Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18494 del 30/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18494 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PESCE SAVINO nato il 27/07/1989 a CINQUEFRONDI

avverso l’ordinanza del 29/05/2017 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO;
lette/sentite le conclusioni del PG FRANCESCO MAURO IACOVIELLO
Il PG conclude chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Udito il difensore
I difensori concludono chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 30/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di
Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza in data 24/04/17 del G.i.p. del
Tribunale di Reggio Calabria, che aveva applicato a Pesce Savino cl. 1989
la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente
indiziato del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di
bis

cod. pen.. Secondo il costrutto

accusatorio fatto proprio dal G.i.p. e condiviso dal Tribunale del riesame il
materiale indiziario in atti, rappresentato in larga misura da
intercettazioni telefoniche ed ambientali, ha consentito di dimostrare la
persistente operatività della cosca Pesce di Rosarno con riferimento al
controllo delle attività economiche nella zona territoriale di competenza
(specie nel settore del trasporto merci su gomma per conto terzi) e allo
svolgimento di attività illecite come il traffico degli stupefacenti; inoltre,
di individuare l’esistenza, accanto al ramo capeggiato da Pesce Marcello
unitamente ai cugini Pesce Francesco cl. 78 e Pesce Antonino cl. 82 (con
funzioni fiduciarie svolte da Scordino Filippo, la cui agenzia di mediazione
e la Getral appaiono un’ unica entità operativa al servizio degli interessi
economici di Pesce Marcello, nonché da Nicolaci Giuseppe, inserito nel
traffico di stupefacenti e nel trasporto su ruote, e da altri), di un ramo di
detta cosca facente capo a Vincenzo Pesce, detenuto sottoposto al regime
di cui all’ art. 41 bis ord. pen., gestito, durante la detenzione di questi e
del figlio Francesco, dai figli Pesce Antonino cl. 92 e Pesce Savino cl. 89.
L’ordinanza di riesame evidenzia come elementi di indubbio spessore
indiziario in ordine alla partecipazione di Pesce Savino al sodalizio
investigato debbano ricavarsi dalla vicenda che Io vede protagonista,
unitamente al fratello Antonino, dell’ imposizione mafiosa nel trasporto di
kiwi gialli. I suddetti, invero, spendendo il nome del padre Vincenzo,
rivendicavano il controllo di una parte del mercato del trasporto merci su
gomma per conto terzi ed ottenevano l’estromissione di Nicolaci Giuseppe
dal servizio in passato da lui prestato a favore dell’azienda agricola dei
fratelli Pronestì. In tal modo, come emergente nitidamente dalle
conversazioni captate, aprivano un controversia tra i due schieramenti
della cosca, di cui veniva informato il boss latitante Pesce Marcello e che
veniva ricomposta anche mediante l’intervento di Pesce Antonino cl.
1982, il quale aveva interessi economici nel settore dei trasporti, tra
l’altro proprio per mezzo di Nicolaci Giuseppe, suo uomo di fiducia anche
nel settore del traffico internazionale di stupefacenti. Sottolinea

stampo mafioso ex art. 416

l’ordinanza impugnata come le prime avvisaglie delle rivendicazioni dei
due indagati emergevano dalla conversazione tra presenti del 14.10.15 e
come non vi siano dubbi sul fatto che entrambi i figli di Pesce Vincenzo
venivano riconosciuti dai vertici come interlocutori alla pari, ai quali non
era possibile negare l’accesso ad un settore monopolizzato dal ramo
principale della cosca. Evidenzia detta ordinanza che le conversazioni
intercettate, a far tempo da quella sopra indicata, consentivano di

coinvolti nella questione, di indubbia valenza associativa; posto che le
modalità operative della condotta di imposizione mafiosa cui
partecipavano “i figli di Cenzo” erano funzionati ad imporre l’osservanza
della spartizione territoriale mafiosa in relazione ad un affare di sicuro
interesse della cosca, rivendicandone la titolarità in quanto ricadente nel
territorio di controllo del padre. Ed inoltre che la condotta

de qua

rappresenta estrinsecazione dell’inserimento dell’odierno ricorrente nel
tessuto organizzativo del sodalizio, tanto da determinare l’intervento di
altri sodali ed anche dei maggiorenti della cosca per ricomporre la
questione, pacificamente da ricondurre ad una rivendicazione di potere di
un ramo della consorteria rispetto a quello diretto dall’attuale reggente.
Sottolinea sempre detta ordinanza come detto solido quadro indiziario,
quanto alla posizione di Pesce Savino, sia corroborato dalle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia Albanese e Trintino, che riferiscono
rispettivamente il primo di un suo ruolo di vertice ed il secondo di un suo
ruolo nel narcotraffico svolto per conto della cosca. Ruolo, quest’ultimo,
confermato anche dalle intercettazioni captate nell’ambito di altro
procedimento penale.
Passando alla valutazione delle esigenze cautelari, l’ ordinanza
osserva come il delitto associativo, del quale è ritenuto sussistente a
carico del Pesce un quadro indiziario connotato in termini di sicura
gravità, comporti l’applicazione del regime presuntivo di cui alli art. 275,
comma 3 cod. proc. pen., in assenza dell’ allegazione da parte della
difesa di elementi specifici – né aliunde evincibili – idonei a consentire di
ritenere insussistenti le esigenze cautelari. E come pertanto si imponga
ex lege l’applicazione della misura della custodia inframuraria. Evidenzia
detta ordinanza come, anche a prescindere dal regime presuntivo
suddetto, appaia concreto ed attuale il pericolo di reiterazione di gravi
delitti della stessa specie di quello per cui si procede, desumibile
dall’allarmante capacità criminale, manifestata dall’organizzazione

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individuare un’azione sinergica dei due fratelli, descritta dai soggetti

criminale di appartenenza che ha dimostrato nel tempo capillare
organizzazione di uomini e mezzi, professionalità nel delitto e notevole
capacità di intimidazione, nonché dalla gravità della condotta posta in
essere dal Pesce con l’intervento in vicende di evidente interesse
strategico per l’intera consorteria criminale.
2. Avverso la summenzionata ordinanza propone ricorso per
cassazione, tramite il proprio difensore, Pesce Savino.

motivazione in relazione agli artt. 416 bis cod. pen. e 273 cod. proc.
pen., con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del
reato di partecipazione all’ associazione mafiosa, nonché per
travisamento della prova. Evidenzia il difensore come dai dialoghi captati
emerga che a recarsi dal Pronestì sia stata una sola persona e come,
quindi, nell’attribuire la condotta ad entrambi gli indagati vi sia stato un
travisamento della prova. Si evidenzia, inoltre, come, a seguito
dell’estromissione del Nicolaci dal trasporto dei kiwi, il lavoro non sia
stato svolto da Michelangelo Raso, che secondo la prospettazione
accusatoria sarebbe dovuto subentrare al primo, ma da una terza
persona.
2.2. Col secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione
agli artt. 416 bis cod. pen., 273 cod. proc. pen. e 192 cod. pen..Si rileva
che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non emergono
elementi gravi, precisi e concordanti da desumere la qualificata
probabilità di attribuzione alli indagato del reato per cui si procede.
2.3. Col terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione ai
suddetti articoli. Si evidenzia come la diversità dei fini perseguiti e la
commissione di atti contrari al benessere comune anche ai danni di un
presunto associato quale il Nicolaci non consentano di ravvisare un’
intraneità all’associazione per delinquere, peraltro attraverso una
condotta limitata ad un tempo circoscritto a quindici giorni, qual è la
durata della vicenda.
2.4. Col quarto motivo di ricorso si denunciano violazione dell’art.
274 cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Il difensore rileva che in punto
di esigenze cautelari le argomentazioni adoperate dal Tribunale del
riesame si appiattiscano sul provvedimento cautelare genetico.
La difesa chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata
e l’adozione delle conseguenti statuizioni.

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2.1 Col primo motivo di impugnazione si eccepisce vizio dì

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.2.

Inammissibili sono i primi tre motivi di impugnazione.

Va, invero, premesso, in riferimento ai limiti del sindacato di
legittimità in materia di misure cautelari personali, che questa Corte è
priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle

rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e
del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato
all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni
giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza
d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto
argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto
ai canoni della logica e ai prìncipi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( tra le altre, Sez. 4, n. 26992
del 29/05/2013, Tíana, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007,
Terranova, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, Borragine, Rv.
221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000 , Audino, Rv. 215828 ), senza
che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di

una

diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle
indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, Alberti, Rv. 215331; Sez.
1, n. 1496 dell’11/03/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del
25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 ).
Orbene, nel caso di specie, a fronte di argomentazioni senza dubbio
non manifestamente illogiche e coerentì con le emergenze investigative,
come quelle riportate in punto di fatto, la difesa invita nei primi tre motivi
di ricorso ad una rivalutazione, non consentita in questa sede, degli
elementi fattuali. Laddove : – a fronte dell’ argomentazione sul palese
tenore delle conversazioni intercettate e sul fatto che esse rappresentino
un’azione sinergica dei due fratelli Pesce, viene prospettata un’ azione di
una singola persona e si parla di travisamento degli esiti delle
intercettazioni; – a fronte dell’argomentazione secondo cui i dialoghi
captati sarebbero corroborati dalle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, si contesta il valore indiziario di dette dichiarazioni; – a fronte
dell’argomentazione sul rilevante ruolo associativo riconosciuto ai “figli di
Cenzo”, da essere considerati interlocutori alla pari dei maggiorenti, si

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vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito,

oppone la diversità dei fini dai medesimi perseguiti, rispetto a quelli
associativi, ed il contrasto col benessere comune.
Rivalutazione, che, peraltro, ripercorre gli stessi argomenti già
sottoposti al Collegio a quo e che, rapportata alla congrua motivazione
del provvedimento impugnato, senza dubbio pecca di aspecificità e,
quindi, di inammissibilità anche sotto tale profilo.
Secondo consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte

Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, Rv. 256133; in
ultimo Sez. 2, n.5522 del 22 ottobre 2013, Rv. 258264, di cui si
ripercorrono i passaggi), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso
che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di
‘appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni,
meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza
impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati
accolti. Ed è evidente che lo stesso ragionamento può farsi per la
pedissequa reiterazione dei motivi di riesame. Si è, infatti, esattamente
osservato (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013,
Rv. 254584) che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica
argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena
di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui
dispositivo si contesta).
1.3. Inammissibile è anche il quarto motivo di impugnazione.
Ci si duole, invero, in modo assolutamente generico oltre che
manifestamente infondato, di un appiattimento,” in punto di esigenze
cautelari sul provvedimento cautelare genetico dell’ordinanza impugnata.
Mentre detta ordinanza, lungi dall’ essere affetta da violazione di legge e
vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, come lamentato
dalla difesa, pur invocando la presunzione di pericolosità connessa al
titolo di reato non superata dal ricorrente, individua aspetti concreti
relativi alla personalità dell’ indagato e alle modalità e circostanze del

5

(Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, Rv. 221693;

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
17 APR. 2018
Roma, lì
fatto delittuoso ascrittogli, che denotano il rischio della reiteraziohe della
condotta criminosa. Con i quali aspetti in nessun modo si confronta la
censura difensiva, peccando anche di aspecificità nel senso sopra
evidenziato.
2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna di Pesce Savino al pagamento delle spese processuali
e di una somma che si ritiene equo determinare in euro duemila a favore

sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del
ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1

ter, delle

disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
si trova ristretti, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in
favore della Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
comma 1-ter, disp.att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2018.

della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla

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