Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18483 del 04/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18483 Anno 2018
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BEN ALI TAREK nato il 14/06/1983 a TUNISI( TUNISIA)

avverso la sentenza del 15/03/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore DELIA CARDIA
che ha concluso per
Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore

Data Udienza: 04/04/2018

Ritenuto in fatto
La Corte di assise di appello di Bologna ha confermato la sentenza con cui il giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Forlì ha condannato Bel Ali Tarek alla pena di anni
trenta di reclusione sia per i delitti di omicidio pluriaggravato, per aver cagionato, mediante
strangolamento, la morte di Rino Benini, che da giorni lo ospitava nella sua abitazione, e di
incendio aggravato, per aver dato fuoco alla camera da letto dell’abitazione della vittima, al
fine di distruggere prove e tracce del reato; che per i delitti di furto pluriaggravato della carta
postamat della vittima e di indebito utilizzo della stessa, con prelievo di denaro contante per la

La Corte territoriale, per la ricostruzione dei fatti, ha richiamato la sentenza di primo
grado ed ha precisato che l’imputato ebbe a rendere infine confessione – e ciò qualche giorno
prima della discussione all’esito del giudizio abbreviato -, dopo aver cercato di far credere di
essere estraneo alla vicenda e dopo aver raccontato alla polizia giudiziaria varie versioni dei
fatti, con cui tentava di scagionarsi, addirittura anche accusando del delitto la fidanzata
Valentina Campitelli, che pure aveva confermato un suo falso alibi.
Ha quindi precisato che la tesi difensiva del dolo d’impeto si fonda soltanto sulle
dichiarazioni dell’imputato, che è assai poco credibile, e che nessuna prova supporta la tesi che
la vittima, scoperto il furto della carta postamat, avesse detto di voler denunciare l’imputato,
così scatenando la di lui reazione impulsiva. In ogni caso, il dolo d’impeto non sussiste in
ordine agli altri delitti, tutti commessi per occultare l’omicidio.
Ha poi affermato che nessun elemento giustifica la concessione delle attenuanti
generiche, e che anzi l’imputato è recidivo nel quinquennio per spaccio di stupefacenti. Ha
chiarito che la gravità dei fatti commessi, i precedenti penali, le modalità, i luoghi dell’azione
delittuosa, l’approfittannento del rapporto di convivenza, il comportamento processuale caratterizzato anche sa una confessione resa quando il quadro probatorio a carico era
imponente -, l’intensità del dolo e dei motivi a delinquere non solo ostano alla concessione
delle attenuanti generiche ma impediscono anche un trattamento sanzionatorio meno afflittivo.
Infine, ha ribadito la correttezza dell’applicazione delle aggravanti dell’abuso di relazioni
domestiche e della minorata difesa, posto che è dato pacifico che l’imputato convivesse con la

complessiva somma di C 700,00.

vittima, di età molto avanzata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di Bel Ali Tarek, che ha articolato
più motivi.
Col primo ha dedotto vizio di violazione di legge per inosservanza o erronea
applicazione dell’articolo 69 c.p. Il giudizio di bilanciamento operato in sentenza è arbitrario e
ha condotto ad una pena eccessiva. Non è stato considerato adeguatamente l’elemento
soggettivo, che è consistito in un dolo d’impeto, così come si è sottovalutato il dato della
confessione immediata, elementi questi che avrebbero dovuto indurre ad un giudizio di
bilanciamento in termini almeno di equivalenza con le contestate aggravanti. Nell’esame
dell’aggravante del nesso teleologico, non si è adeguatamente considerato che la somma di
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denaro oggetto del furto, pari ad C 700,00, è talmente irrisoria da non integrare la previsione
del danno patrimoniale di rilevante gravità. Circa poi l’aggravante dell’abuso di relazioni
domestiche, occorre prendere atto che non si è mai stabilito, con certezza, se l’ospitalità del
Benini fosse continuativa o saltuaria, da quanto tempo l’imputato fosse ospite e se fosse in
possesso delle chiavi di casa.
Col secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge per inosservanza o erronea
applicazione dell’articolo 133 c.p. La pena è stata irrogata nella misura del massimo edittale ed
è pertanto eccessiva in riguardo al reale e concreto disvalore delle condotte. Il giudice avrebbe

uno straniero, tossicodipendente, scarsamente scolarizzato e con una modestissima capacità di
comprendere pienamente il gesto commesso.
Col terzo motivo ha dedotto difetto di motivazione, per errata ricostruzione della
vicenda, sulla base di un’errata valutazione delle prove e richiamo pressoché integrale alle
osservazioni svolte dal giudice di primo grado.

Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per genericità dei motivi.
La Corte di assise di appello ha dato esaustiva risposta a tutte le doglianze che ora, con
il ricorso in esame, sono riproposte. Già la sentenza impugnata ha rilevato che la gran parte
(“assolutamente preponderante”) dei motivi “riguardano circostanze e questioni già
avanzate…ed esaminate, affrontate e risolte con dovizia e profondità di motivazione dal primo
giudice” (f1.4). Ha quindi ribadito, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, che non sono
emersi fatti che possano giustificare la concessione delle attenuanti generiche e che anzi
sussistono “plurimi elementi che escludono qualsivoglia apprezzamento positivo utile ad
attenuare la pena” (fl. 4). Di tali affermazioni ha dato adeguato conto, ricordando che
l’imputato è recidivo per delitti commessi nel quinquennio, in particolare per spaccio di
sostanze stupefacenti, e che di recente è stato arrestato per fatti connessi all’illecita
detenzione di stupefacenti. Ne ha poi richiamato il comportamento processuale, i plurimi
tentativi di inquinamento, la tardiva confessione, intervenuta quando il quadro probatorio era
già pienamente delineato, e l’assenza di resipiscenza, ed ha esaustivamente argomentato
sull’assenza di prova del dedotto dolo d’impeto. Nel prosieguo argomentativo ha preso in
considerazione le altre deduzioni difensive in ordine alla sussistenza delle circostanze
aggravanti contestate e alla misura della pena irrogata, con motivazione completa e coerente,
che ora sarebbe superfluo riassumere.
Occorre allora rammentare che il ricorso per cassazione è inammissibile per genericità
dei motivi, non solo quando essi sono intrinsecamente indeterminati, come è a dirsi per il
motivo articolato per ultimo, che si limita a contestare la ricostruzione della vicenda senza
indicazione delle lacune e dei difetti solo vagamente evocati; ma anche quando “difettino della
necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato” Sez. V, 15 febbraio 2013, n. 28011, Sammarco, C.E.D. Cass., n. 255568 -. Il difetto di
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dovuto tener conto delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, che è

correlazione connota il presente ricorso che, nel riproporre doglianze già prospettate con l’atto
di appello, evita di confrontarsi con le specifiche ragioni con cui il giudice del gravame ha
ritenuto di confermare la decisione impugnata.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro 2000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 4 aprile 2018

e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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