Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18606 del 06/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18606 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Antonino Malatino, nato a Messina il 30.7.1953
avverso la sentenza del 14 febbraio 2011 emessa dalla Corte d’appello di
Messina;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il Sostituto Procuratore generale, dott. Tindari Baglione, che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato Carlo Autru Ryolo, sostituto processuale dell’avvocato Luigi
Autru Ryolo, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Messina del 23 novembre 2005 Antonino
Malatino veniva condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione,
con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per i reati di cui agli artt. 314

appropriato di numerosi documenti antichi di cui aveva il possesso per ragioni
del suo ufficio di dipendente della Provincia di Messina e, inoltre, per aver
ricevuto reperti di interesse archeologico, storico ed artistico, provento del
delitto di cui all’art. 125 d.lgs. n. 490/2002.
Sull’impugnazione dell’imputato la Corte d’appello ha confermato la
responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestati e ha dichiarato
interamente condonata la pena inflitta, ai sensi del d.P.R. 241 del 2006.

2. L’imputato, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per
cassazione per i seguenti motivi:
– manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto
sussistente il reato di peculato, soprattutto per non aver preso in
considerazione alcune delle testimonianze a discarico;
– violazione dell’art. 314 c.p. e conseguente illogicità della motivazione, in
quanto l’eventuale impossessamento sarebbe avvenuto in epoca successiva al
31.12.1998, dopo la cessazione dell’incarico affidato all’imputato di
sistemazione dei documenti sistemati nel vecchio archivio generale della
Provincia, circostanza che avrebbe dovuto escludere la sussistenza del
peculato, per la mancanza dell’elemento della disponibilità dei beni;
– violazione dell’art. 648 c.p. e conseguente illogicità della motivazione,
per l’impossibilità di configurare il delitto di ricettazione.
In data 26 novembre 2012 il difensore ha depositato una memoria in cui
ribadisce il contenuto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I motivi proposti sono infondati.

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e 648 c.p., unificati sotto il vincolo della continuazione, per essersi

3.1. Per quanto riguarda il primo motivo, si rileva che, contrariamente a
quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza impugnata ha considerato le
testimonianze a discarico, motivando le ragioni per le quali le ha ritenuto poco
credibili: irrilevante la deposizione di Enrico Lupica, perché smentita dal fatto
che i documenti sono stati rinvenuti in buono stato di conservazione, sicché i
giudici hanno ritenuto non credibile il racconto di questo testimone secondo

la testimonianza di Giuseppe Previti, perché anche lui è stato accusato di aver
sottratto dei documenti e, quindi, i giudici hanno ritenuto che avesse interesse
a sostenere la tesi dell’acquisto dei beni in un mercatino.
Sotto un diverso profilo il ricorrente ha anche lamentato la mancata
valutazione delle testimonianze di Attilio Raimondi e Giuseppe Azzolina, in
questo modo deducendo, implicitamente, un travisamento della prova. Si
osserva a questo proposito che l’art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p., nella nuova
formulazione introdotta dalla legge n. 46 del 2006, consente di rilevare il vizio
di motivazione anche quando sia desumibile da atti del processo
specificamente indicati nel ricorso, così ampliando il potere di controllo della
Corte di cessazione sulla motivazione. Infatti, prima di questa riforma la Corte
di cessazione non poteva operare un raffronto con gli atti processuali,
dovendo il vizio di motivazione risultare dal testo del provvedimento
impugnato, cosicché il c.d. travisamento per omissione della prova, che
avesse portato ad una condanna conseguente ad una mancata valutazione di
una prova favorevole all’imputato, non poteva essere fatto valere ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p.
Resta preclusa la possibilità di dedurre come motivo

il “travisamento

del fatto”, in quanto è precluso al giudice di legittimità di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei
precedenti gradi di merito, ma è consentito dedurre il c.d. “travisamento
della prova”, che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito
abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un
risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In
quest’ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di
prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare
se questi elementi esistano.

cui tali documenti sarebbero stati buttati nella discarica pubblica; inattendibile

Tuttavia, anche dopo la legge n. 46 del 2006, il sindacato resta quello
di legittimità e la possibilità di desumere la mancanza della motivazione
anche da “altri atti del processo” non conferisce alla Corte di cassazione un
potere di riesame critico delle risultanze istruttorie, bensì quello di
valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di
merito e di annullare il provvedimento impugnato soltanto quando la

motivazione censurata in maniera decisiva, tanto da scardinare
l’argomentazione giustificativa. Ciò che la giurisprudenza richiede è che la
prova omessa sia dotata di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa
tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando
al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente
inficiare sotto il profilo logico la motivazione, ponendo a carico del
ricorrente l’onere di indicare le ragioni per cui l’omissione comprometta in
modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione (cfr., tra
le tante, Sez. VI, 15 marzo 2006, n. 233708, Casula; Sez. V, 24 maggio
2006, n. 36764, Bevilacqua; Sez. VI, 18 dicembre 2006, n. 752, Romagnolo;
Sez. I, 15 giugno 2007, n. 24667, Musumeci, Sez. II, 22 aprile 2008, n.
18163, Ferdico; Sez. I, 19 ottobre 2011, n. 41738, Longo). Nel caso del
travisamento il carattere della decisività della prova omessa è fondamentale
in quanto, come si è detto, resta inibita alla Cassazione una rivalutazione
complessiva delle prove: solo la immediata ed evidente omissione di una
prova che dimostri l’incompatibilità oggettiva del discorso giustificativo
contenuto nella sentenza impugnata può essere rilevata in sede di legittimità.
Ora, tenendo presente questo orientamento ormai consolidato deve
escludersi che nel caso in esame l’omissione della valutazione delle due
testimonianze sopra indicate abbia il carattere della decisività cui si è fatto
riferimento. Si tratta, infatti, di deposizioni analoghe a quelle puntualmente
prese in esame in sentenza e che i giudici di merito hanno ritenuto irrilevanti
rispetto ad una pronuncia assolutoria dell’imputato; in ogni caso, non
posseggono quella forza disarticolante della motivazione, in quanto i giudici
hanno comunque ritenuto non credibile la tesi difensiva, sostenuta anche in
base a tali deposizioni, secondo cui l’imputato avrebbe acquistato il materiale
in questione esclusivamente nei mercati rionali.

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prova non considerata o travisata appaia destinata a incidere sulla

3.2. Infondato è anche il secondo motivo, che contesta la sussistenza del
peculato, in quanto al momento dell’impossessamento l’imputato non aveva
più la disponibilità dei beni, essendo cessato l’incarico di sistemazione dei
documenti nell’archivio della Provincia. Infatti, deve rilevarsi che la fattispecie
criminosa di peculato non è impedita dal fatto che il possesso o la disponibilità
dei beni sia acquisita in violazione delle disposizioni organizzative dell’ufficio a

l’avvenuta cessazione dell’incarico in questione non esclude la configurabilità
del reato di cui all’art. 314 c.p., in quanto non può dirsi che sia venuta meno
la disponibilità dei beni di cui l’imputato si è appropriato.

3.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo con cui si contesta la
sussistenza del reato di ricettazione, laddove la sentenza ha ritenuto
inattendibili le tesi sostenute dall’imputato e da alcune testimonianze con cui
si assumeva che si trattasse i beni pervenuti all’imputato per donazione o per
successione ereditaria, avendo evidenziato i giudici la assoluta mancanza di
allegazioni al riguardo; inoltre, la sentenza ha ampiamente motivato in ordine
alla natura “culturale” dei beni rinvenuti nell’abitazione del Malatino e come
tali appartenenti allo Stato.

4. Alla ritenuta infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto del
ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 6 dicembre 2012

Il Consigli re estensore

cui appartiene l’agente (Sez. F. 8 settembre 2011, n. 34086, Balduini), per cui

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