Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18501 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 18501 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
I. Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bari,
2. Rubino Giulio, nato a Bari il 11/09/1971,
nel procedimento a carico di quest’ultimo;

avverso la sentenza del 15/11/2013 della Corte di appello di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio (fatto
non previsto dalla legge come reato per la violazione relativa all’anno d’imposta
2005). Rigetto nel resto. Annullamento con rinvio per la determinazione della
pena per il residuo reato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15/11/2013 la Corte d’appello di Bari ha confermato la
sentenza del 13/04/2012, impugnata dal solo imputato, con la quale il Tribunale

Data Udienza: 17/07/2014

di quello stesso capoluogo aveva dichiarato il sig. Giulio Rubino colpevole, nella
sua qualità di legale rappresentante della “Ipo Plastic Srl”, dei reati di cui all’art.
10-ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commessi in relazione ai periodi di imposta
2005 e 2006, e, ritenuti gli stessi avvinti da un unico disegno criminoso, previa
concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla
pena di otto mesi di reclusione.
Si contesta all’imputato, nella sua già indicata qualità, di aver omesso il
versamento, nel termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al

alle dichiarazioni annuali 2006 e 2007 per i periodi di imposta 2005 e 2006, pari
rispettivamente a C 86.673,00 per l’anno di imposta 2005, e ad C 128.778,00
per l’anno di imposta 2006.
La Corte di appello ha ritenuto infondati i rilievi difensivi secondo i quali non
sussisteva il dolo di evasione sol perché i corrispettivi fatturati non erano mai
state incassati.
Secondo i giudici distrettuali tale circostanza non esclude il dolo generico;
semmai, affermano, potrebbe integrare lo stato di necessità che però hanno
ritenuto insussistente a causa della genericità delle allegazioni difensive ed in
considerazione della reiterazione della condotta per due anni consecutivi.

2. Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso per cassazione il
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Bari e l’imputato.
Entrambi i ricorrenti eccepiscono, in buona sostanza, la mancata
considerazione delle pessime condizioni economiche in cui versava la società alla
scadenza dei termini previsti dai versamenti quale fatto che, incidendo sulla
effettiva volontà di commettere il delitto, avrebbe dovuto comportante
l’assoluzione dell’imputato per mancanza di dolo; mancanza di volontà
ulteriormente desumibile dalla circostanza che in ogni caso l’imputato era stato
ammesso a pagare (e stava pagando) ratealmente il dovuto.
L’imputato ulteriormente evidenzia che l’omesso versamento era dovuto alla
mancata riscossione dell’IVA da parte di clienti insolventi o falliti, circostanza
questa che aveva aggravato la crisi di liquidità dell’impresa.
Quale ulteriore motivo di doglianza, il Rubino adduce l’insufficienza della
motivazione circa la quantificazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono infondati.

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periodo d’imposta successivo, dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base

4.E’ necessario premettere che la Corte costituzionale, con sentenza 7-8
aprile 2014, n. 80 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 16 aprile 2014 Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.

10 ter,

d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi
sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non
superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.
4.1.La sentenza della Corte delle leggi incide su un elemento costitutivo del

4.2.Si tratta di considerazione che, per quanto riguarda l’anno di imposta
2005, impone l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata “in parte
qua” perché il fatto non sussiste

5.Quanto al residuo anno di imposta, osserva il Collegio quanto segue.
5.1.Gran parte delle questioni sollevate con l’odierno ricorso trovano
risposta negli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano,
Rv. 255757, secondo la quale: a) il reato in esame è punibile a titolo di dolo
generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute
effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento
illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; b) la prova del
dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla
quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere
saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto;
c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al
compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto
d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del
servizio) VIVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario,
organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione
tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un
nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta
esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata,
per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento
della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda
dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella
seconda meta del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
5.2.Sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d’impresa
quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella
citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che
è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono
investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi

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reato privando il fatto per quale si procede di penale rilevanza.

economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la
circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata
tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
5.3.0ccorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per

il

contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a
consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur
avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo
patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di

erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli
non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del
08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv.
258055).

6.Tanto premesso, si osserva che nel caso di specie le allegazioni del
Procuratore Generale e del ricorrente sono del tutto generiche e non riescono a
supportare le eccezioni di inesigibilità della condotta o comunque di sussistenza
della forza maggiore.
6.1.0ccorre però sgombrare preliminarmente il campo da un equivoco di
fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema:
per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione,
tantonneno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.
6.2.Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del
reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il
bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo
espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte
solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento
(art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs.
27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione
che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza
allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art.
424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il
compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).
6.3.11 dolo del reato in questione è integrato, dunque, dalla condotta
omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo
la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario
contrasto con il precetto violato.
6.4.E’ noto che la forza maggiore esclude la “suitas” della condotta.

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un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito

6.5.Secondo l’impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest»,
a causa della quale l’uomo

«non agit sed agitur»

(Sez. 1, n. 900 del

26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv.
123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855).
6.6.Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa
concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez.
4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980,

dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta
all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando,
mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del
13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv.
142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del
18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
6.7.Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto
imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta
dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo
ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria
dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica
questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto
agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n.
4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013,
Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez.
3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del
22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv.
165822).
6.8.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi
integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice
difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del
23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
6.9.Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza
maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di
provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente
rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore
quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a
fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore
quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai
mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili
e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario

5

Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione

penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi
da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi
rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio
finalistico.
6.10.Alla luce delle considerazioni che precedono, appaiono in tutta la loro
inconsistenza le tesi dei ricorrenti volte da un lato a giustificare la condotta
omissiva con le pessime condizioni economiche in cui versava l’impresa
dell’imputato (a loro volta genericamente supportate dalla «situazione socio-

che dovrebbe innervare l’interpretazione della norma applicabile al caso
concreto, ma che in realtà rischia di trasformarsi in una formula astratta
utilizzabile come grimaldello per scardinare i precisi oneri probatori che
incombono su chi allega la crisi di impresa) e con il mancato pagamento delle
fatture (ricorso dell’imputato); dall’altro a ritenere l’insussistenza dell’elemento
soggettivo del reato sol perché l’imputato ha successivamente chiesto ed
ottenuto il pagamento rateale del debito.
6.11.Quanto al mancato pagamento delle fatture (e dunque all’impossibilità
di accantonare somme mai riscosse), rileva ulteriormente il Collegio che le
deduzioni difensive solo del tutto generiche poiché ricalcano, pressoché alla
lettera, i motivi di appello.
6.12.1 giudici distrettuali, peraltro, non hanno sostenuto che l’argomento è
di per sé irrilevante; ne hanno stigmatizzato la genericità perché, avuto riguardo
anche al lungo periodo in contestazione, il ricorrente non ha mai indicato con la
necessaria precisione a quali e quante operazioni imponibili non abbia fatto
seguito il pagamento effettivo delle somme fatturate.

7.Sono del tutto generiche le doglianze mosse dal ricorrente in ordine al
trattamento sanzionatorio, del quale lamenta l’eccessiva severità, tanto più se si
considera che la pena posta dal primo giudice a base dei propri calcoli (nove
mesi di reclusione) è prossima al minimo edittale.
7.1.E’ noto il costante insegnamento di questa Corte secondo il quale, in
generale, «in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda
discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto
esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i
criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 c.p., siano stati ritenuti
rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il
ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla “entità del fatto” e
alla “personalità dell’imputato”»

(così, in motivazione, Sez. 6, n. 35346 del

12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti;
Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani).
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economica mondiale» che, secondo il PG ricorrente, costituisce fatto notorio

7.2.Si può far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del
tipo: “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, solo quando il Giudice
non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997,
Gagliano;Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di
pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorché nel suo massimo
edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del
17/01/1995, Capelluto).

congrua una pena prossima al minimo edittale, stimandola equa alla luce dei
criteri di cui all’art. 133, cod. pen., ed al comportamento tenuto dall’imputato
che gli è valso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
7.4.L’annullarnento parziale della sentenza impugnata comporta che debba
(e possa già in questa sede) essere eliminata la parte di pena attribuita
all’annualità di imposta 2005, quantificata in sede di merito nella misura di due
mesi di reclusione.
7.5.Non v’è dunque necessità del rinvio alla Corte di appello di Bari.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla violazione
relativa all’anno di imposta 2005 perché il fatto non sussiste ed elimina la
relativa pena di mesi due di reclusione.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 17/07/2014

7.3.Nel caso di specie, come visto, i Giudici di merito hanno ritenuto

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