Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18523 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18523 Anno 2018
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Angelini Elio, nato a Lucca il 30/01/1947

avverso la sentenza del 11/11/2016 della Corte di Appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione
udito per l’imputato l’avv. Giovanni Iacopetti, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’Il novembre 2016 la Corte di Appello di Firenze, in
parziale riforma della sentenza del 2 dicembre 2014 del Tribunale di Lucca, ha
rideterminato in quattro mesi di arresto ed euro 35000 di ammenda la pena,
sospesa subordinatamente alla realizzazione delle opere di adeguamento
prescritte dalla Pubblica Amministrazione, inflitta ad Elio Angelini per il reato di
cui agli artt. 181, comma 1-bis d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e 44, comma 1,

Data Udienza: 08/02/2018

lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a seguito della realizzazione, in zona
paesaggistica e senza le prescritte autorizzazioni, di una piscina in area di 250
metri quadrati appositamente disboscata, nonché della creazione di un tracciato
stradale a fondo naturale mediante complessivo asporto di ulteriore vegetazione,
per una lunghezza di metri 38 e con una larghezza media di metri 2,30.
2. Avverso la predetta decisione l’interessato ha proposto ricorso per
cassazione con sei motivi di censura.
2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha lamentato violazione del

contestata la fattispecie delittuosa ma infine gli era stata inflitta una pena
riferibile all’ipotesi contravvenzionale, con evidente lesione del proprio diritto di
difesa.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha osservato che il reato paesaggistico
doveva essere dichiarato estinto, stante l’intervenuta sanatoria paesaggistica.
Invero, secondo il ricorrente, il Comune di Lucca aveva rilasciato
l’autorizzazione ambientale a seguito di istanza proposta a norma degli artt. 181,
comma 1-ter e 1-quater del decreto legislativo 42 cit.. Ciò posto, il precedente
giurisprudenziale contrario si riferiva ad una fattispecie molto più invasiva, sì che
l’avvenuto condono ambientale non comportava, anche a prescindere dalla
valutazione amministrativa, un rilevante impatto estetico, in tesi emergente ictu
ocu/i,

non sussistendo pertanto alcuna macroscopica lesione dell’interesse

ambientale.
2.3. Col terzo motivo, sempre in ordine al cd. reato paesaggistico, il
ricorrente ha osservato che il provvedimento impugnato aveva ritenuto
l’esistenza di opere non sanabili che presentavano un impatto sul territorio con la
creazione di superficie utile (trattandosi tra l’altro di un reato di pericolo),
laddove al contrario la creazione di una piscina e di un breve tracciato di fondo
naturale ben difficilmente avrebbe provocato un tale incremento. Al contrario,
faceva invero difetto qualsiasi valutazione sull’impatto estetico, necessaria per
disattendere il provvedimento di condono ambientale.
2.4. Col quarto motivo è stata dedotta violazione di legge penale circa
l’insussistenza della cd. doppia conformità, mentre invece si trattava
dell’esecuzione di attività di contenuto così ridotto da doversi considerare alla
stregua di mere prescrizioni esecutive, quali l’eliminazione della pista a fondo
naturale e l’interramento di alcuni scalini del manufatto, sì che non poteva
escludersi l’avvenuta estinzione del reato di cui all’art. 44 lett. c) del d.P.R. 380
cit., data l’esiguità dei lavori così prescritti.
2.5. Col quinto motivo il ricorrente ha negato che la natura pertinenziale
della piscina fosse esclusa in ragione delle dimensioni del fabbricato, trattandosi
di vasca di 38,25 metri quadrati a corredo di una civile abitazione, opera da
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principio di correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che era stata

ritenere assoggettabile a s.c.i.a., tra l’altro in carenza di aumento del carico
urbanistico. In specie la piscina aveva la ridetta dimensione, con una profondità
di soli metri 1,50, mentre il tracciato stradale a fondo naturale era finalizzato al
transito per la realizzazione della piscina, e la precarietà di detta opera si
evinceva anche dalla sua descrizione.
2.6. Col sesto motivo il ricorrente ha lamentato la mancata concessione
delle attenuanti generiche, disattese in ragione di un remoto precedente che,
senza contestazione di recidiva, avrebbe dovuto rappresentare elemento

tenuto conto della successiva condotta ineccepibile, mentre avrebbe dovuto
essere valutata la gravità dell’episodio pregresso, più che l’esistenza stessa del
precedente penale.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento senza
rinvio per prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è complessivamente inammissibile.
Va anzitutto osservato che l’esame del ricorso può essere effettuato
prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia
quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno
adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni (salva la parziale
rideterminazione della pena in appello), che possono essere valutati
congiuntamente, ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e
di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
E’ infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d’appello abbia
accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei
a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre
far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e
completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella
d’appello (ex plurimis, Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione,
Rv. 197250).
Invero, allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi
e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive
decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella
precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis,
Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).
4.1. In relazione pertanto al primo motivo di censura, la contestazione a
carico dell’imputato non è mai stata modificata, così come è stata sempre

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sintomatico della capacità a delinquere dell’imputato. Al contrario, non era stato

richiesta la condanna dell’odierno ricorrente alle sole pene dell’arresto ovvero
dell’ammenda, postulando quindi l’esistenza di reati contravvenzionali. In
proposito mai è insorto rilievo di sorta, per cui non vi è stata alcuna violazione
del diritto di difesa atteso che al ricorrente è stata sempre contestata
l’esecuzione di lavori su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in
difformità di essa.
4.2. Il secondo ed il terzo profilo di censura possono essere esaminati
congiuntamente.
1-ter)

che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui
all’articolo 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la
compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma / -quater, la
disposizione di cui al comma 1 (ossia la sanzione penale) non si applica: a) per i
lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che
non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità
dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380.
In proposito (comma 1-quater), il proprietario, possessore o detentore a
qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al
comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine
perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da
rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Ciò posto, (comma 1-quinquies) la rimessione in pristino delle aree o degli
immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che
venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che
intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1.
4.2.2. Alla stregua di quanto sopra, si ricorda peraltro che, in tema di reati
paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non
determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto
compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto
legittimanti l’applicazione del cosiddetto condono ambientale (in specie si
trattava della realizzazione di un intervento edilizio che comportava l’aumento di
superfici utili e volumi, con conseguente ritenuta inapplicabilità del condono
ambientale nonostante l’intervenuto rilascio del parere di compatibilità
paesaggistica)(Sez. 3, n. 13730 del 12/01/2016, Principato, Rv. 266955; cfr.
anche Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, dep. 2012, Falconi e altri, Rv. 251640).
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4.2.1. Al riguardo, l’art. 181 d.lgs. 42 cit. prevede tra l’altro (comma

4.2.3. In proposito, dalla lettura della motivazione della sentenza del
Tribunale di ‘Lucca si può agevolmente evincere l’entità degli interventi di
adeguamento richiesti dalla Pubblica amministrazione, quanto all’eliminazione
della strada e della pista di esbosco, al ridimensionamento della vasca col
completamento della trasformazione della piscina in vasca ad uso irriguo, tramite
l’eliminazione delle scalette interne di accesso, l’interramento dei bordi in
cemento, il ripristino della scarpata a valle della piscina. Sì che del tutto corretto
risulta il ragionamento siccome somministrato nel merito, atteso che il

delle superfici utili occupate dalla piscina, infine ridotta a vasca irrigua così
stravolgendo in ogni caso la propria funzione per conseguire l’autorizzazione
paesaggistica, e dalla strada a fondo naturale, chiamata a servire proprio l’invaso
con funzione certamente non precaria nel tempo.
4.2.4. In definitiva, quindi, sono riproposte le questioni già correttamente
risolte dai Giudici del merito.
E’ stata infatti lamentata l’omessa declaratoria di estinzione del reato
paesaggistico, nonostante l’esito positivo della procedura ex art. 181, commi Iter e 1-quater citt.; laddove, al contrario, non sussiste alcun automatismo (v.
supra) tra provvedimento amministrativo e vicenda penale.
Invero, a fronte dell’introduzione del cd. condono ambientale mercé
l’inserimento dei commi 1-ter e 1-quater citt. con l’art. 1, commi 37, 38 e 39
della legge 15 dicembre 2004, n. 308, detto condono è comunque configurato
come diretto agli interventi minori, che sono appunto quelli identificati nel
comma 1-ter..
Al riguardo, è stato ormai ripetutamente affermato che essi sono definiti tali
in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull’assetto del
territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di
legge. Detti interventi (v. supra) sono così i lavori, realizzati in assenza o
difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato
creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli illegittimamente
realizzati (comma 1-ter, lettera a), quelli che abbiano comportato l’impiego di
materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica (lettera b) e quelli che
costituiscono interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria a norma
dell’art. 3 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 (lettera c).
In siffatto quadro, atteso che tra gli interventi che il legislatore non consente
di qualificare neppure ex post – cioè alla luce della concreta valutazione del loro
effettivo impatto – compatibili all’ambiente è inclusa la creazione di “superfici
utili”, e che il legislatore non fornisce, contestualmente, una definizione del
concetto “superfici utili” in modo espresso, il suo significato è comunque
agevolmente identificabile in un’immutazione stabile dell’assetto territoriale

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disboscamento, non autorizzato, aveva creato la condizione per la realizzazione

attuata a discapito della vincolata conformazione originaria, dalla quale
nettamente prescinde, non integrandone alcuna specie di manutenzione (cfr.
Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, dep. 2012, Falconi e altri, Rv. 251641). In
ragione di ciò, la nozione di superficie utile va individuata, in mancanza di
specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la
contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica,… considerando
l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio, tale da
determinare una compromissione ambientale (così, in motivazione, anche Sez.

4.2.5. In coerenza e continuità, pertanto, era stato colà qualificato come
incisivo mutamento stabile dell’assetto territoriale la realizzazione di “due strade
di arroccamento ad elevata pendenza” in un’area senza preesistenti tracce dove
inserire le strade, peraltro ricordando che la stessa realizzazione di una strada,
anche dove già preesisteva un sentiero, integrava “una immutazione stabile dello
stato dei luoghi” non riconducibile ad attività di manutenzione (Sez. 3, n. 3725
del 13/01/2005, Boscacci, Rv. 230679), così come l’allargamento di una strada
preesistente (Sez. 3, n. 33186 del 03/06/2004, Spano, Rv. 229130).
In specie, appunto, addirittura un previo non autorizzato disboscamento
aveva consentito l’esecuzione, ancorché non ancora ultimata al momento
dell’accertamento, delle opere in contestazione (la piscina, tra l’altro, era stata
posta in essere in luogo differente rispetto al provvedimento autorizzativo). Del
tutto logicamente, quindi, è stata ritenuta (in via del tutto assorbente sul punto,
in ragione quantomeno dell’indebita attività di estirpazione della vegetazione
presente) la ricorrenza del reato paesaggistico, anche al di là del concreto
pregiudizio all’assetto territoriale di inserimento, la norma prevedendo in ogni
caso un reato di pericolo (circostanza pacifica).
4.3. Allo stesso tempo si presenta manifestamente infondato anche il quarto
motivo di ricorso.
Al riguardo, infatti, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il
reato di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o
condizioni, deve riguardare l’intervento edilizio nel suo complesso e può essere
conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate
dall’art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto,
che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo
escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente
abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria
“giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie
ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del
21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973). Invero deve ritenersi illegittimo, e non
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3, n. 44189 del 19/09/2013, Tognotti, Rv. 257527).

determina l’estinzione del reato edilizio di cui all’art. 44 lett. b) del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria
condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il
manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto
detta subordinazione contrasta ontologicamente con la

ratio della sanatoria,

collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale
rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratù
e altro, Rv. 266034; cfr. anche Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, Montini e altro,

concessione in sanatoria parziale, dovendo l’atto abilitativo postumo contemplare
tutti gli interventi eseguiti nella loro integrità (Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016,
Rongo, Rv. 267290).
Va da sé, pertanto, che la lunga serie di prescrizioni contenute nella
domanda di sanatoria (v. supra) si presenta come preclusiva di ogni possibilità di
auspicata estinzione del reato per tale titolo.
4.4. Parimenti non può accogliersi il quinto motivo d’impugnazione.
Come è stato già ricordato, infatti, in materia edilizia, affinché un manufatto
presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria
individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un
edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di
mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione
autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti
(Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv. 253064). La realizzazione
quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una residenza privata
legittimamente edificata, non richiede il preventivo rilascio del permesso di
costruire solo nel caso in cui si accerti la sua natura pertinenziale, la quale va
esclusa non solo quando la stessa abbia dimensioni non trascurabili, ma anche
quando si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione
ovvero, per le sue caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma (Sez.
3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903)1
4.4.1. Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato che il
manufatto, per quanto abbondantemente rilevato, era in contrasto con lo
strumento urbanistico, tant’è che ne era stata ingiunta la trasformazione in una
mera vasca irrigua o antincendio, la cui differenza funzionale con una piscina
addetta ad un alloggio privato appare di oggettivo e non discutibile rilievo.
4.5. In relazione all’ultimo motivo d’impugnazione, quanto al trattamento
sanzionatorio inflitto, è appena il caso di ricordare in primo luogo che la
concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di
situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore
dell’imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460). Del pari,
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Rv. 250477). In conseguenza, non sarebbe neppure ammissibile il rilascio di una

esse non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale
“concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non
contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai
sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti
e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della
quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv.
260054). Mentre in specie, come è stato espressamente rilevato dalla Corte
territoriale senza specifica censura, non emergevano elementi tali da consentire
la riduzione della pena al di sotto del minimo edittale.

valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una sanzione
sostitutiva è legata agli stessi criteri previsti dalla legge per la determinazione
della pena, e quindi il giudizio prognostico positivo cui è subordinata la possibilità
della sostituzione non può prescindere dal riferimento agli indici individuati
dall’art. 133 cod. pen., con la conseguenza che il giudice può negare – come in
specie – la sostituzione della pena anche soltanto perché i precedenti penali
rendono il reo immeritevole del beneficio, senza dovere addurre ulteriori e più
analitiche ragioni (Sez. 2, n. 28707 del 03/04/2013, Di Pasquale, Rv. 256725).
Infatti deve considerarsi esente da censura la motivazione con cui il giudice
di appello, esercitando il potere discrezionale ai sensi dell’art. 58 legge 24
novembre 1981, n. 689, respinge l’istanza di conversione della pena detentiva
con quella pecuniaria, considerando minima, addirittura inadeguata, la pena
irrogata dal primo giudice, sicché la richiesta sostituzione avrebbe reso ancor
meno effettiva la sanzione (Sez. 3, n. 21265 del 27/02/2003, Mauriello, Rv.
224512).
6. Il ricorso si presenta quindi manifestamente infondato, per cui ne va
dichiarata senz’altro l’inammissibilità.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
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In ordine infine alla richiesta conversione della pena detentiva, la

Così deciso in Roma il 08/02/2018

Il Consig iere estensore

dio Cerroni

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