Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18508 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18508 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

1) SCALZI Fabio, nato il 16/12/1967;
2) CAPPARELLA . Simona, nata il 26/06/1976;

Avverso l’ordinanza n. 2696/2017 del Tribunale di Roma in data 09/10/2017;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;

Udite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del dott. Piero Gaeta, che
ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 23/03/2018

1. Con ordinanza in data 09/10/2017 il Tribunale di Roma accoglieva soltanto
parzialmente la richiesta di riesame avanzata da Scalzi Fabio e Capparella Simona
avverso l’ordinanza del 18/09/2017 emessa dal GIP Tribunale di Rieti,che aveva
applicato allo Scalzi la custodia cautelare in carcere ed alla Capparella gli arresti
domiciliari. Rilevava il Tribunale che ai due indagati si contestavano un episodio di
incendio boschivo (ex art. 423 bis cod.pen.) e al solo Scalzi anche un
danneggiamento seguito da incendio (ex art. 424 cod.pen.): ma l’ordinanza
originaria doveva essere annullata circa il secondo episodio poiché i limiti edittali del

all’incendio boschivo occorso il 16/06/2017 (che ha aveva distrutto oltre 10 ettari di
bosco ceduo, durando per due giorni e richiedendo uno spiegamento di mezzi di aria
e di terra, cagionando l’evacuazione di case e danni ad un’area protetta, a linee
elettriche e telefoniche), sussistevano i gravi indizi di colpevolezza: infatti, l’incendio
era scoppiato alle ore 19.30 del giorno anzidetto, in una località del Comune di
Mompeo ed una testimone (tale Fiori Azzurra) aveva riferito che transitava in quel
luogo proprio in quel momento, avendo così modo di incrociare la vettura con i due
indagati (da lei conosciuti quali gestori di un negozio di generi alimentari) e di
scorgere, giungendo in un punto dove i due erano già transitati, che le fiamme
avevano appena preso a divampare con notevole ardore, tanto che ella aveva
chiamato i soccorsi; le dichiarazioni precise della testimone e gli elementi che
indicavano un’origine dolosa dell’incendio facevano confluire le indagini nei confronti
dei due ricorrenti, i quali venivano sottoposti ad intercettazione di conversazioni che
venivano stimolate da attività di polizia giudiziaria, le quali servivano da pretesto per
spingere i due indagati a commentare quanto vedevano. Il Tribunale sottolineava che
i due indagati nella loro autovettura parlavano liberamente in modo diffuso e
dettagliato, avevano deciso di fornire la medesima versione ai Carabinieri e di
rispondere alle domande in modo generico, ma, incalzati dagli eventi, commentavano
le evoluzioni delle indagini; spesso essi facevano riferimento preciso al punto in cui
era scoppiato l’incendio e sospettavano di essere stati denunziati da tale Sabrina
Signoretti, con la quale avevano avuto un contenzioso civile e che era sposata a tale
Francesco Allegrini, il quale era in concorrenza commerciale con loro per la vendita di
frutta: circa un mese dopo un altro incendio veniva appiccato vicino la casa della
Signoretti e i due indagati vi facevano spesso riferimento come un fatto che doveva
far sentire minacciata la donna; poi subentrava il timore di essere stati visti sul luogo
dell’incendio e i due si rassicuravano poiché lo Scalzi diceva che aveva visto nello
specchietto retrovisore e non c’era nessuno a vederli, ma l’ansia diventava crescente
e la Capparella apertamente chiedeva se qualcuno li aveva visti quel giorno e con
riferimento all’incendio boschivo (ciò in data 19/08/2017); poi il 25/08/2017 lo Scalzi
diceva, con riferimento all’incendio boschivo, che la vettura della Signoretti non era
nei pressi, per cui ella non poteva averli visti dare alle fiamme i terreni. Si
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delitto non consentivano la misura cautelare in carcere. Invece, in relazione

respingevano le deduzioni difensive di indagini effettuate a senso unico e sulla base
di un solo elemento, poiché invece vi erano più fattori convergenti e le indicazioni di
indagini suppletive erano parse irrilevanti; parimenti si sottolineava l’incongruenza di
certe risposte fornite dagli indagati, le mancate spiegazioni sul timore di essere stati
visti e, infine, si respingeva la prospettazione del tema dell’agente provocatore con
riferimento alle tecniche provocatorie utilizzate dalla polizia giudiziaria sia poiché il
delitto era stato già commesso sia perché non era stata determinata in alcun modo
l’intenzione criminosa, per cui i risultati investigativi erano utilizzabili. Il danno

violenza, solito minacciare nei colloqui la Signoretti e detentore di armi, per cui la
misura cautelare estrema restava da confermare; alla Capparella si sostituiva la
misura degli arresti domiciliari con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria,
per il minor ruolo rivestito nell’episodio criminoso.

2.

Avverso detta ordinanza propongono ricorso gli interessati a mezzo del

difensore avv. Riccardo Castellani, deducendo, ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e),
cod.proc.pen., erronea applicazione di legge e manifesta illogicità della motivazione e
sostenendo che il Tribunale del Riesame aveva disposto la scarcerazione per il capo
B) della rubrica, riconoscendo implicitamente che lo Scalzi non poteva averlo
commesso, per cui avrebbe dovuto dedurne una abbattimento della gravità indiziaria
anche per il precedente capo A); censurano una asserita incongrua motivazione sulle
deduzioni difensive, relative anche alla mancanza di autonomo convincimento sui
dati raccolti nelle indagini, al difetto di indagini in direzione della innocenza dei
ricorrenti, i quali sono incensurati ed hanno indicato subito persone che possono
averli accusati falsamente; inoltre non era stato considerato che gli esiti di indagine
erano stati ottenuti con azioni provocatorie della polizia giudiziaria, che stimolavano i
commenti dei ricorrenti senza considerare le macchinazioni ai loro danni della coppia
Signoretti-Allegrini e senza considerare l’assenza di elementi concreti circa il rischio
di recidivanza, tratto da mere vanterie e semplici millanterie nei discorsi che avevano
condotto ad una misura estrema e sproporzionata.

3. Il P.G. ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili poiché manifestamente

infondati.
Le doglianze dei ricorrenti si prestano ad essere raggruppate in insiemi omogenei
di argomentazioni, partitamente esaminate.

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dell’incendio era stato enorme e lo Scalzi si era mostrato persona incline alla

2.

La prima doglianza attiene ad una asserita incoerenza motivazionale

dell’ordinanza impugnata, nel senso che il Tribunale avrebbe dapprima riconosciuto
che lo Scalzi non poteva avere commesso il reato di danneggiamento a lui addebitato
al capo B) della rubrica, ma poi non avrebbe tratto le conseguenze di questa
valutazione rispetto alla gravità indiziaria relativa al reato di incendio boschivo.
L’affermazione non ha fondamento.
Il Tribunale, nell’annullare l’ordinanza cautelare genetica relativamente al capo B)
della rubrica provvisoria (danneggiamento mediante incendio) non ha affatto

quell’episodio criminoso: infatti, l’ordinanza impugnata (a pag. 2) espressamente
precisa che l’annullamento era una decisione derivante in via esclusiva dal limite
edittale della pena comminata per quel delitto, la quale non consentiva l’applicazione
della custodia cautelare in carcere. Soltanto per questa ragione veniva disposta la
scarcerazione formale dello Scalzi; ed altrettanto espressamente il Tribunale chiariva
che, con riferimento al reato rubricato al capo B), non sarebbero state svolte
considerazioni nè sarebbero state affrontate le deduzioni difensive.
Di conseguenza, non è stata espressa alcuna valutazione su detto reato, sulla
gravità indiziaria dello stesso e sulle ipotesi di responsabilità penale dello Scalzi.
Parimenti, da questa mancanza di disamina non poteva derivare alcunchè in
termini di refluenza rispetto al delitto contestato al capo A) della rubrica e
l’asserzione dei ricorrenti si manifesta priva di base, per cui deve considerarsi
inammissibile.

3. La seconda doglianza dei ricorrenti attiene all’asserita incongrua motivazione
circa le deduzioni difensive e l’incensuratezza dei ricorrenti.
L’argomentazione è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientata a
riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte in sede di riesame, che tuttavia
risultano ampiamente vagliate e correttamente disattese dal Giudice di merito,
ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali,
imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal
guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte
della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle
sequenze motivazionali dell’impugnata decisione. I ricorsi, dunque, non sono
incentrati sul rilievo di mancanze argamentative ed illogicità ictu ocu/i percepibili, ma
sono volti ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative
compiutamente giustificate dal Giudice di merito, che ha adeguatamente ricostruito il
compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.
In tal senso, il Tribunale del Riesame, sulla base di quanto sopra esposto in
narrativa, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse

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espresso alcuna considerazione valutativa in merito alla gravità indiziaria per

dalla Difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa
ed approfondita delle risultanze processuali.
È stata esaminata l’oggettività dell’incendio e la dichiarazione della persona che ha
consentito di individuare il luogo di inizio della propagazione delle fiamme; è stato
considerato che, immediatamente prima del propagarsi del fuoco, i due ricorrenti
erano stati visti in quel luogo; sono state esaminate le conversazioni intercettate, nel
corso delle quali i ricorrenti facevo sovente riferimento a quell’incendio ed al luogo in
cui esso era iniziato, nonchè al loro timore di essere stati visti proprio mentre davano

loro azione delittuosa in maniera esplicita e senza alcuna ambiguità di linguaggio; è
stato altresì considerato che essi temevano di essere stati scorti e quindi denunziati
proprio dalla persona verso la quale nutrivano un pregresso astio e che poi avevano
accusato di calunniarli. Il Tribunale ha sottolineato che le conversazioni erano
caratterizzate da una crescente ansia e che esse erano sempre connesse alle nuove
attività investigative, talune delle quali poste in essere proprio al fine di stimolare
dette conversazioni. Pertanto, l’ordinanza impugnata giungeva ad una corretta
individuazione degli indagati, al loro ruolo specifico, al nesso causale tra la loro
condotta e l’evento criminale: all’esito di questa disamina, tutti i presupposti di
diritto sono stati riscontrati e di essi è stata fornita – per come sopra evidenziato,
senza qui riportare inutili ripetizioni – una spiegazione logica e consequenziale,
immune da difetti argomentativi e priva di lacune.
A fronte di ciò, i ricorsi si limitano a proporre una differente interpretazione degli
elementi di accusa, senza nemmeno attaccare in modo congruo i punti nodali del
ragionamento sviluppato in motivazione e richiamando imprecisate indagini da
effettuare a favore degli indagati. Ma allora è necessario precisare, con riguardo ai
casi di ricorso per cassazione delineati dall’art. 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e),
come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che la
predetta novella non ha comportato la possibilità, per il Giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il Giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il Giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può,
soltanto essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto
“travisamento della prova” (consistente nell’utilizzazione di un’informazione
inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla
necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della
decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano
indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
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alle fiamme i terreni; è stato constatato che i due ricorrenti facevano riferimento alla

travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di
ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un
esame parcellizzato. Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di
legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di
Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella
compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6^, n. 25255 del 14/02/2012,
Minervini, Rv. 253099).

denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da essere
percepibili ictu ocuii, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a
rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici
(in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi
affermati da questa Corte: Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U,
n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
Petrella, Rv. 226074). Deve escludersi sia la possibilità, per il Giudice di legittimità,
di “un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti,
nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai
diversi atti ed ai motivi ad essi relativi” (Sez. 6^, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio,
Rv. 233621; Sez. 2^, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789); sia la
possibilità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
dell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti (Sez. 6^, n. 27429 del 4/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6^, n. 25255 del
14/02/2012, Minervini, Rv. 25’3099).
Tutto quanto precede deve considerarsi riferitp anche alle argomentazioni
difensive relative al fatto che le conversazioni intercettate erano stimolate dalle

La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi

attività di polizia giudiziaria (attività legittima, che non può essere confusa con quella
del c.d. agente provocatore, atteso che non vi era stata alcuna determinazione
esterna verso l’intenzione criminosa) nonchè a quelle circa una pretesa
macchinazione ai danni dei ricorrenti.

4. Infine, è manifestamente infondata anche la doglianza circa la valutazione del

rischio di recidivanza: il Tribunale ha considerato l’incensuratezza dei ricorrenti,
pervenendo alla conclusione di uno sconcertante stato d’animo per chi non mostrava
alcuna revisione critica verso un’azione che aveva apportato danni enormi ad una
zona naturalisticamente tutelata, ingenti danni dalle proprietà, ordinanze di
sgombero, rischio all’incolumità di molte persone e un lavoro faticoso di due giorni
6

IP

1ii 22

Witimema

n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, li
7,

IR ,

per le operazioni di estinzione delle fiamme; a ciò andava aggiunto il fatto che nelle
conversazioni i ricorrenti avevano fatto riferimento a nuove condotte criminose,
anche peggiori ed animate da spirito di vendetta.
Rispetto a questi elementi di valutazione i ricorsi si mostrano sostanzialmente
aspecifici e non si confrontano con la motivazione impugnata.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue di diritto, ai sensi
dell’art. 616 cod.proc.pen., comma 1, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle

determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000),
al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si
stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro 2.000,00 per
ciascuno dei ricorrenti.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter
disp.att.cod.proc.pen. per Scalzi Fabio.

P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di C 2.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter
disp.att.cod.proc.pen. per Scalzi Fabio.

Roma, 23 marzo 2018.

(

Il onsigliere sten ore
t. Antoni Minc

du-z)

Il Presidente
(dott. Giulio Sarno)

spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella

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