Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18507 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18507 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento
nel procedimento nei confronti di
Bello Giovanni Vito, nato a Benevento il 12/04/1960,

avverso l’ordinanza del 13/02/2014 del Tribunale del riesame di Benevento;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata;
udito per l’imputato l’avv. Vincenzo Sguera, che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.

Data Udienza: 17/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento ricorre per
l’annullamento dell’ordinanza del 13-20 febbraio 2014 con la quale il Tribunale di
quello stesso capoluogo, in sede di riesame del decreto del 5 dicembre 2013 del
Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta
sussistenza del reato di cui agli artt. 81 cpv., cod. pen., 10 bis e 10 ter, d.lgs. 10

marzo 2000, n. 74, aveva disposto il sequestro preventivo di beni mobili ed

Società Consortile per azioni “Art Sannio Campania”, ha accolto l’istanza
proposta dal Bello annullando il decreto impugnato.
Si imputa al Bello di aver omesso il versamento, entro il 31 dicembre 2008,
delle ritenute certificate per l’ammontare di C 163.617,00 e dell’IVA, dovuta in
base alla dichiarazione annuale nella misura di C 99.786,00; si contesta altresì di
non aver versato l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2008, nella
misura di C 465.824,00.
A fondamento della propria decisione il Tribunale ha riconosciuto l’estraneità
dell’indagato ai reati a lui ascritti perché dimissionario sin dall’8 maggio 2008 e,
dunque, non più legale rappresentante della “Art Sannio Campania” alle date di
scadenza dei termini per i versamenti omessi (30 settembre dell’anno successivo
al periodo di imposta nel quale sono state operate le ritenute per quanto
riguarda il reato di cui all’art. 10 bis, d.lgs. 74/2000; il 27 dicembre dell’anno

successivo al periodo di imposta di riferimento per il reato di cui all’art.

10 ter,

d.lgs. 74/2000).
2.11 pubblico ministero ricorrente lamenta che il Tribunale, in violazione
dell’art. 234, cod. proc. pen., ha utilizzato semplici fotocopie non autenticate di
documenti, privi di data certa, prodotti dalla difesa a sostegno dell’estraneità del
Bello (lettera di dimissioni, datata 5 maggio 2008, inoltrata al CdA e al collegio
sindacale, fotocopia di verbale di assemblea del CdA del 28 maggio 2008, dal
quale si evincerebbe che la carica di presidente sarebbe stata affidata a tal
Antonio Francesco Barbato).
Si tratta, afferma, di documenti acquisiti senza che via sia certezza alcuna
della distruzione, smarrimento, sottrazione degli originali e dal contenuto non
univoco.
Dalle iscrizioni nel registro delle imprese risulta, invece, che il Bello è stato
legale rappresentante della “Art Sannio Campania” dal 10 gennaio 2005 al 16
settembre 2010; inoltre era il firmatario del Mod. Unico presentato il 30 aprile
2008 e, dunque, certamente autore del reato di omesso versamento delle
ritenute certificate con detta dichiarazione.

immobili in disponibilità del sig. Bello Giovanni, legale rappresentante della

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e comunque
perché proposto per motivi diversi dalla violazione di legge.

4.In generale, deve essere ribadito che nel vigente sistema processuale, che
ripudia la prova legale ed è espressamente informato ai principi della non
tassatività dei mezzi di prova (artt. 187 e 188, cod. proc. pen.) e del libero

preclusione all’utilizzo, a fini di prova, della copia fotostatica di un documento
che non sia distrutto, smarrito o sottratto o comunque non irrecuperabile.
4.12art 234, comma 2, cod. proc. pen., infatti, si limita ad autorizzare
l’acquisizione della copia del documento, che per qualsiasi causa sia andato
distrutto, smarrito o sottratto e non possa più essere recuperato, quando occorra
far uso dell’originale, ma la norma non deve essere interpretata come
espressione di una regola che pone un limite all’acquisizione delle copie
fotostatiche, non contemplando alcun divieto espresso in tal senso.
4.2.Non v’è perciò alcuna preclusione legale all’acquisizione della fotocopia
del documento che non sia distrutto, smarrito o sottratto o comunque non
irrecuperabile (artt. 189 e 191, comma 1, cod. proc. pen.), residuando in capo al
Giudice il solo dovere di dar conto dei criteri adottati in sede di valutazione della
relativa prova (artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
4.3.La giurisprudenza di questa Suprema Corte è costante sul punto; basti
richiamare, a titolo esemplificativo, le seguenti pronunce: Sez. 4, Sentenza n.
18454 del 26/02/2008, secondo cui “per l’efficacia probatoria delle copie
fotostatiche non è richiesta la certificazione ufficiale di conformità, vigendo, al
contrario, nel nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per
i fatti-reato che per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 cod.
proc. pen. e dalla stessa direttiva n. 1 della legge delega per il nuovo codice di
rito, che impone la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni
atto non essenziale” (nello stesso senso anche Sez. 3, Sentenza n. 1324 del
27/04/1994); Sez. 2, Sentenza n. 36721 del 21/02/2008, per la quale: “La copia
di un documento, quando sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ha
valore probatorio anche al di fuori del caso di impossibilità di recupero
dell’originale”; Sez. 2, Sentenza n. 22184 del 22/05/2007, secondo cui: “Il
principio di non tassatività dei mezzi di prova sancito dall’art. 189 cod. proc. pen.
consente l’acquisizione e l’utilizzazione del documento prodotto in copia, anche in
assenza dell’originale, nei casi in cui il giudice ritenga la copia idonea ad
assicurare l’accertamento dei fatti, in difetto di specifiche censure inerenti alla
genuinità del documento ovvero alla presenza di difetti tecnici che possano
3

convincimento del giudice (art. 192, cod. proc. pen.), non esiste alcuna

inficiarne l’attendibilità. (Fattispecie in tema di duplicato di una
videoregistrazione comprovante la commissione del reato da parte
dell’imputato)”; Sez. 3, Sentenza n. 5747 del 07/12/2006, per la quale: “Non
può dirsi assolutamente inutilizzabile, alla luce dell’art. 234 cod. proc. pen., il
documento che una parte produca in copia e non in originale allorché, in
applicazione del principio di non tassatività dei mezzi di prova deducibile dall’art.
189 del medesimo codice, il giudice ritenga che la copia sia idonea ad assicurare
l’accertamento dei fatti. (Nella fattispecie il Pubblico Ministero aveva prodotto in

oggetto di abuso edilizio)”; Sez. 3, Sentenza n. 2065 del 22/01/1997, secondo la
quale “il nuovo sistema processuale, non avendo accolto il principio di tassatività
della prova, consente al giudice – ex art. 189 cod. proc. pen. – di assumere prove
non disciplinate dalla legge, purché ne verifichi l’ammissibilità e l’affidabilità.
Pertanto il giudice ben può utilizzare come elemento di prova la copia, anziché
l’originale, di un documento, quando essa sia idonea ad assicurare
l’accertamento dei fatti. (Fattispecie relativa a rigetto di doglianza attinente alla
produzione della copia e non dell’originale del verbale di prelevamento dei
campioni degli scarichi dei reflui derivanti da insediamento produttivo); Sez. 3,
Sentenza n. 1324 del 27/04/1994, per la quale “Nessuna norma processuale
richiede la certificazione ufficiale di conformità per l’efficacia probatoria delle
copie fotostatiche; al contrario, vige nel nostro sistema processuale il principio di
libertà della prova sia per i fatti-reato sia per gli atti del processo, come può
evincersi dall’art. 234 cod. proc. pen. e dalla stessa direttrice n. 1 della legge
delega per il nuovo codice, che stabilisce la massima semplificazione processuale
con eliminazione di ogni atto non essenziale. (Nella specie la S.C., escluso che
tale certificazione sia richiesta, in particolare, dagli artt. 112 cod. proc. pen. e 40
disp. att. stesso codice, che riguardano le copie di originali smarriti, distrutti o
sottratti, ha ritenuto che la fotocopia esibita appariva idonea allo scopo, mentre il
P.G. aveva sostenuto che la divergenza fra la data di notificazione risultante
nell’originale e quella risultante nella copia notificata all’imputato non era
dimostrata, in quanto il documento esibito dal ricorrente era una copia
fotostatica priva della certificazione)”; Sez. 5, Sentenza n. 10309 del
18/10/1993, per la quale “in tema di documenti, l’art. 234 cod. proc. pen.
richiede che essi vengano acquisiti in originale, potendosi acquisire copia solo
quando l’originale non è recuperabile; ma poiché il vigente codice di rito non ha
accolto il principio di tipicità dei mezzi di prova, tant’è che l’art. 189 cod. proc.
pen. si occupa espressamente de “le prove non disciplinate dalla legge”, il
giudice può ben utilizzare quale elemento di prova, anziché l’originale, la copia di
un documento, quando essa sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti.

4

copia e non in originale la documentazione attestante la proprietà dell’area

(Fattispecie in tema di copie di videoregistrazioni comprovanti la commissione
del reato da parte dell’imputato)”.
4.4.La questione, però, così come posta non riguarda tanto l’acquisizione in
sé del documento in copia (questione di diritto comunque manifestamente
infondata), ma la sua capacità di provare i fatti in esso rappresentati o da esso
desumibili.
4.5.11 vizio denunciato, infatti, attiene piuttosto alla motivazione del
provvedimento impugnato ed in particolare alla parte in cui i giudici indicano il

valutano positivamente l’attitudine a dimostrare il fatto in esso rappresentato
alla luce delle altre prove documentali richiamate in ordinanza, in assenza di una
specifica contestazione sul punto da parte del PM di udienza che, per quanto
risulta dal verbale, non contestò l’attitudine probatoria della lettera di dimissioni
ma si limitò a rimettersi al Tribunale.
4.6.Non possono certamente essere prese in considerazione, in questa sede,
le diverse prove proposte dal PM a sostegno dell’errore di giudizio in cui sarebbe
incorso il Tribunale, trattandosi di altrettanti vizi di motivazione che, in quanto
tali e a prescindere dalla natura fattuale delle censure, non sono scrutinabili in
sede di legittimità ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del PM.
Così deciso il 17/07/2014.

documento (la lettera di dimissioni) posto a fondamento della decisione e ne

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