Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18482 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18482 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

Data Udienza: 11/04/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FALDETTA RAFFAELE N. IL 24/10/1946
avverso l’ordinanza n. 1163/2012 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
10/08/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
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lme/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.; C’1″-;

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RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 10.8.2012 il Tribunale del riesame di Palermo rigettava la richiesta di
riesame proposta nell’interesse di FALDETTA RAFFAELE avverso l’ordinanza che ne disponeva
la custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Palermo in data 18.7.2012 in
ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p., per aver fatto parte dell’organizzazione mafiosa
Cosa Nostra dal 15.7.2002 in qualità di capo della famiglia mafiosa di Casteltermini,
organizzando riunioni con altri esponenti di vertice di Cosa Nostra della provincia di Agrigento,

su incarico di Ribisi Francesco (capo della famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro).
Preliminarmente il Tribunale respingeva l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare per
omessa motivazione da parte del GIP, il quale aveva recepito la richiesta cautelare del Pubblico
Ministero senza operare alcuna autonoma valutazione in ordine alla gravità degli indizi.
Osservava che la richiesta cautelare del P.M., fatta propria dal GIP, era ben motivata e
specifica con riguardo alla posizione di Faldetta Raffaele, sia con riguardo ai gravi indizi di
colpevolezza che alle esigenze cautelari. Pertanto era stato assicurato il diritto di difesa, poiché
l’ordinanza conteneva il quadro complessivo, logico e articolato, dei gravi indizi a carico
dell’indagato e le esigenze cautelari che imponevano la misura della custodia cautelare in
carcere.
Respingeva anche l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto la registrazione
risultava effettuata nei locali della Procura della Repubblica di Palermo, in ossequio al disposto
dell’art. 268/3 c.p.p., anche se le operazioni di ascolto erano state eseguite con la tecnica
della remotizzazione negli uffici della Polizia giudiziaria.
Il Faldetta era stato arrestato in data 14.7.2002 per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p. e
condannato alla pena di sette anni di reclusione in quanto ritenuto al vertice del mandamento
mafioso di Casteltermini. Scontata la pena, era stato rimesso in libertà nel marzo 2008.
Da conversazioni intercettate tra Ribisi Francesco e Tarallo Giovanni si era accertato che in due
distinte occasioni (il 27 e il 30 gennaio 2011) quest’ultimo si era recato nel Comune di
Casteltermini per incontrarsi con Faldetta Raffaele, ma l’incontro non era avvenuto poiché, al
concordato appuntamento del 30 gennaio, il Faldetta, anziché presentarsi personalmente,
aveva delegato il figlio Faldetta Giuseppe, al quale il Tarallo non aveva riconosciuto la
legittimità di fare da intermediario o di prendere il posto del padre.
Gravi indizi di colpevolezza a carico del Faldetta

rientrato nell’organizzazione riprendendo il

suo ruolo di capo della famiglia di Casteltermini – venivano desunti:
-dal fatto che fosse in contatto con esponenti mafiosi come Ribisi e Tarallo, anch’essi al vertice
di famiglie mafiose, incaricati all’epoca di riorganizzare l’attività mafiosa nella provincia di
Agrigento;
– dalle modalità particolarmente accorte con le quali erano avvenuti i contatti;
-dal fatto che Ribisi e Tarallo avessero riconosciuto Faldetta Raffaele come unico soggetto a
Casteltermini legittimato ad interloquire con loro;
1

in particolare con Tarallo Giovanni (capo della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta) che agiva

-dall’incarico di Rabisi al Tarallo di contattare nuovamente (dopo il mancato incontro) il
Faldetta, al fine di chiarirgli che per le questioni di cui dovevano parlare non erano ammessi
intermediari.
Peraltro, costituiva una riprova dell’attuale inserimento del Faldetta nell’associazione mafiosa il
fatto che lo stesso, seppure con particolari accortezze e per il tramite del figlio, aveva
acconsentito ad organizzare l’incontro con Tarallo.

l’annullamento per i seguenti motivi.
Con il primo motivo ha riproposto l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, sostenendo
che il Tribunale non aveva chiarito che le operazioni di captazione e di registrazione erano
effettivamente avvenute nei locali della Procura della Repubblica di Palermo.
Con il secondo motivo ha riproposto l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare per carenza
di motivazione da parte del GIP, che si era limitato a riportare le argomentazioni d’accusa
contenute nella richiesta del Pubblico Ministero, senza mostrare di aver esercitato alcun vaglio
critico sulle stesse.
Il Tribunale aveva giustificato la tecnica motivazionale del GIP con i tempi brevi a disposizione
per il termine di venti giorni previsto dall’art. 27 c.p.p., ma poi neppure il Tribunale aveva
provveduto in proprio a sopperire alla lamentata lacuna motivazionale.
Con il terzo motivo ha contestato che a carico del ricorrente fossero stati raccolti gravi indizi di
reità in ordine al delitto ascrittogli.
Era solo un sospetto che il colloquio richiesto da Ribisi e Tarallo al Faldetta avesse per oggetto
questioni di mafia, e sul punto non c’era alcun riscontro.
Era significativo che lo stesso Tribunale del riesame avesse scarcerato il figlio del Faldetta,
poiché non emergeva con la dovuta certezza dalla trascrizione integrate delle conversazione
che il Tarallo si fosse incontrato con il figlio del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRMO
Sono infondati i motivi di ricorso riguardanti le sollevate questioni procedurali.
Il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha chiarito che le operazioni di
registrazione erano avvenute negli appositi locali della Procura della Repubblica di Palermo,
come risultava dagli stessi decreti di intercettazione, e solo l’ascolto delle conversazioni
intercettate era avvenuto, mediante la tecnica della remotizzazione, negli uffici della Polizia
giudiziaria.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, La “remotizzazione” delle intercettazioni presso gli
uffici di polizia giudiziaria non esclude la piena utilizzabilità dei risultati di tale mezzo di ricerca
della prova, essendo sufficiente che la “registrazione” sia avvenuta per mezzo di impianti
installati presso la Procura della Repubblica, anche se le operazioni di “ascolto”, verbalizzazione

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Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone

e riproduzione dei dati così registrati siano eseguite negli uffici della polizia giudiziaria (V. Sez.
1 sentenza n.35643 del 4.7.2008, Rv. 240988).
Con riguardo all’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare per mancanza di un’autonoma
motivazione da parte del giudice per le indagini preliminari, ritiene questa Corte che in materia
di misure cautelari personali non sia nulla per difetto assoluto di motivazione l’ordinanza
applicativa in cui risulti trasfusa integralmente ed alla lettera la richiesta del P.M., a condizione
che la richiesta contenga un’esposizione chiara e completa dei gravi indizi di reità a carico

possibile che il giudice richiesto della misura cautelare condivida interamente le
argomentazioni del Pubblico Ministero, che può far proprie anche trascrivendole integralmente.
Né può desumersi una mancanza di autonomia di giudizio o di senso critico dal solo fatto che il
giudice abbia condiviso integralmente la richiesta del P.M., tenuto conto anche del fatto che,
nel caso in esame, il provvedimento è stato emesso inaudita altera parte, e quindi non doveva
essere data una risposta alle richieste e alle argomentazioni della difesa.
D’altra parte, quel che conta per i diritti della difesa sono gli argomenti utilizzati per giustificare
la gravità indiziaria e le esigenze cautelari, a nulla rilevando che il giudice abbia condiviso le
argomentazioni prospettate dal P.M..
Risulta, invece, fondato il motivo con il quale il ricorrente ha contestato la motivazione del
Tribunale nella parte in cui ha ritenuto sussistente a carico del Faldetta un grave quadro
indiziario in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p..
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in materia di misure cautelari, il concetto
di indizio contemplato nel primo comma dell’art. 273 cod. proc. pen. si distacca dalla
definizione della prova indiziaria da ancorarsi ai requisiti di cui al secondo comma dell’art. 192
cod. proc. pen.; deve però necessariamente avere il crisma della gravità, che si individua in
direzione dell’indagato come consistente probabilità di colpevolezza. Per altro verso i gravi
indizi cui fa riferimento il citato art. 273 cod. proc. pen. possono essere desunti anche da
circostanze che, esaminate singolarmente, possono apparire non univoche nel loro significato,
ma, valutate globalmente in un’unica costellazione, induttivamente conducono ad un solido
substrato legittimante la misura coercitiva (V. Sez. 1 sentenza n. 4430 del 25.10.1993, Rv.
196499).
Si ha consistente probabilità di colpevolezza, quando gli elementi raccolti, valutati
complessivamente, abbiano un’apprezzabile capacità dimostrativa del fatto in contestazione.
Nel caso in esame, il fatto in contestazione è costituito dalla partecipazione di Faldetta Raffaele
– anche nel periodo successivo alla sua condanna e alla espiazione della pena inflittagli per lo
stesso delitto – all’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra.
Questo rientro nei ranghi del suddetto sodalizio criminoso è stato desunto, nell’ordinanza
impugnata, dal fatto che Ribisi Francesco e Tarallo Giovanni, due esponenti dell’organizzazione
mafiosa che all’epoca stavano riorganizzando i mandamenti nella provincia di Agrigento, si

fossero messi in contatto con l’indagato per questioni riservate e di mafia, dato che non
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dell’indagato e delle esigenze cautelari che giustificano l’emissione della misura, essendo

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, lì ..

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avevano voluto parlare di queste questioni con il figlio del Faldetta, mandato dallo stesso
Faldetta all’appuntamento del 30.1.2011 con il Tarallo.
Nella motivazione dell’ordinanza non vi alcun cenno alle questioni per le quali il Tarallo si
voleva incontrare con il Faldetta, e anche dal fatto che questi avesse accettato di incontrare il
Tarallo si è dedotto che era rientrato a far parte dell’associazione mafiosa.

La disponibilità di un contatto con un esponente della mafia per parlare di questioni riservate
legittima il grave sospetto che il Faldetta facesse parte anche lui – come Rabisi e Tarallo –

nulla si sa sul contenuto del colloquio e sulla condotta del Faldetta dopo la sua scarcerazione
(avvenuta nel marzo 2008), soprattutto in considerazione del fatto che il predetto non ha
ritenuto necessario presentarsi personalmente all’appuntamento, mandando invece il proprio
figlio all’incontro con il Tarallo.
Non appare particolarmente significativo che l’appuntamento sia stato preso dal Tarallo con
modalità prudenziali, tramite una terza persona, anche perché non si specifica che queste
modalità erano usuali per il Faldetta ogni volta che si doveva mettere in contatto con
componenti della stessa organizzazione, né può dedursi che oggetto del colloquio fossero
questioni di mafia dal solo fatto che il Tarallo si sia rifiutato di parlare con il figlio del Faldetta,
perché, in mancanza di prove di precedenti contatti del Faldetta con Rabisi e Tarallo, è
altrettanto logico che quest’ultimo volesse fare solo una proposta al ricorrente che, di per sé e
in mancanza di accettazione, non sarebbe indicativa dell’avvenuto rientro nell’organizzazione
mafiosa.
Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata perché nella motivazione non sono stati
indicati elementi idonei a configurare un grave quadro indiziario a carico del Faldetta.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario, ai sensi dell’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

dell’organizzazione mafiosa, ma non può ritenersi raggiunto un quadro di gravità indiziaria se

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