Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18601 del 24/03/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18601 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LO CASTO ANTONIO N. IL 18/02/1968
avverso la sentenza n. 3510/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 14/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;
Data Udienza: 24/03/2015
R.G. 26718/2014
Considerato che:
Lo Casto Antonio ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Palermo del 14/2/2014, confermativa della sentenza di condanna resa dal
Tribunale di Palermo in data 9/3/2012 per il reato di ricettazione, chiedendone
l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.; deduce la
carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo alla sussistenza degli
elementi costitutivi del reato ed in particolare all’elemento psicologico nonché
dell’attenuante di cui all’art. 648 cpv. cod. pen. e delle attenuanti generiche con
giudizio di prevalenza sulle aggravanti.
Quanto al primo motivo di ricorso proposto, la Corte territoriale, nel
confermare la sentenza di primo grado, si è adeguata al costante orientamento
della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita
del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza
si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di
modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove
indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura
intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza
illecita di quanto ricevuto. E ciò appare in linea con quanto più volte affermato da
questa Corte laddove si è ritenuto che la conoscenza della provenienza delittuosa
della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche
dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della
provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile
– indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente
rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto
in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n.
29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza impugnata
l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione dell’assegno
risultato rubato si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto
illecito.
Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez.U. n.
12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010,
Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato
anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione
da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da
delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da
semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto.
con riferimento alla determinazione della pena per la mancata concessione
Quanto, poi, agli altri motivi di ricorso proposti, occorre evidenziarsi che
il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena determinata dal giudice di
primo grado considerandola bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto,
non essendo risultati altri elementi altri di fatto per determinare in senso più
favorevole al ricorrente il trattamento sanzionatorio, vendo in tale direzione
valutato, anche per escludere l’ipotesi di cui all’art. 648 cpv. cod. pen., la
personalità dell’imputato gravato da plurimi ed anche specifici precedenti penali.
Le considerazioni sopra imposte impongono di dichiarare inammissibile il
del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma 24 marzo 2015
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ricorso proposto. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna