Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18550 del 20/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18550 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO BIANCO MICHELE N. IL 18/10/1948
LO BIANCO ASSUNTA N. IL 10/01/1975
MONTELEONE CARMELA N. IL 30/01/1953
LO BIANCO SALVATORE N. IL 04/12/1982
LO BIANCO MARIA N. IL 30/09/1973
LO BIANCO LEOLUCA N. IL 11/03/1971
avverso il decreto n. 14/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO, del
11/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/03/2013

Letta la requisitoria scritta del sostituto procuratore generale, dott. Roberto Aniello,
che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato veniva confermato il decreto del Tribunale di

Lo Bianco Michele, della moglie Monteleone Carmela e dei figli Maria, Leoluca,
Assunta e Salvatore la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di una
serie di beni (un immobile, diversi veicoli, libretti nominativi, buoni postali e conti
correnti) intestati a Lo Bianco Michele, oppure formalmente intestati ai familiari, ma
nella disponibilità del primo, sul rilievo della evidente sperequazione tra il tenore di
vita, il valore dei beni acquistati e l’entità dei redditi dichiarati.
La Corte territoriale, premesso che Lo Bianco Michele, in quanto indiziato di
appartenenza ad

un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, veniva

sottoposto con decreto del 19 giugno 2008 alla misura di prevenzione personale
della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, per la
durata di quattro anni, riteneva le conclusioni dei giudici di primo grado corrette ed
i dati forniti dalla difesa inidonei a scardinare le argomentazioni esposte nel decreto
di confisca.
2. Con un primo ricorso Lo Bianco Michele articola due motivi:
a) violazione dell’art. 606 c.p.p., lettera C, in relazione all’articolo 525, comma 2,
c.p.p., per inosservanza del principio di immutabilità del giudice, in quanto il
provvedimento di confisca è stato emesso da un collegio diverso da quello che
aveva disposto il sequestro;
b) violazione dell’art. 606 c.p.p., lettere B, C, D ed E, in relazione all’articolo 2 ter
della legge 31 maggio 1965, n. 575; era infatti censurata la motivazione del
decreto, in quanto meramente apparente, con riferimento al requisito della
sproporzione tra beni confiscati e risorse economiche lecite del proposto, in assenza
di deduzioni della Corte d’appello sul punto, pur in presenza di produzioni
documentali della difesa; era censurata inoltre la motivazione, nella parte in cui non
teneva conto della necessità di correlazione temporale fra la pericolosità del
proposto e l’acquisto dei beni confiscati, che dovrebbe essere successivo o almeno
contestuale rispetto all’inserimento in attività delittuose.
2.1 Con un secondo ricorso Monteleone Carmela, Lo Bianco Maria, Lo Bianco
Leoluca, Lo Bianco Assunta e Lo Bianco Salvatore articolano tre motivi, due dei
quali coincidenti con quelli proposti da Lo Bianco Michele ed un terzo relativo alla
violazione dell’art. 606 c.p.p., lettere B ed E, in relazione all’articolo 2 ter della
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Vibo Valentia in data 27 ottobre 2009, con il quale veniva disposta nei confronti di

legge 31 maggio 1965, n. 575, con riferimento alla mancata indicazione di elementi
dimostrativi della disponibilità in capo al proposto dei beni e dunque della fittizia
intestazione. La Corte territoriale avrebbe impropriamente utilizzato una
presunzione, che può valere solamente nella fase delle indagini patrimoniali,
laddove invece ai fini della confisca è necessario il soddisfacimento di un adeguato
livello probatorio, con onere a carico dell’accusa.
Con memoria depositata il 20 marzo 2013, a firma del prof. Giovanni Aricò, Lo

secondo motivo di ricorso; a suo giudizio l’assenza di motivazione del
provvedimento impugnato in ordine alla sproporzione tra redditi del nucleo familiare
rispetto ai beni oggetto del provvedimento ablativo sarebbe particolarmente
apprezzabile con riferimento alle allegazioni documentali relative alla stabile
convivenza dei due anziani genitori della moglie del preposto, per cui la Corte
territoriale avrebbe dovuto tener conto anche della pensione di vecchiaia e
dell’indennità di accompagnamento della suocera, che veniva incassata dalla figlia,
come dedotto alla pagina 14 dell’atto di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
2. Con riferimento ai ricorsi proposti da Monteleone Carmela, Lo Bianco Maria, Lo
Bianco Leoluca, Lo Bianco Assunta e Lo Bianco Salvatore la declaratoria di
inammissibilità dipende da ragioni di carattere formale: il ricorso è stato presentato
personalmente dagli interessati, senza il patrocinio di alcun difensore.
Deve esser infatti rilevato che per i soggetti portatori di un interesse meramente
civilistico, vale la regola menzionata dall’art. 100 c.p.p. per la parte civile,

il

responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria,
secondo cui “esse stanno in giudizio con 11 ministero di un difensore munito di

procura speciale”, al pari di quanto previsto dall’art. 83 c.p.c., mentre l’indagato o
l’imputato, assoggettati all’azione penale, stanno in giudizio personalmente, avendo

,
solo necessità di munirsi di difensore che, oltre che assisterlo, lo. rappresenta ex

lege e che è titolare di un diritto di impugnazione in favore dell’assistito, per il solo
fatto di esserne difensore, senza che debba essere munito di procura speciale,
imposta solo per casi riservati all’iniziativa personale dell’imputato (Sez. 6, n.
13798 del 20/1/2011, rv. 249873; Sez. 1, n. 10398 del 29/02/2012, Rv. 252925;
Sez. 2, n. 27037 del 27/03/2012, Rv. 253404).
3. Con riferimento al ricorso proposto da Lo Bianco Michele, va innanzi tutto rilevata
la carenza di interesse a ricorrere contro la confisca dei beni che

si assume

fittiziamente intestati ai terzi: la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha infatti
chiarito che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, è inammissibile, per
difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal prevenuto avverso il
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Bianco Michele replica alle conclusioni del Procuratore Generale, insistendo sul

decreto di confisca di un bene immobile ritenuto fittiziamente intestato a terzi – in
quanto, in tal caso, la legittimazione ad impugnare spetta al terzo apparente
intestatario (Sez. 5, n. 6208 del 21/10/2010, Bifulco, rv. 249499).
3.1 Quanto alla violazione del principio di immutabilità del giudice, oggetto del
primo motivo, come già osservato dalla Corte d’appello e dal procuratore generale,
il principio dell’immutabilità del giudice, nella procedura camerale di prevenzione,
deve essere osservato solo nelle fasi della trattazione e della discussione della
dinanzi al quale si sono svolte trattazione e discussione, atti precedentemente
ammessi o acquisiti da un Collegio in diversa composizione, ma del tutto noti alle
parti, non si determina alcun vizio del procedimento.
In questo senso milita la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il
principio di immutabilità del giudice va adattato alle specificità del procedimento di
prevenzione, che segue le regole dei procedimenti camerali, secondo la L. 27
dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 6, che richiama, in quanto compatibili, le
norme del codice di rito del 1930 in tema di misure di sicurezza (artt. 636 e 637),
ora sostituite dall’art. 678, comma 1, e art. 679 del codice vigente che, rinviando al
precedente art. 666, prevedono appunto la trattazione in camera di consiglio
secondo lo schema procedurale in materia di esecuzione. Poiché allora l’istruzione
probatoria che caratterizza il procedimento di prevenzione si sostanzia nella
richiesta di documenti e informazioni “alle autorità competenti” e nell’assunzione di
prove in contraddittorio, ma “senza particolari formalità” (art. 666 c.p.p., comma 5,
e art. 185 delle norme di attuazione) e dunque in forme semplificate, senza un
provvedimento ammissivo espresso, e poiché l’utilizzabilità dei dati raccolti non è
condizionata dalle formalità della lettura, in difformità dalla disciplina dibattimentale
(artt. 511 e ss.), per garantire il valore di sistema dato dalla regola della
“immutabilità del giudice” è sufficiente che la trattazione e discussione si svolgano come nella specie – dinanzi al medesimo collegio, anche se questo utilizzi per la
decisione anche atti in precedenza ricevuti o ammessi davanti a collegio in diversa
antecedente composizione, ma noti alle parti.
Nella fattispecie, il mutamento del collegio è intervenuto all’udienza del 30
settembre 2009, data in cui era disposto rinvio alla successiva udienza del 20
ottobre 2009 ed ancora all’udienza del 27 ottobre 2009, nel corso della quale il
difensore di fiducia del proposto chiedeva la revoca del sequestro, producendo
documentazione tesa ad accertare la legittima provenienza dei beni, mentre il
pubblico ministero insisteva perché venisse disposta la confisca dei beni
sequestrati. Di conseguenza la trattazione e la discussione si sono svolte davanti al
medesimo collegio e tutte le prove sono state poste tempestivamente a
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causa, per cui laddove, come nel caso di specie, sono stati utilizzati dal giudice

disposizione delle parti, in quanto oggetto di atti certamente “noti alle parti
medesime” che li hanno prodotti.
3.2 Le doglianze articolate nel secondo motivo si concretizzano in censure alla
motivazione dell’impugnato provvedimento, in parte riguardanti beni non intestati a
Lo Bianco Michele, che, come già rilevato, non possono costituire oggetto di ricorso
in questa sede.
Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, nel procedimento di

in forza della generale disposizione della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4,
comma 11, applicabile anche nei casi di pericolosità qualificata di cui alla L. n. 575
del 1965 (in forza del richiamo L. n. 575 del 1965, ex art. 3-ter, comma 2): ne
consegue che in sede di legittimità non è deducibile il vizio di motivazione, a meno
che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente
apparente e in realtà inesistente, traducendosi perciò in violazione di legge per
mancata osservanza, da parte del giudice, dell’obbligo, sancito dal comma nono del
citato art. 4, di provvedere con decreto motivato (Sez. 5, n. 19598 dell’8/4/2010,
Palermo, rv. 247514; più in generale, per l’affermazione che, nei casi in cui il
ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, è
comunque deducibile la mancanza o la mtra apparenza della motivazione, atteso
che in tal caso si prospetta la violazione della norma costituzionale che impone
l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali, cfr. Sez. un., n. 25080
del 28 maggio 2003, Pellegrino, rv. 224611).
3.3 Le ulteriori doglianze del secondo motivo, riprese anche nella memoria del 12
marzo 2013, relative alla mancanza di motivazione in ordine al requisito della
sproporzione ed all’omessa valutazione delle produzioni difensive a confutazione del
requisito della sproporzione tra beni confiscati e risorse economiche lecite del
proposto sono anch’esse inammissibili.
3.3.1 Con riguardo ai riferimenti agli atti non allegati al ricorso, deve rilevarsi la
palese genericità del motivo, il che rende le relative doglianze irrimediabilmente
inammissibili. Secondo il costante insegnamento di questa Corte Suprema, infatti, il
ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena
di inammissibilità, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte
alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla
lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso (Sez. 6, n.
29263 dell’8 luglio 2010, Cavanna, rv. 248192); si è successivamente ribadito
anche che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di
circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre
l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella
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prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge,

motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od
adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto
processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio
che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella
sentenza;c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si
fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo,

“incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento
impugnato (Cass. pen., sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035).
Nel caso di specie il ricorrente lamenta, in maniera del tutto generica, l’omessa
considerazione di documenti prodotti, quali estratti conto e fatture, che avrebbero
consentito di escludere il requisito della “rilevante sproporzione”; né tale genericità
poteva essere superata attraverso il richiamo, operato solo nella memoria prodotta
il 12 marzo 2013, dell’atto di appello, con riferimento alla pensione di vecchiaia
della suocera.
3.4 Quanto infine al requisito della sproporzione tra beni confiscati e risorse
economiche lecite del proposto, va premesso che in materia di misure di
prevenzione il sindacato di legittimità non comprende aspetti motivazionali,
riducendosi il controllo di questa Corte alla verifica del raffronto fra gli elementi
esaminati dal giudice di merito e i presupposti di legge per l’applicazione delle
misure (Sez. 5, n. 19598 dell’8.04.2010, Palermo, Rv.247514).
Nè può fondatamente ipotizzarsi che il provvedimento in esame sia del tutto privo
di supporto motivazionale o che la giustificazione resa sia meramente apparente, sì
da poter ricondurre il vizio di motivazione al paradigma della violazione di legge.
In proposito le censure, depurate da ogni riferimento critico alla motivazione, sono
prive di fondamento: nessun vizio riferibile a tale ambito è dedotto dai ricorrenti, a
fronte di una motivazione del decreto impugnato esaustivamente fondata sugli
esigui redditi dichiarati dal proposto, dalla moglie e dei figli, nemmeno sufficienti
per il sostentamento familiare (con riferimento agli anni dal 1995 al 2005 il decreto
del Tribunale di Vibo Valentia parla espressamente di reddito “al di sotto della soglia
di povertà”), e sulla compiuta valutazione delle produzioni difensive in ordine ad
ulteriori disponibilità introitate dalla famiglia dei ricorrenti. Su questo ultimo punto il
provvedimento impugnato evidenzia l’inidoneità degli elementi prodotti, trattandosi
in parte di mere autocertificazioni rese da familiari, che non appaiono sufficienti a
provare l’effettiva sussistenza delle circostanze allegate, e per altro verso di
finanziamenti e mutui rispetto ai quali le minime capacità reddituali della famiglia
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la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale

non consentono di desumere che le rate siano pagate con denaro di provenienza
lecita.

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Del restoPini dell’applicabilità della misura della confisca di beni patrimoniali nella

disponibilità di persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è
sufficiente che sussistano una sproporzione tra le disponibilità e i redditi denunciati
dal proposto, ovvero indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei
quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attività illecite e

utilizzato per l’acquisto di tali beni. Ne deriva che al riguardo non si verifica alcuna
inversione dell’onere della prova, perché la legge ricollega a fatti sintomatici la
presunzione di illecita provenienza dei beni e non alla mancata allegazione della
loro lecita provenienza, la cui dimostrazione è idonea a superare quella presunzione
(Sez. 5, n. 228 del 12/12/2007, Campione, Rv. 238871).
Quanto infine al lamentato vizio di correlazione temporale fra pericolosità del
proposto e acquisto dei beni, deve ricordarsi che il legislatore non ha prescritto per
la confisca da prevenzione alcun nesso di pertinenzialità con una determinata
tipologia di illecito, ma ha consentito una generalizzata apprensione di beni solo che
sia accertato il presupposto della pericolosità sociale del proposto, siccome
appartenente ad organizzazione delinquenziale, sulla base di un dato presuntivo che
quei beni, in valore sproporzionato, non siano stati legittimamente acquisiti. E per
quanto riguarda il dato temporale, è ius receptum, alla stregua di consolidata
interpretazione di questo Giudice di legittimità, che siano soggetti a confisca anche i
beni acquisiti dal proposto, direttamente od indirettamente, in epoca antecedente a
quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, purché risulti una delle
condizioni anzidette, ossia la sproporzione rispetto al reddito ovvero la prova della
loro illecita provenienza da qualsivoglia tipologia di reato (cfr., tra le ultime, Sez. 5,
n. 27228 del 21/04/2011, Cuozzo, Rv. 250917; Sez. 1, n. 39798 del 20/10/2010,
Stagno, Rv. 249012). è vero, dunque, che per dettato normativo la pericolosità
sociale del proposto finisce con l’estendersi al suo patrimonio;

ciò in quanto

l’accertata appartenenza a consorteria organizzata riflette uno stile di vita la cui
origine non si è ritenuto che possa farsi coincidere con la data del riscontro
giudiziario, essendo, evidentemente, maturato – per precise scelte esistenziali anche in epoca antecedente, sia pure non determinata.
Si tratta, certamente, di misura draconiana, la cui severità si giustifica, però, in
ragione delle precipue finalità della legislazione antimafia, e specialmente
dell’obiettivo strategico di colpire, anche con evidenti finalità deterrenti, l’intero
patrimonio – ove di ritenuta provenienza illecita – degli appartenenti a consorterie
criminali, posto che l’accumulo di ricchezza costituisce, comunemente, la ragione
primaria – se non esclusiva – di quell’appartenenza. Il limite di operatività della
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che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima provenienza del danaro

t
i

t
detta misura, che la rende compatibile con i principi costituzionali, segnatamente
con il rispetto del valore della proprietà privata, presidiato dall’art. 42 Cost., e con
la normativa comunitaria, è costituito dalla riconosciuta facoltà per il proposto di
fornire la prova della legittima provenienza dei suoi beni. Il sistema resta così
affidato alla dinamica di una presunzione, temperata, nondimeno, dalla facoltà della
controprova, che attribuisce al meccanismo presuntivo la connotazione della
relatività, rendendolo così del tutto legittimo nel quadro di una interpretazione

3.5 In conclusione entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
4. Alla declaratoria di inammissibilità, riconducibile a colpa dei ricorrenti, consegue
la loro condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che
congruamente si determina in Euro 1000,00 (mille) ciascuno, a favore della cassa
delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere
interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2013
Il Presidente

lóng Here esterre

costituzionalmente orientata.

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