Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18511 del 15/01/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18511 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti
nei confronti di
Paonessa Maurizio, nato a Acqui Terme il 22/03/1966
avverso la sentenza del 11/11/2013 del Gip presso il tribunale di Asti;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
letta la requisitoria del Procuratore generale che ha concluso per l’annullamento
con rinvio;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 15/01/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Asti, con sentenza
del 11.11.2013, ha assolto Maurizio Paonessa,

nei confronti del quale il

Pubblico Ministero aveva richiesto l’emissione di decreto penale di condanna per
il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, perché effettuava
attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi (per lo
più rottami ferrosi) in assenza della prescritta iscrizione all’Albo dei gestori

nel corso dell’anno 2012).

Avverso tale pronuncia propone ricorso per

cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge e rileva che il
G.I.P. ha fondato la propria decisione sull’assenza di “professionalità” rilevante ai
sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, nella condotta oggetto di contestazione e sulla
circostanza che, a seguito dell’abrogazione della norma istitutiva del registro
degli esercenti dei mestieri girovaghi ai sensi dell’art. 121 TULPS, l’attività di
raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante deve ritenersi liberalizzata in
quanto non soggetta a specifici provvedimenti autorizzativi.
Ciò posto, osserva che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con il
consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo cui il reato
contemplato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, ha natura di reato comune ed
istantaneo e che in ogni caso, pur non aderendo a tale tesi interpretativa,
considerando quindi il reato in questione come reato proprio, la questione non
muterebbe, in quanto la condotta posta in essere dall’imputato, per le sue
caratteristiche oggettive, sarebbe in ogni caso caratterizzata dalla necessaria
“professionalità” o “imprenditorialità”, risultando dagli atti di causa che, in
occasione dell’attività di osservazione da parte della polizia giudiziaria,
protrattasi per alcuni mesi, era emerso che questi aveva conferito i rifiuti raccolti
ad un centro di recupero con idoneo mezzo di trasporto utilizzando la cd.
“ricevuta private”, la quale attesta che i rifiuti sono prodotti dal soggetto
conferente, pur non essendo egli titolare di un’impresa dall’esercizio della quale
derivano rifiuti.
Aggiunge che, in ogni caso, se il giudice avesse nutrito dubbi in proposito
avrebbe dovuto, al più, rigettare la richiesta di decreto penale e non anche
pronunciare una sentenza assolutoria. Per ciò che concerne, inoltre, la lettura del
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, offerta dall’impugnata sentenza,
premessa l’analisi della normativa di settore e richiamate le precedenti pronunce
di questa Corte in materia, rileva che la parziale abrogazione dell’art. 121 TULPS
non avrebbe di fatto liberalizzato, come ritenuto dal giudice, l’esercizio

2

ambientali di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, (fatto commesso in Asti

dell’attività dì raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, essendo stata, al
contrario, ripristinata la norma generale che impone l’obbligo di iscrizione all’Albo
dei gestori ambientali ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria depositata, ha concluso per
l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio al Giudice per le indagini
preliminari.
29/12/2014

il Pubblico Ministero ricorrente faceva pervenire

memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Va premesso che il Pubblico Ministero ricorrente sottopone a questa Corte,
sostanzialmente, due questioni: l’una concernente la natura del reato di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, e l’altra l’ambito di operatività della deroga
prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, per le attività di raccolta
e trasporto di rifiuti in forma ambulante, ritenute entrambe rilevanti per
confutare le argomentazioni poste a sostegno del provvedimento impugnato. Il
G.I.P. assume, infatti, che l’iscrizione richiesta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art.
212, riguarda esclusivamente l’attività di gestione di rifiuti svolta in forma
imprenditoriale, cosicché la sua mancanza assumerebbe rilievo penale solo in
tale ipotesi, restando quindi estranea la condotta di coloro che, come l’imputato,
agiscono su piccola scala, raccogliendo modeste quantità di rifiuti abbandonate o
consegnate dai privati.
Osserva, inoltre, che il riferimento, contenuto nel D.Lgs. n. 152 del 2006,
art. 266, comma 5, ai “soggetti abilitati” allo svolgimento dell’attività di raccolta
e trasporto in forma ambulante sarebbe frutto di una svista del legislatore o del
mancato coordinamento tra norme, non essendosi tenuto conto dell’abrogazione
della norma istitutiva del registro degli esercenti mestieri girovaghi, cui
conseguirebbe l’inevitabile liberalizzazione dell’attività medesima, non potendosi
peraltro ritenere ragionevole un’interpretazione che subordini l’operatività della
deroga di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, al possesso dei
requisiti soggettivi richiesti dalla disciplina del commercio introdotta con il D.Lgs.
n. 114 del 1998, trattandosi di disposizioni il cui ambito di operatività è del tutto
diverso da quello delineato per il D.Lgs. 152 del 2006.

2. Date tali premesse, occorre rilevare come il presente ricorso riguarda
identiche questioni già sottoposte all’attenzione di questa Corte nell’ambito di

3

In data

altro procedimento facente parte del medesimo gruppo di procedimenti avviati
dalla Procura della Repubblica di Asti.
Deve conseguentemente richiamarsi integralmente il contenuto della
precedente decisione (Sez. 3″, n. 29992 del 24/6/2014, Lazzaro Rv. 260266)
all’esito della quale venivano formulati i seguenti principi di diritto:
“la condotta sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, è
riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una
attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli artt. 208, 209, 210, 211,

secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che
richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia
caratterizzata da assoluta occasionalità”.
“la deroga prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, per
l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma
ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in
possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma
ambulante ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e, dall’altro, che si tratti di
rifiuti che formano oggetto del suo commercio”.

3. Va infine rilevato che il Pubblico Ministero ricorrente, con la memoria in
data 29/12/2014 critica la summenzionata decisione di questa Sezione (Sez. 3″,
n. 29992 del 24/6/2014, Lazzaro,Rv. 260266) nella parte in cui ritiene
applicabile la deroga di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, nei
casi in cui il soggetto interessato sia in possesso del titolo abilitativo per
l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del D.Lgs. 31
marzo 1998, n. 114, e che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo
commercio.
Sostiene infatti il Pubblico Ministero, richiamando il contenuto dell’art. 121
TULPS, che la deroga non sarebbe, di fatto, operante dovendosi, quindi,
applicare anche alla raccolta ed al trasporto ambulante di rifiuti la disciplina
ordinaria.
Si afferma, nella memoria, come appaia plausibile che il legislatore, pur
riferendosi improvvidamente, nella L. 426de1 1998, al commercio ambulante,
avesse voluto fare riferimento, invece, all’art. 121 TULPS, il quale contemplava le
attività di “cenciaiolo” e mestieri analoghi, richiamando, a sostegno della
fondatezza delle proprie affermazioni, il contenuto delle disposizioni in tema di
commercio ambulante, succedutesi nel tempo ed osservando come tale disciplina
non si attagli ai raccoglitori itineranti di rifiuti, i quali svolgono un’attività del
tutto diversa, assimilabile a quella del commerciante all’ingrosso o
dell’intermediario.
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212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo

Si aggiunge, poi, che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, nel
riferirsi ai rifiuti non considera la loro classificazione, in base alla quale dovrebbe
concludersi che non resta spazio alcuno per l’attività di raccolta ambulante dei
rifiuti, che, pertanto, non rientrerebbe nella deroga, riferendosi la stessa alle sole
attività precedentemente disciplinate dall’art. 121 TULPS. A conferma della tesi
nuovamente prospettata la memoria richiama una proposta di legge, non meglio
indicata, relativa all’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 152 del 2006, art.
266, comma 5, in base alla quale la deroga sarebbe applicabile, come pure

vigenti in tema di commercio ambulante (richiamato espressamente il D.Lgs.
114 del 1991), siano autorizzati al commercio al dettaglio, su aree pubbliche, di
beni usati ovvero di oggetti di antiquariato e da collezionismo non aventi valore
storico – artistico, riferendosi esplicitamente la relazione a chi svolge attività di
“robivecchi” o assimilate.

4.

Osserva a tale proposito il Collegio che la sentenza 29992/2014,

diversamente da quanto ritenuto dal Pubblico Ministero ricorrente, non si pone
affatto su un piano diverso, perché, richiamato quanto già precisato in
precedenti pronunce della Sezione sul fenomeno del “commercio ambulante di
rifiuti”, ha chiaramente delimitato l’ambito di efficacia della deroga di cui al
D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 266, comma 5, alle sole ipotesi in cui sia
effettivamente applicabile la disciplina sul commercio ambulante di cui al D.Lgs.
n. 114 del 1998, e tale applicabilità sia dimostrata dall’interessato ed accertata
in fatto dal giudice del merito, escludendosi, conseguentemente, che l’attività di
raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi consistenti, per lo
più, in rottami ferrosi (quale è quella oggetto dell’imputazione nel presente
procedimento) possa rientrare nella nozione di commercio ambulante come
individuata dal menzionato D.Lgs. 114 del 1998.
Ulteriore conseguenza di tale interpretazione è che l’ambito di operatività
della deroga è proprio limitata, come sembra ritenere il Pubblico Ministero con il
richiamo alla proposta di legge di interpretazione autentica, ad ipotesi residuali
quali quelle della vendita su aree pubbliche di cose del tipo di quelle descritte
nella proposta di legge medesima.

5. L’unica differenza, a questo punto senza alcun effetto concreto, resta il
riferimento all’art. 121 TULPS che proprio l’esplicita menzione del D.Lgs. n. 114
del 1998 operato dalla proposta di legge, cui il Pubblico Ministero attribuisce un
rilevante significato, sembra peraltro escludere.
La sentenza 29992/2014, invero, contiene (pag. 9, punto 10) un esplicito
richiamo ad altra precedente pronuncia (Sez. 3^ n. 19111 del 3/5/ 2013,

5

indicato nella relazione illustrativa, ai soggetti che, sulla base delle disposizioni

Mihalache, non rnassimata) nella quale la questione era stata già affrontata,
riportandone nel dettaglio i punti salienti della motivazione.
Tra questi, merita di essere ancora una volta ricordato quello concernente
espressi richiami ai contenuti del D.Lgs. n. 114 del 1998 e, segnatamente, alla
definizione, contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. b), di “commercio al dettaglio”,
descritto come “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in
nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante
altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”. Si aggiunge,

relativo al commercio al dettaglio su aree pubbliche, definite, dall’art. 27, comma
1, lett. b), come “le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà
privata gravate da servitù di pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque
natura destinata ad uso pubblico” e che l’attività commerciale esercitabile è,
inoltre, quella indicata dall’art. 18, comma 1, lett. b), e, cioè, quella che può
essere svolta “su qualsiasi area purché in forma itinerante” e soggetta
all’autorizzazione di cui al successivo comma 4, rilasciata, in base alla normativa
emanata dalla Regione, dal Comune nel quale il richiedente, persona fisica o
giuridica, intende avviare l’attività. Rinviando, per le ulteriori considerazioni sui
rapporti tra le diverse discipline a quanto prospettato nelle precedenti decisioni,
deve ricordarsi che, tra l’altro, nella sentenza si è anche esplicitamente rilevato
come “la deroga è giustificata dalla valutazione di minor pericolosità per la salute
e per l’ambiente operata dal legislatore con riguardo ad una attività che poteva
pacificamente ricondursi a quella dei cd. robivecchi”, escludendo chiaramente
che essa possa essere utilizzata “per legittimare attività diverse che richiedono,
invece, il rispetto delle disposizioni di carattere generale”.
Inoltre, si è ulteriormente chiarito, in motivazione, che “il D.Lgs. n. 152 del
2006, art. 266, comma 5, spiegherà i suoi effetti solo nel caso in cui si
verifichino le condizioni suddette, dovendosi applicare, in tutti gli altri casi, la
disciplina generale sui rifiuti”.

5. Ciò posto, è di tutta evidenza che quanto paventato dal Pubblico Ministero
nella memoria e, cioè, che per attività quale quella
oggetto di imputazione possa essere richiesta ed ottenuta un’autorizzazione
per l’attività svolta in forma itinerante, è del tutto impensabile, perché giammai
una simile attività potrebbe essere astrattamente riconducibile a quelle descritte
dal D.Lgs. n. 114 del 1998, ed esercitata in concreto con le modalità che lo
stesso decreto stabilisce.

6

poi, che la disciplina astrattamente applicabile è quella regolata dal Titolo X,

6. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con
rinvio, richiamando i summenzionati principi cui il giudice del merito dovrà
attenersi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Asti.

Così deciso il 15/01/2015

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