Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18481 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18481 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI GIOVANNI CORRADO N. IL 14/04/1961
avverso l’ordinanza n. 883/2012 TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA, del
30/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
Wite/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 11/04/2013

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RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 30.7.2012 il Tribunale del riesame di Venezia rigettava l’appello

proposto da DI GIOVANNI CORRADO contro l’ordinanza del GIP del Tribunale di Venezia in data
18.6.2012 con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca della misura della custodia
cautelare in carcere e quella di sostituzione della predetta misura con gli arresti domiciliari.
In data 24.3.2012 Di Giovanni Corrado era stato sottoposto a fermo di P.G. in quanto
indagato, unitamente al cugino Di Giovanni Massimo ed altri soggetti di etnia albanese (Lufi

di far parte dal gennaio 2012 in qualità di promotore di un’associazione per delinquere con il
ruolo di procurare agli associati informazioni utili sugli obiettivi criminosi, costituiti da facoltosi
imprenditori del Veneto, associazione dedita alla commissione di rapine in villa, nonché
indagato in ordine alla commissione con armi di una rapina in villa in data 16.2.2012 in danno
di Zucchetto Graziano, con tentato omicidio del medesimo, e ad altri due episodi di tentata
rapina in villa accaduti il 17 e il 20 marzo 2012 in danno di altri facoltosi imprenditori.
All’esito dell’udienza di convalida in data 26.3.2012 il GIP del Tribunale di Venezia aveva
emesso ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere, ordinanza della quale il Di
Giovanni non aveva chiesto il riesame.
I gravi indizi di reità a carico del Di Giovanni venivano desunti dal contenuto di alcune
conversazioni intercettate con il cugino Massimo; dal fatto che questi aveva commesso i fatti di
cui trattasi in concorso con coindagati albanesi, i quali avevano reso dichiarazioni confessorie;
dai rapporti che Di Giovanni Corrado intratteneva con le vittime delle rapine.
A seguito dei risultati dell’incidente probatorio, e in particolare delle dichiarazioni rese dagli
esecutori materiali dei delitti Lufi e Mastrangioli, la difesa di Di Giovanni Corrado aveva
avanzato richiesta di scarcerazione, ritenendo che fossero venuti meno gli indizi a carico di Di
Giovanni Corrado, in quanto gli esecutori materiali della rapina avevano dichiarato di non aver
avuto alcun rapporto con lui, ma solo con Di Giovanni Massimo. Inoltre, il Mastrangioli aveva
precisato di non essere stato a conoscenza, prima della rapina, della presenza di due orologi
Rolex nella cassaforte dello Zucchetto, orologi che – secondo le risultanze – il predetto aveva
acquistato qualche tempo prima mentre era in compagnia di Di Giovanni Corrado.
Il GIP aveva respinto con ordinanza in data 18.6.2012 la richiesta di scarcerazione e avverso
questa ordinanza era stato proposto appello davanti al Tribunale del riesame, sia in punto di
insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Di Giovanni Corrado che di
insussistenza delle esigenze cautelari ravvisate nei confronti dello stesso.
Il Tribunale riteneva che le dichiarazioni di Mastrangioli e Lufi rese nel corso dell’incidente
probatorio avessero confermato l’impianto accusatorio, ed era logico che dette dichiarazioni
non avessero coinvolto Di Giovanni Corrado, in quanto questi forniva le informazioni per
commettere le rapine al cugino Massimo, senza avere contatti diretti con gli esecutori materiali
delle stesse rapine.

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Eduard, Mastrangeli Arapi Eduart, Lugja Ledjan, Iulian Teodor e altro soggetto da identificare),

Il coinvolgimento del Di Giovanni nelle vicende in contestazione si desumeva, in particolare,
dal contenuto di alcune telefonate intercettate, dalle quali si evinceva che il predetto si era
interessato per procurare ai complici una pistola.
A rafforzare gli indizi nei confronti dell’indagato, vi era il suo insistente interessamento nei
confronti dello Zucchetto al fine di conoscere l’andamento delle indagini.

Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori, chiedendone

Il Tribunale non aveva preso atto degli esiti dell’incidente probatorio, dal quale era risultato
che gli esecutori materiali della rapina in danno dello Zucchetto non avevano avuto alcun
contatto con l’indagato e che non erano neppure a conoscenza del possesso da parte del
predetto di orologi Rolex.
Nella motivazione dell’ordinanza impugnata erano stati soltanto elencati gli indizi a carico del
Di Giovanni, siccome desunti dal contenuto dell’ordinanza cautelare, senza prendere in
considerazione gli argomenti critici rivolti dalla difesa dell’indagato alla valenza accusatoria di
ciascuno degli indizi.
Delle disponibilità economiche delle parti lese erano a conoscenza numerose persone, essendo
gli imprenditori presi di mira molto conosciuti nelle piccole comunità in cui risiedono.
Non si era considerato che Di Giovanni Massimo non aveva bisogno di ricevere informazioni
sullo Zucchetto dal cugino, in quanto intratteneva rapporti diretti con il predetto e sulla
posizione della cassaforte aveva dato informazioni al Mastrangioli di cui era direttamente a
conoscenza.
Neppure si era considerato che dalle indagini era emerso che Di Giovanni Massimo già due anni
prima aveva in mente di commettere reati di quel genere e che Di Giovanni Corrado aveva
un’attività economica soddisfacente e, quindi, non aveva alcuna necessità di commettere
rapine.
Le telefonate intercettate erano solo due e non vi era alcun riferimento alle rapine di cui
trattasi. Espressioni non chiare erano state messe arbitrariamente in relazione con i fatti di
causa, quando invece ben potevano essere riferite a tutt’altre attività.
Il Tribunale aveva, inoltre, omesso una qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza delle
esigenze cautelari, che nell’ordinanza genetica erano state individuate con il pericolo di fuga,
desunto dal solo fatto che Di Giovanni Massimo aveva un rapporto affettivo con una donna che
viveva in Ungheria, la quale avrebbe potuto dare ospitalità anche all’indagato.

CONSIDERATO IN DI RMO
I motivi di ricorso, quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Di
Giovanni Corrado in ordine ai delitti ascrittigli, sollevano questioni di fatto non proponibili in
sede di legittimità, poiché non è compito di questa Corte stabilire quale delle diverse letture
delle emergenze processuali – quella dell’accusa, ritenuta più attendibile dal Tribunale del
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l’annullamento per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

riesame, e quella della difesa, riproposta con i motivi di ricorso – sia più convincente, dovendo
questa Corte limitarsi a verificare, senza procedere alla lettura degli atti del procedimento, se
l’apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata rispetti i canoni fondamentali della logica e
non contenga errori di diritto.

Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente in
ordine ai delitti ascrittigli esaminando il contenuto di alcune conversazioni intercettate – tra Di
Giovanni Corrado e suo cugino Massimo, il quale risulta coinvolto, per sua stessa ammissione,

restituzione di un paio di jeans (prestati dal Corrado al Massimo) si celasse il riferimento ad
una pistola, sia perché appariva non congrua la preoccupazione e l’insistenza dimostrata dal
Corrado con la mera richiesta di restituzione di un capo di abbigliamento di valore vile, sia
perché detta conversazione doveva essere messa in relazione con un’intercettazione
ambientale avvenuta nello stesso giorno tra Lufi e Massimo, nel corso della quale

i due

avevano parlato di una pistola evidentemente utilizzata nella rapina ai danni dello Zucchetto,
pistola fatto sparire da una terza persona.
Ulteriori elementi a carico del ricorrente sono stati ravvisati nei rapporti che lo stesso
intratteneva con le vittime delle rapine, ed in particolare con lo Zucchetto, che poco tempo
prima della rapina proprio il ricorrente aveva accompagnato in una gioielleria ad acquistare due
orologi di pregio, nonché nella insistenza con la quale Di Giovanni Corrado si era informato con
lo Zucchetto sull’andamento delle indagini riguardanti la rapina che il predetto aveva subìto.
Il ricorrente sostiene che, essendo emerso nel corso dell’incidente probatorio che gli esecutori
materiali non avevano avuto alcun rapporto con Di Giovanni Corrado, il Tribunale avrebbe
dovuto considerare quanto meno indebolito il quadro indiziario a carico del predetto, ma al
riguardo risulta non priva di logica la spiegazione del Tribunale della mancanza di rapporti tra
gli esecutori materiali della rapina e Di Giovanni Corrado, in quanto questi aveva rapporti, al
fine di preparare le rapine, solo con suo cugino Massimo.
Nel ricorso si sostiene anche che Di Giovanni Massimo non avrebbe avuto bisogno del cugino
Corrado per procurarsi notizie sugli imprenditori presi di mira e che lo Zucchetto, scosso per la

nell’attività delittuosa di cui trattasi – dalle quali ha desunto che dietro un discorso sulla

rapina subita, comprensibilmente si fosse insospettito per le domande che gli aveva rivolto il
ricorrente sulle modalità della rapina e sullo stato delle indagini, domande che invece secondo la difesa – sarebbero del tutto usuali nei confronti di una persona vittima di un grave
reato.
Si sostiene, inoltre, che nelle conversazioni incriminate non vi sarebbe alcun riferimento alle
rapine; che le frasi sospette contenute nelle conversazioni intercettate ben potrebbero riferirsi
ad altre attività non commendevoli e che il ricorrente, per la sua agiata situazione economica,
non avrebbe avuto alcun bisogno di compiere i delitti che gli erano stati addebitati.
Le suddette osservazioni della difesa sono logicamente plausibili e mirano a fornire una diversa
chiave interpretativa del materiale probatorio, ma non individuano vizi di carattere logico
giuridico contenuti nell’ordinanza impugnata, e quindi, per le ragioni sopra esposte, le suddette
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71/76-2
-7

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, li

24 APR. 2013

osservazioni, in quanto riguardanti il merito, non possono essere prese in considerazione in
questa sede di legittimità.
Appare, invece, fondato il motivo di ricorso relativo alla omessa pronuncia del Tribunale sulla
richiesta di revoca dell’ordinanza cautelare per insussistenza delle esigenze cautelari.
Nell’ordinanza impugnata si riporta che la difesa dell’indagato, nella richiesta di scarcerazione
presentata al GIP, aveva chiesto la revoca della misura della custodia cautelare perché era del
tutto insussistente anche il pericolo di fuga, essendo l’indagato un apprezzato agente di

per ritenere che la compagna rumena di Di Giovanni Massimo avrebbe potuto favorire la
latitanza all’estero di Di Giovanni Corrado.
Si precisa, poi, nell’ordinanza impugnata che contro il provvedimento di rigetto del GIP la
difesa aveva riproposto davanti al Tribunale del riesame lo stesso motivo di insussistenza delle
esigenze cautelar’ ravvisate nei confronti dell’indagato, ma, nell’ordinanza del Tribunale del
riesame, non si rinviene alcuna risposta alla richiesta di scarcerazione per insussistenza di
esigenze cautelar’.
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata limitatamente alla omessa pronuncia sul predetto
motivo di gravame, con rinvio al Tribunale del riesame di Venezia perché dia una risposta sul
punto.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelar’ e rinvia per nuovo esame
al riguardo al Tribunale di Venezia.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario, ai sensi dell’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

commercio con radicati interessi affettivi e di lavoro in Italia e non essendovi concreti elementi

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