Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18483 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18483 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI GIOVANNI CORRADO N. IL 14/04/1961
avverso l’ordinanza n. 1599/2012 TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA, del
27/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
Me/sentite le conclusioni del PG Dott. 41–L—, /xi
/(..*

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 11/04/2013

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 27.12.2012 il Tribunale del riesame di Venezia rigettava
l’appello proposto da DI GIOVANNI CORRADO avverso l’ordinanza del GIP del
Tribunale di Venezia in data 28.11.2012 con la quale era stata rigettata l’istanza
di revoca della misura della custodia cautelare per insussistenza di gravi indizi
di colpevolezza oppure, in subordine, di sostituzione della predetta misura con
gli arresti domiciliari.
In data 24.3.2012 Di Giovanni Corrado era stato sottoposto a fermo di P.G. in

etnia albanese (Lufi Eduard, Mastrangeli Arapi Eduart, Lugja Ledjan, Iulian
Teodor e altro soggetto da identificare), di far parte dal gennaio 2012 in qualità
di promotore di un’associazione per delinquere con il ruolo di procurare agli
associati informazioni utili sugli obiettivi criminosi, costituiti da facoltosi
imprenditori del Veneto, associazione dedita alla commissione di rapine in villa,
nonché indagato in ordine alla commissione con armi di una rapina in villa in
data 16.2.2012 in danno di Zucchetto Graziano, con tentato omicidio del
medesimo, e ad altri due episodi di tentata rapina in villa accaduti il 17 e il 20
marzo 2012 in danno di altri facoltosi imprenditori.
All’esito dell’udienza di convalida in data 26.3.2012 il GIP del Tribunale di
Venezia aveva emesso ordinanza che disponeva la custodia cautelare in
carcere, ordinanza della quale il Di Giovanni non aveva chiesto il riesame.
I gravi indizi di reità a carico del Di Giovanni venivano desunti, in particolare,
dal contenuto di alcune conversazioni intercettate con il cugino Massimo; dal
fatto che questi aveva commesso i fatti di cui trattasi in concorso con coindagati
albanesi, i quali avevano reso dichiarazioni confessorie; dai rapporti che Di
Giovanni Corrado intratteneva con le vittime delle rapine.
A seguito dei risultati di un primo incidente probatorio in data 26.5.2012, e in
particolare delle dichiarazioni rese dagli esecutori materiali dei delitti Lufi e
Mastrangioli, la difesa di Di Giovanni Corrado aveva avanzato richiesta di
scarcerazione, ritenendo che fossero venuti meno gli indizi a carico di Di
Giovanni Corrado, in quanto gli esecutori materiali della rapina avevano
dichiarato di non aver avuto alcun rapporto con lui, ma solo con Di Giovanni
Massimo. Il GIP del Tribunale di Venezia, con ordinanza in data 18.6.2012,
aveva respinto l’istanza di scarcerazione e anche l’appello avverso detta
ordinanza era stato respinto dal Tribunale del riesame di Venezia con ordinanza
in data 30.7.2012.
In data 14.11.2012 veniva espletato un secondo incidente probatorio, consistito
nell’esaminare il coindagato Di Giovanni Massimo, dal quale era emerso che il
predetto aveva accesso alle medesime informazioni che avevano consentito la
fruttuosità di una delle rapine, in ragione dei suoi rapporti diretti con la famiglia
1

quanto indagato, unitamente al cugino Di Giovanni Massimo ed altri soggetti di

Zucchetto; inoltre Di Giovanni Massimo aveva dato una spiegazione alle
conversazioni telefoniche intercettate con il cugino Corrado (in particolare
quella riguardante apparentemente la restituzione di un paio di Jeans, ma che
era stata interpretata come riguardante in realtà la restituzione di una pistola)
in termini tali da scagionare quest’ultimo.
Il Tribunale riteneva che le dichiarazioni di Di Giovanni Massimo non
rappresentassero, in senso assoluto, una novità, poiché il predetto aveva già
reso dichiarazioni sostanzialmente analoghe al Pubblico Ministero.

indiziario a carico del cugino Corrado, sia perché apparivano tese a scagionare il
parente, sia perché non fornivano una spiegazione convincente del contenuto
delle conversazioni incriminate, tenuto conto del complesso delle
intercettazioni, coinvolgenti anche altri indagati.

Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori
dell’indagato, chiedendone l’annullamento per violazione degli artt. 273/commi
1 e 1-bis e 292/2 lett. c del codice di rito nonché per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il Tribunale non aveva considerato che non solo dalle dichiarazioni di Di
Giovanni Massimo emergeva l’estraneità dell’indagato ai fatti di causa, ma
anche dagli esiti del primo incidente probatorio era risultato che gli esecutori
materiali della rapina in danno dello Zucchetto non avevano avuto alcun
contatto con l’indagato.
Il Tribunale non aveva spiegato perché aveva ritenuto lacunosa e di fantasia la
spiegazione data da Di Giovanni Massimo al contenuto delle telefonate con il
cugino Corrado, mentre detta spiegazione era del tutto convincente, e
comunque nelle conversazioni incriminate non vi era alcun riferimento ai fatti di
causa, cosicché gli interlocutori si sarebbero ben potuti riferire ad altre attività
forse non commendevoli.
Inoltre, non era stato spiegato in base a quali elementi era stato affermato che
l’indagato aveva fornito a Di Giovanni Massimo notizie sulle condizioni
economiche degli imprenditori presi di mira, tenuto conto anche del fatto che
quelle stesse notizie erano conosciute anche da di Giovanni Massimo.
Con un secondo motivo il ricorrente ha denunciato che il Tribunale aveva
totalmente omesso di rispondere in merito alla sussistenza delle esigenze
cautelar’ che, nell’ordinanza genetica, erano state individuate nel pericolo di
fuga e nel rischio di recidivazione.

l/
2

Queste dichiarazioni, secondo il Tribunale, non scalfivano la gravità del quadro

CONSIDERATO IN DIRMO
L’ordinanza impugnata è alquanto sintetica poiché ha integralmente richiamato,
recependolo, il contenuto dell’ordinanza dello stesso Tribunale in data
30.7.2012 nei confronti dello stesso indagato e avente il medesimo oggetto,
cosicché si deve far riferimento anche agli argomenti contenuti in detta
precedente ordinanza.
I motivi di ricorso, quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei
confronti di Di Giovanni Corrado in ordine ai delitti ascrittigli, sollevano

questa Corte stabilire quale delle diverse letture delle emergenze processuali quella dell’accusa, ritenuta più attendibile dal Tribunale del riesame, e quella
della difesa, riproposta con i motivi di ricorso – sia più convincente, dovendo
questa Corte limitarsi a verificare, senza procedere alla lettura degli atti del
procedimento, se l’apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata rispetti i
canoni fondamentali della logica e non contenga errori di diritto.
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del
ricorrente in ordine ai delitti ascrittigli esaminando il contenuto di alcune
conversazioni intercettate – tra Di Giovanni Corredo e suo cugino Massimo, il
quale risulta coinvolto, per sua stessa ammissione, nell’attività delittuosa di cui
trattasi – dalle quali ha desunto che dietro un discorso sulla restituzione di un
paio di jeans (prestati dal Corrado al Massimo) si celasse il riferimento ad una
pistola, sia perché appariva non congrua la preoccupazione e l’insistenza
dimostrata dal Corrado con la mera richiesta di restituzione di un capo di
abbigliamento di valore vile, sia perché detta conversazione doveva essere
messa in relazione con un’intercettazione ambientale avvenuta nello stesso
giorno tra Lufi e Massimo, nel corso della quale i due avevano parlato di una
pistola evidentemente utilizzata nella rapina ai danni dello Zucchetto, pistola
fatto sparire da una terza persona.
Il Tribunale ha ritenuto che i gravi indizi a carico dell’indagato, desumibili dalle
suddette conversazioni intercettate, non fossero venuti meno dopo le
dichiarazioni rese nel corso del secondo incidente probatorio da Di Giovanni
Massimo, sia perché le spiegazioni alternative date dal predetto al contenuto
delle conversazioni in questione non erano state convincenti, sia perché
appariva evidente l’intento di Di Giovanni Massimo di scagionare il parente.
In particolare, secondo il Tribunale, non era affatto convincente che i cugini si
riferissero a capi di abbigliamento usati oppure che solo per evitare chiacchiere
di paese avrebbero modificato il luogo di un incontro, ovvero che la
cancellazione di foto contenute nel telefonino fosse motivata dal solo fatto che
l’indagato aveva l’abitudine di lasciare il telefonino alla mercé della curiosità di
chiunque.
3

questioni di fatto non proponibili in sede di legittimità, poiché non è compito di

2

Nella precedente ordinanza del Tribunale del riesame nei confronti dello stesso
indagato si erano ravvisati ulteriori elementi a carico nei rapporti che Di
Giovanni Corrado intratteneva con le vittime delle rapine, ed in particolare con
lo Zucchetto, che poco tempo prima della rapina proprio il ricorrente aveva
accompagnato in una gioielleria ad acquistare due orologi di pregio, nonché
nella insistenza con la quale il predetto si era informato con lo Zucchetto
sull’andamento delle indagini riguardanti la rapina.
Nel ricorso si sostiene anche che Di Giovanni Massimo non avrebbe avuto

mira e che lo Zucchetto, scosso per la rapina subita, comprensibilmente si fosse
insospettito per le domande che gli aveva rivolto il ricorrente sulle modalità
della rapina e sullo stato delle indagini, domande che invece – secondo la difesa
– sarebbero del tutto usuali nei confronti di una persona vittima di un grave
reato.
Si sostiene, inoltre, che nelle conversazioni incriminate non vi sarebbe alcun
riferimento alle rapine; che le frasi sospette contenute nelle conversazioni
intercettate ben potrebbero riferirsi ad altre attività non commendevoli e che il
ricorrente, per la sua agiata situazione economica, non avrebbe avuto alcun
bisogno di compiere i delitti che gli erano stati addebitati.
Le suddette osservazioni della difesa sono logicamente plausibili e mirano a
fornire una diversa chiave interpretativa del materiale probatorio, ma non
individuano vizi di carattere logico giuridico contenuti nell’ordinanza impugnata,
e quindi, per le ragioni sopra esposte, le suddette osservazioni, in quanto
riguardanti il merito, non possono essere prese in considerazione in questa sede
di legittimità.
Appare, invece, fondato il motivo di ricorso relativo alla omessa pronuncia del
Tribunale sulla richiesta di revoca dell’ordinanza cautelare per insussistenza
delle esigenze cautelari.
Nei motivi d’appello avverso l’ordinanza del GIP l’appellante si era doluto anche
del fatto che fossero state ritenute sussistenti le esigenze cautelari, con
riguardo al pericolo di reiterazione di analoghe condotte e al concreto pericolo di
fuga, ma sul punto il Tribunale non ha in alcun modo risposto al motivo di
gravame.
Si deve rilevare che anche la precedente ordinanza del Tribunale del riesame in
data 30.7.2012 è stata annullata da questa Corte (con sentenza in data
11.4.2013) per non aver dato risposta sul motivo d’appello riguardante le
esigenze cautelari.
L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata limitatamente alla
omessa pronuncia sul predetto motivo di appello, con rinvio al Tribunale del
riesame di Venezia perché dia una risposta sul punto.
4

bisogno del cugino Corrado per procurarsi notizie sugli imprenditori presi di

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L.13 4 :-•52 dì3 332
Roma, II P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per
nuovo esame al riguardo al Tribunale di Venezia.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2013
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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