza nel reato; detto giudizio non appare censurabile in questa sede, non
apparendo essere il frutto di un mero arbitrio o di un ragionamento illogico. E sul
punto, conformemente all’orientamento espresso più volte da questa Corte, deve
rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice

dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.; deduce il vizio di


con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione,
di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può
essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (Sez. VI n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. H n.
3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163). Ed ancora, nel motivare il diniego
della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice
prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle

ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri
da tale valutazione (Sez.VI n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, va dichiarata
inammissibile l’impugnazione; ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in € 1000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 24 marzo 2015

Il

igliere estensore

Il Presiden

parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli

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