Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18519 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18519 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Falciola Giovanni Battista, nato a Milano il 27/3/1935

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Milano in data
12/2/2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12/2/2015, il Tribunale del riesame di Milano, in
accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, disponeva il sequestro
preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di beni nella disponibilità di
Giovanni Battista Falciola fino alla concorrenza di 486.152,00 euro; allo stesso
erano ascritte violazioni di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000,
n. 74, commesse quale amministratore unico della “Presspali s.p.a.” per gli anni
di imposta 2008-2011.

Data Udienza: 08/04/2015

2. Propone ricorso per cassazione il Falciola, a mezzo del proprio difensore,
deducendo due motivi:
– violazione dell’art. 10-ter citato con riferimento all’anno di imposta 2008. Il
Tribunale del riesame avrebbe disposto la misura cautelare anche in ordine al
delitto in oggetto, pur a fronte di un’imposta evasa contestata nella misura di
73.575,00 euro; ciò contrasterebbe con la sentenza della Corte costituzionale n.
80 dell’8/4/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella
parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17/9/2011, punisce

relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di
imposta, ad euro 103.291,38;
– violazione dell’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, 322-ter
cod. pen.. Il Tribunale avrebbe imposto il vincolo sui beni del ricorrente, anziché
verificare la disponibilità finanziaria in capo alla “Presspali”, in ragione della sola
dichiarazione di fallimento di questa e, in tal modo, disattendendo
l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte per cui, qualora il sequestro
abbia ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria, l’adozione della misura
reale prevale sempre rispetto alla procedura fallimentare; sarebbe stato
necessario, quindi, verificare quanto aggredibile in via diretta e valutarne
l’esaustività con riguardo alla pretesa punitiva. Inoltre, l’ordinanza avrebbe
tenuto conto del solo passivo fallimentare, senza considerare affatto l’attivo.
Ancora, il Tribunale di Milano avrebbe riconosciuto che «agli atti non vi sono
emergenze di una qualche utilítas derivante dai reati in parola e direttamente
trasmigrata nel patrimonio dell’indagato»; di tal chè, non sarebbe possibile
disporre non solo la confisca diretta, ma neppure quella per equivalente, che
comunque richiede che il patrimonio dell’indagato sia stato incrementato
dall’illecito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Come affermato dal Falciola, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 80
del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter, d. Igs. n. 74
del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17/9/2011,
punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base
alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo
di imposta, ad euro 103.291,38; ciò premesso, il reato è ascritto al ricorrente
con riferimento all’anno di imposta 2008 e per l’ammontare di 73.575,00 euro, di
tal ché – non rivestendo ormai rilevanza penale – non può costituire presupposto

2

l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla

per l’imposizione del vincolo reale, che deve quindi esser decurtato per la stessa
somma. La quale, pertanto, deve essere restituita all’avente diritto, quale il
curatore fallimentare.
4. Il secondo motivo, invece, è infondato.
Con riguardo alla necessità di una preventiva escussione del patrimonio
societario, osserva il Collegio che la nota sentenza Gubert delle Sezioni unite di
questa Corte (Sez. U., n. 10561 del 30/1/2014, Gubert, Rv. 258646) richiamata anche dal Tribunale – ha affermato che, in tema di reati tributari

sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto, derivante dal
reato medesimo, non potendosi considerare, in tal caso, la società come persona
estranea al reato ai sensi dell’art. 322er cod. pen.; ciò, peraltro, solo a
condizione che il profitto medesimo – anche sotto forma di risparmio di imposta sia rimasto nella disponibilità dell’ente e, pertanto, sia suscettibile di aggressione
immediata. Orbene, dato questo principio di carattere generale, l’ordinanza
impugnata aderisce al costante indirizzo in forza del quale, in tema di reati
tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario
emergente dagli atti processuali, a chiedere al Giudice il sequestro preventivo
nella forma per “equivalente” (sui beni del legale rappresentante), invece che in
quella “diretta” (sui beni dell’ente), all’esito di una valutazione allo stato degli
atti in ordine al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione
del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori
accertamenti preliminari volti a rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della
società, ovvero a ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la
trasformazione (quel che, all’evidenza, richiederebbe un tempo potenzialmente
idoneo a vanificare le finalità di cautela, consentendo l’occultamento degli altri
beni suscettibili di confisca) (Sez. 3, n. 1738 dell’11/11/2014, Bartolini, Rv.
261929). Esattamente come avvenuto nel caso di specie, nel quale il Collegio di
merito, proprio in quest’ottica, ha preso atto del fallimento della “Presspali”,
evidenziando «la concreta impossibilità di rinvenire presso la società il profitto
dei reati tributari», sotto forma di risparmio di imposta; in particolare,
l’ordinanza ha affermato che «non è possibile rinvenire una tale disponibilità di
beni presso la società in parola, il cui fallimento ha uno stato passivo accertato e
dichiarato esecutivo al 19/3/2014 (data della redazione della relazione ex art. 33
I.f.) pari ad euro 65.082.008,16, di cui euro 64.302.278,02 per i soli debiti verso
l’erario ed enti previdenziali. La curatela precisava, altresì, che vi erano ancora
domande di ammissione al passivo tardive che dovevano ancora essere oggetto
di accertamento per un complessivo importo pari a 1.949.237,81 euro».

commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il

Sì da giustificare la richiesta del pubblico ministero di un sequestro
finalizzato alla confisca per equivalente sui beni del Falciola, e la relativa
ordinanza del Tribunale di Milano, che sul punto si è pronunciata con motivazione
adeguata, logica e priva di censure; e senza che rivesta alcun rilievo
l’accertamento dell’attivo fallimentare (peraltro non quantificato dal ricorrente),
atteso che – come già indicato – la valutazione del patrimonio dell’ente, nella
fase cautelare, va compiuta esclusivamente sul compendio indiziario disponibile.
5. Questa conclusione, peraltro, non muta neppure a fronte del passo

di una qualche utilitas derivante dai reati in parola e direttamente trasmigrata
nel patrimonio dell’indagato». Ed invero, la contestazione provvisoria mossa al
Falciola concerne condotte commesse quale amministratore unico della
“Presspali s.p.a.”, effettiva beneficiaria delle omissioni di cui all’art.

10-bis, d.

Igs. n. 74 del 2000, nella forma del “profitto-risparmio”; quel che è richiesto per
configurare la violazione, dunque, non è che l’amministratore abbia accresciuto il
proprio patrimonio (travasandovi le somme destinate al pagamento delle
imposte societarie), ma che – con coscienza e volontà – abbia omesso i
versamenti erariali dovuti dall’ente, a prescindere dalla diversa destinazione poi
assegnata alle somme medesime.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente all’imputazione
provvisoria di cui all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000 e ordina la restituzione
della relativa somma di 73.575,00 euro all’avente diritto.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, 1’8 aprile 2015

igliere estensore

Il Presidente

motivo nel quale il Tribunale ha sostenuto che «agli atti non vi sono emergenze

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