Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 185 del 18/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 185 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: DI PISA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Di Bella Salvatore, nato a Mesagne il 30/12/1973

avverso la sentenza del 23/10/2015 della Corte di Appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Di Pisa;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che
ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/10/2015 la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza del
Tribunale di Brindisi in data 14/12/2012 quanto alla affermazione della penale responsabilità di
Salvatore Di Bella in ordine al reato di appropriazione indebita, riducendo la pena inflitta in
primo grado.

1

Data Udienza: 18/11/2016

2. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione l’ imputato, a mezzo del suo
difensore, lamentando la manifesta illogicità della motivazione atteso che la corte territoriale
non aveva considerato che difettava nella fattispecie in esame la prova del dolo specifico
atteso che egli aveva trattenuto la somma di euro 568,91 a titolo di compensazione, essendo
creditore di somme ben maggiori a titolo di commissioni maturate sugli ordini effettuati dai
clienti e non aveva tenuto conto che l’ azione era improcedibile, per difetto di querela, in

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

2. Va evidenziato che la ricostruzione del fatto, come correttamente operata dalla sentenza del
Giudice di Appello, induce a ritenere sussistente sia il profilo soggettivo che il profilo oggettivo
dei fatti, perché risulta pacifica la circostanza che il Di Bella, qualificatosi come rappresentante
della ditta Hammer, fornitrice di materiale destinato alla Cavaliere, ebbe ad incamerare la
somma di euro 586,91 a lui versata da Marianna Cavaliere a saldo della fattura di pari importo
relativa alla merce fornitale dalla suindicata ditta. Orbene appare priva di fondamento la
contestazione dell’ imputato circa la insussistenza dell’ elemento psicologico del reato. Deve
invero ritenersi che la compensazione di un credito possa escludere il dolo del reato di
appropriazione indebita soltanto nell’ ipotesi in cui il credito opposto in compensazione risulti
certo, liquido ed esigibile, ossia non controverso nel titolo e determinato nell’ammontare,
oppure qualora l’imputato abbia ritenuto esistenti tali circostanze, occorrendo in tale ipotesi
una prova rigorosa a carico delY soggetto imputato degli elementi che lo hanno indotto, in
buona fede, a ritenere di poter vantare un controcredito da opporre in compensazione. Prova
che nel caso in esame è del tutto mancata, secondo quanto riscontrato dai giudici di merito con
motivazione congrua incensurabile in questa sede. Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna
delle pretese incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, le
censure, essendo incentrate tutte su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di
mero merito, vanno dichiarate inammissibili.

3. In ordine al profilo inerente la contestata aggravante va evidenziato che ai fini della
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 non è necessario che il rapporto di
prestazione d’opera intercorra direttamente tra l’autore del fatto e il soggetto passivo del
reato, ma è sufficiente che il colpevole se ne sia avvalso per commettere il fatto. (Sez. 2, n.
19572 del 20/04/2006 – dep. 07/06/2006, Padoan, Rv. 234192). Nel caso in esame è
incontestato che il Di Bella ebbe ad incamerare la somma agendo quale rappresentante della
ditta Hannmer fornitrice dei beni in favore della Cavaliere sicchè la detta aggravante deve
ritenersi integrata, come correttamente ritenuto dai giudici di merito.
2

quanto non poteva ritenersi configurabile l’ aggravante di cui all’ art. 61 n. 11 cod. pen.

4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla
declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in euro millecinquecento.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento della somma di nnillecinquecento euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 Novembre 2016

consigliere estensore

P.Q.M.

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