Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18477 del 31/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18477 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
TRECCOZZI ANTONIO nato il 24/12/1981 a CROTONE
MEGNA MATTIA nato il 28/09/1993 a CROTONE

avverso la sentenza del 01/02/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso per

Il P.G. chiede l’inammissibilità del ricorso.
Udito il difensore
L’avvocato MANDOLESI si riporta ai motivi del ricorso.

Data Udienza: 31/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 20/07/2016 il G.u.p. del Tribunale di
Crotone dichiarava Treccozzi Antonio e Megna Mattia colpevoli, in
concorso tra loro, dei reati di detenzione e porto in luogo pubblico di
ordigno esplosivo del tipo “bomba carta”, di esplosione pericolosa e di
danneggiamento aggravato di una saracinesca di un garage sulla quale

riduzione per il rito, alla pena di anni due di reclusione, pena sospesa per
il solo Megna.
Con sentenza in data 01/02/2017 la Corte di appello di Catanzaro, in
parziale riforma della suddetta sentenza, previo riconoscimento per il
Megna della circostanza attenuante di cui all’art. 114, comma 1 cod.
pen., prevalente sulle contestate aggravanti, ha ridotto la pena inflitta a
quest’ultimo nella misura di anni 1 di reclusione, pena sospesa;
confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede di interesse, rileva
come non sussista alcun dubbio sulla responsabilità penale del Treccozzi,
ideatore e realizzatore dell’attentato all’esercizio di proprietà della Fili
Romano s.p.a., con cui il suddetto aveva avuto controversie lavorative.
Sottolinea come ciò risulti dalla visione delle immagini di
videosorveglianza e sia, altresì, confermato dalle dichiarazioni di Santoro
Gaetano, amico dell’imputato, al quale questi aveva manifestato l’intento
criminoso chiedendogli aiuto e che tuttavia, a differenza del Megna, non
partecipava all’azione criminosa. Evidenzia come nessun dubbio sussista,
con riguardo a detto imputato, pur non facendone menzione la sentenza
di primo grado, anche in relazione all’elemento soggettivo e quindi alla
consapevole realizzazione del proposito criminoso. Rileva come ricorra
l’aggravante delle più persone riunite, che richiede la simultanea
presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento della
realizzazione del reato, quale si verificava nel caso di specie. E come,
infine, sia congruo il trattamento sanzionatorio riservatogli dalla prima
sentenza, che, partendo dalla pena per il reato più grave di cui all’art. 4 I.
895/67, già aggravata (anni due e mesi otto di reclusione), opera “un più
che contenuto aumento per la continuazione”.
Passando alla posizione del Megna, la sentenza impugnata evidenzia
come l’imputato, messo a conoscenza delle intenzioni del Treccozzi, che,
come dichiarato esplicitamente dal Santoro, chiedeva aiuto a quest’ultimo

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era stato collocato detto ordigno, ed erano condannati, operata la

e al Megna, al contrario del Santoro, il quale si allontanava una volta
compresa appieno la volontà del Treccozzi di portare a termine l’azione
crinninosa, rimaneva con questi, accompagnandolo ed aspettando che
portasse a compimento l’attentato, per poi darsi anch’egli alla fuga, come
chiaramente rappresentato nelle immagini registrate. Ponendo, così, in
essere con la sua presenza, secondo la sentenza in esame, un
comportamento di agevolazione e rafforzamento del proposito criminoso

punibile”, pur non potendosi al suddetto attribuire, in assenza di elementi
in tal senso, il ruolo specifico di “palo”.
2. Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione,
tramite il proprio difensore, Treccozzi Antonio, deducendo violazione di
legge e vizio di motivazione della stessa nella parte dedicata alla
trattazione dell’elemento soggettivo e delle circostanze di reato. Lamenta
il difensore l’assenza di indagine sull’elemento soggettivo dei reati.
Contesta la configurazione dell’aggravante delle più persone riunite, la
dosimetria della pena – rilevando come non sia sufficientemente motivata
– ed il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Ed insiste per
l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Propone ricorso per cassazione, sempre tramite difensore, anche
Megna Mattia, deducendo violazione dell’ art. 110 cod. pen. e vizio di
motivazione. Il difensore si duole che la sentenza di appello, pur avendo
escluso il ruolo di “palo” del Megna, abbia riconosciuto neFla sua presenza
inerte, peraltro in assenza della persona offesa dei reati, un contributo
agevolativo del proposito criminoso del Treccozzi, che senza dubbio non
andava riconosciuto per la mera condivisione di un breve tratto di strada
col medesimo, il quale, piuttosto, col suo comportamento aveva
dimostrato di non avere bisogno di un ausiliario e di poter agire da solo in
maniera indisturbata alle due di notte. Alla luce di tali motivi la difesa
insiste per l’ annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
Invero, solo formalmente sono prospettati vizi di motivazione e
violazioni di legge, ma in realtà viene richiesta un’inammissibile
rivalutazione delle circostanze attentamente e congruamente esaminate
dalla Corte territoriale e prima ancora dal Giudice di primo grado. Invero,

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già presente nel Treccozzi, ben lontano dalla “mera connivenza non

come da consolidato orientamento di questa Corte (si veda per tutte Sez.
2, n. 32839 del 09/05/2012, di cui si ripercorrono le argomentazioni), in
questa sede è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi il giudice della legittimità limitare a controllare se la

di rappresentare e spiegare

l’iter logico seguito. Quindi, non possono

avere rilevanza le censure volte ad offrire una lettura alternativa delle
risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di
cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica
sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite.
La sentenza impugnata valuta in una prospettiva di insieme tutti gli
elementi di indagine raccolti e li confronta, come esaminato in punto di
fatto, con i rilievi difensivi, relativi sia alla posizione del Treccozzi
(elemento soggettivo, aggravante delle più persone riunite e trattamento
sanzionatorio) che a quella del Megna (concorso nel reato e contributo di
minima importanza nell’esecuzione del reato), evidenziandone la
debolezza, ad eccezione del rilievo sul minimo contributo posto in essere
dal Megna, che ritiene, come si è visto, fondato. E conclude per l’
ascrivibilità ai suddetti – e quindi anche al Megna a titolo di concorso ai
sensi dell’ art. 110 cod. pen., pur se attenuato ai sensi del successivo art.
114 cod. pen. – dei reati contestati, sia sotto il profilo oggettivo che
soggettivo, al di là di ogni ragionevole dubbio. E ciò secondo una
ricostruzione logica, di cui dà ampiamente conto e che viene sopra
analiticamente riportata.
A fronte di dette solide argonnentazioni, del tutto conformi ai canoni
nornnativi di valutazione delle prove e di giudizio, i ricorrenti insistono
sugli argome,nti invocati nei motivi di appello. Laddove per il Treccozzi si
ritorna : – sull’assenza di un approfondimento dell’elemento soggettivo
dei reati, a fronte dell’individuazione di un movente e di uno specifico
proposito criminoso comunicato agli amici e dell’affermata evidenza delle
immagini registrate; – sul riconoscimento dell’aggravante delle più
persone riunite, sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e comunque su un trattamento sanzionatorio non motivato, a
fronte delle argomentazioni sopra riportate, oltre che sulla sussistenza

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motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace

dell’aggravante, sulla congruità della pena base e dell’aumento per la
continuazione. Laddove per il Megna si ritorna sull’assenza di un
contributo agevolativo del proposito criminoso del Treccozzi, a fronte
delle argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, sul suo concorso nei
reati. Con ciò non solo richiedendo una diversa lettura degli elementi
fattuali sopra – in punto di fatto – riportati, ma dimostrando, altresì, di
non confrontarsi in alcun modo con la motivazione della pronuncia

Secondo consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte
(Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, Rv.
221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, Rv.
256133; in ultimo Sez. 2, n.5522 del 22 ottobre 2013, Rv. 258264, di cui
si ripercorrono i passaggi), è inammissibile per difetto di specificità il
ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi
di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti
contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della
sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati
accolti. Si è, infatti, osservato che la funzione tipica dell’impugnazione è
quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce,
da realizzarsi attraverso la presentazione di motivi che, a pena di
inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente
le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e
indefettibilmente, il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso)
con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna di Treccozzi Antonio e Megna Mattia al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della
Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare in euro duemila per ciascuno.

P. Q. M.

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impugnata, che si limitano a confutare del tutto genericamente.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro
duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 3 1 gennaio 2018.

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