Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18532 del 06/11/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 18532 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PONTENANI SAVERIO N. IL 30/03/1988
avverso la sentenza n. 4138/2010 GIP TRIBUNALE di AREZZO, del
21/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 06/11/2014

Con sentenza del 21 febbraio 2013, il Gip del Tribunale di Arezzo, sull’accordo delle parti,
ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a Pontenani Saverio – imputato del reato di cui
all’art. 187 co. 1 del codice della strada, per essersi posto alla guida di un’auto in alterate
condizioni psico-fisiche dovute all’assunzione di sostanze stupefacenti – riconosciute le
circostanze attenuanti generiche ed operata la riduzione per la scelta del rito, la pena di due
mesi, venti giorni di arresto ed euro 710 di ammenda, sostituita la pena detentiva con la
corrispondente pena pecuniaria, sostituita con il lavoro di pubblica utilità. Con sospensione
della patente di guida per quattro anni.
Deduce il ricorrente:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della contraddittorietà e/o
della manifesta illogicità della stessa, con riguardo alla durata della sanzione accessoria
applicata. Sostiene il ricorrente che il giudicante, mentre da un lato ha ritenuto di ratificare
l’accordo intercorso tra le parti quanto alla individuazione della pena, rilevando la non
gravità del fatto contestato, l’esigenza di adeguare la pena all’entità concreta dello stesso,
anche riconoscendo le circostanze attenuanti generiche, dall’altro, ha determinato la durata
della predetta sanzione, contraddittoriamente, nella misura massima prevista dalla legge;
b) Vizio di motivazione della stessa sentenza, laddove il giudice ha applicato la durata
massima della medesima sanzione, senza dare adeguato conto delle ragioni della propria
decisione;
c) Violazione dell’art. 218 co, 2 del codice della strada, che indica all’autorità
amministrativa i criteri generali per la determinazione della durata della sospensione della
patente; criteri ai quali deve fare riferimento il giudice ma ignorati nel caso di specie.
Considerato in diritto.
I motivi di ricorso proposti, concernenti la durata della sanzione amministrativa accessoria
della sospensione della patente di guida, sono manifestamente infondati, e dunque
inammissibili.
In realtà, del tutto inesistenti sono i vizi dedotti, laddove si consideri:
a) che la determinazione della pena e la individuazione della durata della sanzione
amministrativa rispondono ad esigenze del tutto diverse – legate, in particolare, quelle
relative a quest’ultima, alla necessità di evitare il pericolo del ripetersi di condotte che
pongano a rischio la pubblica incolumità e di garantire la sicurezza degli utenti della stradadi guisa che non esiste contraddizione alcuna né illogicità nella decisione del giudice di
ritenere congrua la pena concordata dalle parti, pur non ricondotta ai massimi edittali, anzi
contenuta per il riconoscimento delle attenuanti generiche, e, nel contempo, di disporre, in
vista delle richiamate esigenze, la sospensione della patente di guida per una durata
individuata nella misura massima prevista dalla legge;
b) che il tribunale, ha legittimamente giustificato, con motivazione congrua, seppur
sintetica, la durata di detta sanzione, richiamando i valori di alterazione riscontrati e la
rilevata positività dell’imputato a più di una droga (cannabinoidi, cocaina ed oppiacei);
circostanze dalle quali ha ritenuto di trarre la convinzione della necessità di disporre la
sospensione della patente per il periodo più ampio possibile, anche rilevando che l’esito dello
svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se positivo, comporterebbe la riduzione di tale
periodo;
c) che lo stesso giudice ha tenuto conto dei criteri indicati dall’art. 218, avendo evidentemente considerato la condotta dell’imputato ed il pericolo che da ulteriori condotte anomale
potrebbero causare alla sicurezza della circolazione.

Ritenuto in fatto.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2014.

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