Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18484 del 04/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18484 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PELLEGRINI ANGELO nato il 12/09/1966 a SORA

avverso la sentenza del 07/03/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DELIA CARDIA
che ha concluso per
Il P.G. conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore
L’avvocato PAGLIARI PAOLO conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 04/04/2018

Ritenuto in fatto
La Corte di assise di appello di Roma ha applicato nei confronti di Angelo Pellegrini la
pena di venticinque anni di reclusione, in parziale riforma della sentenza con cui la Corte di
assise di Cassino ha condannato il predetto sia per il delitto di omicidio, commesso per futili
motivi in concorso con Sante Cipollone – per il quale si è proceduto separatamente – e in
danno di Domenico Mario Grossi, in specie per aver cagionato la morte di questi colpendolo con
due violenti pugni, poi, una volta che questi rovinava a terra, con calci al costato e alla testa, e

sassi e facendolo rotolare in acqua, ove il corpo era poi trascinato dalla corrente; sia per il
delitto di occultamento di cadavere, facendo sì che il corpo di Domenico Mario Grossi venisse
trascinato via dalla corrente del fiume.
La prova principale è data dalle dichiarazioni di Antonino Cianfarani – amico di entrambi
gli imputati e cugino della vittima -, che fu spettatore dei fatti. Questi riferì della violenta
aggressione da parte di Angelo Pellegrini nei confronti di Domenico Mario Grossi, del
sopraggiungere sui luoghi di Sante Cipollone, che a sua volta iniziò a colpire la vittima con calci
alle costole, del successivo trascinannento del corpo sino all’argine del fiume e quindi fino al
tratto di maggiore profondità. Le dichiarazioni di Antonino Cianfarani hanno trovato conferma
negli atti di polizia giudiziaria compiuti nell’immediatezza, ivi compreso l’arresto dei due
aggressori che erano sorpresi mentre stavano risalendo, all’indietro, lungo l’argine del fiume,
entrambi in stato di ebbrezza alcolica, e nei risultati dell’esame autoptico.
Nel corso del dibattimento di primo grado, l’imputato ha reso esame nel corso del quale
gli sono state contestate le spontanee dichiarazioni rese nell’immediatezza del fatto alla polizia
giudiziaria, con le quali ha reso piena confessione, asserendo di aver ucciso in preda all’alcool e
ad un

raptus

di rabbia. Sia con l’esame dibattimentale che poi con le dichiarazioni

spontaneamente rese nel corso del giudizio di appello, l’imputato ha fornito una versione dei
fatti smentita non solo dalle dichiarazioni del teste Cianfarani ma anche dalle altre risultanze
istruttorie. Non risponde pertanto al vero che l’imputato e il suo correo non intendessero
uccidere il Grossi ma soltanto “punirlo” per la condotta provocatoria in precedenza tenuta,
facendogli “fare un bagno” nel fiume.
Non è dubbio che l’imputato fu animato dal dolo d’omicidio, anzitutto perché manca del
tutto la prova di una pregressa condotta provocatoria della vittima, poi perché è provato che la
vittima, dopo i primi pugni, si afflosciò e ciò nonostante, esanime, fu ancora colpito anche in
parti vitali del corpo, come la testa, il torace, i testicoli, e fu trascinata sino al tratto più
profondo del fiume, ove la corrente era elevata, proprio per farla annegare e per far sparire le
spoglie.
In ordine, infine, al trattamento sanzionatorio, la Corte di assise di appello ha
confermato i provvedimenti di rigetto della richiesta di abbreviato condizionato, ritenuto che
non fosse oggettivamente necessaria l’integrazione probatoria, costituita dall’esame dei

infine, trascinatolo privo di sensi per molti metri fino all’argine di un fiume ancora con pietre e

consulenti dell’imputato circa le cause del decesso della vittima e le condizioni psichiche
dell’imputato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che ha articolato più
motivi.
Con il primo ha dedotto vizi di violazione di legge e difetto di motivazione circa
l’utilizzazione dibattimentale, a fini di contestazione, delle dichiarazioni spontaneamente rese
dall’imputato alla polizia giudiziaria nell’immediatezza dei fatti. Tali dichiarazioni sono

non era assistito dal difensore. Inoltre, le dichiarazioni furono assunte quando l’imputato era in
un pesante stato di ubriachezza; non va poi trascurato che il verbale di dette dichiarazioni
utilizza un linguaggio che non è per nulla consono alla povertà linguistica dell’imputato. Il
carattere della spontaneità delle dichiarazioni deve essere oggetto di accertamento ad opera
del giudice, anche d’ufficio, che ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’accertamento
compiuto. Le dichiarazioni dell’imputato, pur inutilizzabili, sono state utilizzate per minare la
sua credibilità e la veridicità del suo racconto, oltre che per argomentare sul dolo e confermare
le dichiarazioni del teste Cianfarani circa il fatto che l’imputato colpì la vittima alla testa
scagliandoli contro delle pietre, e, infine, per negare la concessione delle attenuanti generiche.
Su quest’ultimo punto, si è detto che non merita le attenuanti generiche perché ha mentito in
dibattimento, e la menzogna è apprezzata proprio in forza delle pregresse dichiarazioni,
asseritannente spontanee.
Con il secondo motivo ha dedotto i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione per
la mancata dichiarazione di illegittimità del rigetto della richiesta di rito abbreviato
condizionato, sia del giudice dell’udienza preliminare che della Corte di assise, per la mancata
applicazione in primo grado della diminuente per il rito e per il rigetto in appello dello specifico
motivo tendente ad ottenere la riduzione della pena per il rito. L’imputato ha subìto una
violazione nel diritto di difesa per aver dovuto affrontare il processo a dibattimento pieno sol
perché aveva richiesto che in giudizio abbreviato si disponesse una perizia diretta ad accertare
le sue condizioni psichiche e la capacità di intendere e di volere sia pure in ordine alla cronica
intossicazione da alcool. È stato illegittimamente ritenuto che l’imputato avesse l’onere di
allegare documentazione attestante lo stato di etilismo cronico, nonostante agli risultasse già
la sua abituale ubriachezza, e ciò ha condotto all’illegittimo diniego del rito. In fine, la Corte di
assise di appello ha negato la diminuente per il rito con valutazione storica

ex post e

omettendo di valutare i requisiti della necessità, compatibilità ed economicità processuale della
richiesta integrazione istruttoria.
Con il terzo motivo ha dedotto il difetto di motivazione in ordine al mancato
riconoscimento della preterintenzione. La decisione circa il dolo d’omicidio si fonda su una
ricostruzione che non trova riscontro nelle risultanze istruttorie, perché in contrasto con le
conclusioni peritali. La causa della morte è stata individuata nel meccanismo riflesso inibitorio

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inutilizzabili perché furono assunte contra legem perché l’imputato era già in stato di fermo e

e cioè nell’eccezionale insorgenza di un riflesso elettrico•dal quale è scaturita una crisi vagale,
quale conseguenza di lesioni e contusioni varie.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Il primo motivo è manifestamente infondato. La polizia giudiziaria può raccogliere le
dichiarazioni spontaneamente rese dall’indagato, anche in assenza del difensore, a prescindere
se l’indagato sia stato già arrestato o fermato, perché l’articolo 350, comma 7, c.p.p., nel

dichiarante è infatti requisito essenziale di validità delle dichiarazioni che la polizia giudiziaria
riceve dall’indagato su provocazione per domanda, secondo quanto regolato dall’articolo 350,
comma 1, c.p.p. Il fatto che la verbalizzazione di tali dichiarazioni abbia fatto uso di termini e
lessico che non appartengono al modo di esprimersi dell’indagato non è per nulla indice di
mancanza di genuinità e spontaneità delle dichiarazioni, quanto dello sforzo, legittimo, dei
verbalizzanti di rendere in modo agevolmente comprensibile il contenuto delle dichiarazioni
raccolte. Lo stato di ubriachezza del dichiarante non priva del carattere di spontaneità le
dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, ma può essere al più un aspetto da prendere in esame
nelle valutazioni di quelle dichiarazioni. È appena il caso di osservare che già la sentenza di
primo grado ha posto in evidenza che i due indagati, al momento del fermo, “emanavano un
forte odore di alito vinoso e dal comportamento apparivano in stato di ebbrezza alcolica come
confermato da successivo accertamento etilometrico” (fl. 7 della sentenza di primo grado).
Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte di assise di
appello ha preso in esame la richiesta di applicazione della diminuente per la richiesta di
giudizio abbreviato, rigettata sia in sede di udienza preliminare che in sede di dibattimento di
primo grado. Nell’esame del motivo di appello ha agito in conformità alla legge, sì come
costantemente interpretata da questa Corte. In specie ha fatto buon governo del principio di
diritto secondo cui “il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata dall’imputato
all’assunzione di prove integrative, quando deliberato sull’erroneo presupposto che si tratti di
prove non necessarie ai fini della decisione, inficia la legalità del procedimento di
quantificazione della pena da infliggere qualora si pervenga, in esito al dibattimento, ad una
sentenza di condanna. Ne consegue che il giudice dibattimentale il quale abbia respinto in
limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato – rinnovata dopo il precedente rigetto del
giudice per le indagini preliminari ovvero proposta per la prima volta, in caso di giudizio
direttissimo o per citazione diretta – deve applicare anche d’ufficio la riduzione di un terzo
prevista dall’art. 442 c.p.p., se riconosca (pure alla luce dell’istruttoria espletata) che quel rito
si sarebbe dovuto invece celebrare” – Sez. un., 27 ottobre 2004, n. 44711, Wajib, C.E.D.
Cass., n. 229173 -. Il riferimento, pertanto, anche all’istruttoria espletata non consuma alcuna
illegittimità della valutazione, ma è anzi necessario per apprezzare la meritevolezza della
domanda e quindi l’eventuale erroneità del rigetto. Se questo è il criterio di cui si avvale il
giudice del dibattimento, esso non può che guidare anche la valutazione di controllo in sede di
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prevedere tale possibilità non richiede la presenza del difensore. La situazione di libertà del

impugnazione. D’altronde, l’apprezzamento della meritevolezza della richiesta, funzionale al
recupero della diminuente negata per il diniego del rito, non può essere privato della
considerazione di quanto è avvenuto in giudizio, vero banco di prova della ritenuta non
necessità dell’apporto probatorio integrativo.
Il terzo motivo è anch’esso manifestamente infondato. Là sentenza impugnata ha dato
ampia e coerente motivazione delle ragioni per le quali è da escludersi un dolo di lesioni e deve
essere, invece, affermato il dolo d’omicidio. La ricostruzione del fatto, fondata soprattutto sulla

polizia giudiziaria nell’immediatezza, oltre che sui risultati dell’accertamento autoptico, nega
ogni fondamento di plausibilità alla tesi dell’omicidio preterintenzionale. Né è dato
comprendere come una concausa della morte possa essere rilevante per stabilire, una volta
accertato il nesso causale con la condotta dell’imputato, che questi non agì per uccidere ma
solo per ferire, una volta che il compiuto esame degli atti posti in essere riveli, per
reiterazione, brutalità e micidialità degli stessi, l’esistenza in capo all’agente di una precisa
rappresentazione e volontà dell’evento morte.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro 2000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 aprile 2018
Il consi fiere estensore

Il presidente

Giusepe antal

Giulio Sarno

deposizione testimoniale di Cianfarani e sulle risultanze dell’ispezione locale compiuta dalla

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