Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18500 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18500 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
CIRCELLO Leonardo, nato il 14/03/1980 in Germania;
Avverso il decreto n. 6396/2016 del Magistrato di Sorveglianza di Trapani in data
17/03/2017;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Antonio Minchella;
Lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Olga Mignolo, che
ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con decreto in data 17/03/2017 il Magistrato di Sorveglianza di Trapani dichiarava
inammissibile l’istanza risarcitoria avanzata ex art. 35 ter Ord.Pen. da Circello
Leonardo, rilevando che la richiesta era stata avanzata rispetto a periodi di
detenzione non riferiti al titolo in espiazione.
Il detenuto proponeva reclamo, ma il Tribunale di Sorveglianza di Palermo,
rilevato che l’inammissibilità era stata dichiarata ex art. 666, comma 2,
cod.proc.pen., convertiva il reclamo in ricorso per cassazione.
Si legge nell’atto di impugnazione che il detenuto aveva rivolto al medesimo
Magistrato di Sorveglianza una sorta di invito a rivedere la propria decisione,

Data Udienza: 23/03/2018

lamentando un accanimento nei suoi confronti e ripercorrendo le ragioni esistenziali
che lo avevano portato al crimine.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Infatti, il ricorrente muove le sue
doglianze, ma non ha addotto alcun elemento nuovo né ha specificato quale punto od
argomentazione del decreto impugnato sia da considerarsi violativo di legge: in
realtà, il ricorrente si limita a riproporre pedissequamente la questione di fatto che
già aveva indicato nella sua istanza, senza alcuna correlazione diretta con la
motivazione del decreto impugnato, il quale non viene attaccato nel suo fondamento.

doglianza che il Legislatore del rito penale, in particolare, pretende in ogni ipotesi di
impugnazione. Infatti, l’art. 581 cod.proc.pen. stabilisce che l’impugnazione si
propone con atto scritto nel quale, tra l’altro, sono enunciati i motivi con l’indicazione
specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta; ne consegue che un atto privo dei requisiti prescritti, che si limiti ad
esprimere la volontà di impugnare senza enunciare i motivi di doglianza rispetto alla
decisione censurata (e anche in ciò consiste la specificità), non può costituire una
valida forma d’impugnazione e, quindi, non può produrre gli effetti introduttivi del
giudizio del grado successivo, cui si collega la possibilità di emettere una pronuncia
diversa dalla dichiarazione d’inammissibilità.
In sintesi, l’impugnazione priva dei requisiti previsti dalla richiamata disposizione
codicistica è, procedimentalmente,

tamquam non esset e questa conclusione vale

anche per il caso di carenza di specificità del motivo, cioè della mancanza
dell’indicazione (specifica) delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono la doglianza e, conseguentemente, la richiesta che sostanzia l’atto
impugnato rio.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai sensi
dell’art. 616 cod.proc.pen., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000),
al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si
stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro 2.000,00.

P.Q.M

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di Euro Duemila in favore della cassa delle
ammende.
Roma, 23 marzo 2018.

Appare chiaro come nel caso di specie manchi quella specificità del motivo di

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