Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18474 del 12/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18474 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEKIC ZORAN (DIVIETO DI DIMORA EMILIA ROMAGNA) N. IL
01/03/1962
avverso l’ordinanza n. 704/2014 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del
09/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI
SALVO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 44 ,
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Data Udienza: 12/12/2014

RITENUTO IN FATTO
ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del
riesame di Bologna, in data 9-7-2014 , che ha confermato l’ordinanza
applicativa della misura intramurale, in ordine al delitto di cui all’art. 321 cp
per aver ceduto cocaina ai Carabinieri Capozzi e Giancola , in molte occasioni
gratuitamente, in altre accettando un pagamento posticipato e comunque
consentendo agli acquirenti di consumare la droga presso la sua abitazione,
mentre si trovavano in servizio.
2. Il ricorrente deduce, con unico motivo, vizio di motivazione, poiché il Pekic si
trovava in posizione di soggezione rispetto al potere prevaricatorio dei
militari, come dimostra anche la gratuità della cessione di stupefacente e
come emerge dalle conversazioni intercorse tra il ricorrente e la Guarini,
allorché quest’ultima, accortasi dell’ennesimo mancato pagamento da parte
del Capozzi , redarguisce il suo compagno, colpevole, a suo dire, di cedere,
con troppa facilità, alle angherie del militare. Né dai colloqui tra il Pekic e i
Carabinieri può inferirsi quella posizione di sostanziale parità che connota il
reato ascritto, poiché, in quest’ottica, non sono sufficienti espressioni
disinvolte, come “non mi scassare la minchia, Beppe! “, costituenti soltanto
l’estrinsecazione della frustrazione di chi deve subire per non incorrere in
conseguenze negative. Anche l’esistenza del pactum sceleris è meramente
presunta, non essendovi alcun elemento a sostegno di tale ricostruzione. È
pertanto ravvisabile nei fatti il delitto di cui all’art. 317 cp, versando il Pekic in
una condizione di coercizione psichica nei confronti dei militari.
Si chiede pertanto annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le doglianze formulate esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in
sede di legittimità, involgendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del
fatto riservati alla cognizione del giudice di merito ,le cui determinazioni , al
riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione
congrua , esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudicante e delle ragioni del decisum. Sez U. 27-11-1982 , Dessì ( Cass. pen.
1984,1260) ha infatti condivisibilmente ritenuto che, in tema di criteri differenziali
tra concussione e corruzione, non rilevi tanto la circostanza relativa alla contrarietà
dell’atto ai doveri di ufficio quanto la condotta del pubblico ufficiale, il quale, nel
caso di concussione, deve aver creato o insinuato, nel soggetto passivo, uno stato di
timore atto a eliderne o a viziarne la volontà, sicchè il privato si è determinato ad

1. Pekic Zoran

esaudire l’illecita pretesa del pubblico ufficiale, al fine di evitare nocumento. Ne
deriva che,mentre nella corruzione il privato e il pubblico ufficiale vengono a trovarsi
in una posizione di sostanziale parità, nella concussione, il privato versa in stato di
soggezione (metus publicae potestatis) di fronte alla condotta del pubblico ufficiale
(Cass. , sez 6, 1-2-1993, Cardillo, Cass. pen 1995, 52), poiché quest’ultimo ha
determinato, in lui, anche solo con frasi indirette e persino con il mero sintomatico
atteggiamento, uno stato di timore, idoneo a indurlo a ritenere che, senza l’esborso
conseguenze dannose ( Cass. , sez 6, 6-2-1992, Dominidiato, Cass. pen. 1993, 818).
2.Nel caso di specie, il Tribunale ha evidenziato che dalle risultanze delle indagini
espletate-e segnatamente dalle conversazioni captate-si evince che i rapporti tra il
ricorrente e i pubblici ufficiali erano impostati in termini di sostanziale parità, in
quanto basati su un preciso pactum sceleris, avente ad oggetto prestazioni
reciprocamente vantaggiose, all’insegna di una convergenza di intenti illeciti.
Significativa, al riguardo, è, in particolare, la conversazione svoltasi la sera del 18
ottobre 2013, analiticamente esaminata dal giudice a quo, il quale sottolinea come
da essa si evinca l’insussistenza del metus, in considerazione dei toni tutt’altro che
accesi, o anche soltanto tesi, e dell’uso, da parte del Pekic, di espressioni senz’altro
disinvolte ( “Non mi scassare la minchia, Beppe”) nei confronti dei Carabinieri. Del
resto- precisa il giudice a quo-,nonostante il Giancola avesse talora manifestato
arroganza, è lo stesso Pekic , in sede di interrogatorio, a descrivere la genesi e
l’evoluzione del rapporto con i militari in termini tali da consentire realisticamente di
definire tale rapporto come consensualmente sinallagmatico.
2.1.Dalle cadenze motivazionali dell’ordinanza impugnata è dunque enucleabile una
ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo il Tribunale preso in esame
le deduzioni difensive ed essendo pervenuto alla conferma dell’ordinanza genetica
attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali , in
nessun modo censurabile sotto il profilo della razionalità ,e sulla base di
apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di
manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. D’altronde ,in tema di
sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello
di sovrapporre la propria valutazione del fatto a quella compiuta dai giudici di
merito, bensì di stabilire se, come nel caso in disamina, questi ultimi abbiano
esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta
interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle
2

di danaro o la corresponsione di altra utilità, egli non potrebbe sottrarsi a

parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre ( Sez. U.13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Costituisce infatti

ius

receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, che il giudice di legittimità, nel
momento del controllo della motivazione , non debba stabilire se la decisione di
merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né debba condividerne la
giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
apprezzamento, atteso che l’art. 606 co 1 lett e) cod. proc. pen. non consente alla
Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove . In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice
della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del
contenuto della prova , non competendogli un controllo sul significato concreto di
ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di
merito,essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento
della logicità della motivazione (cfr,, ex plurimis , Cass. Sez. fer. , n. 36227 del 3-92004 ,Rinaldi , Guida al dir. , 2004 n. 39 , 86; Sez. 5, n.32688 del 5-72004,Scarcella,ivi,2004 , n. 36, 64; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli ,ivi,
2004n. 26, 75). E’, d’altronde, appena il caso di sottolineare , in questa sede,

che

l’interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate e delle espressioni
usate dagli interlocutori costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del
giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità ove le relative valutazioni
siano motivate , come nel caso in disamina, in conformità ai criteri di logica e alle
massime di esperienza ( Cass , Sez. 5 n. 47892 del 17-11-2003, Senno, Guida al dir.
2004, n. 10, 98).
3.L’estraneità delle doglianze formulate dal ricorrente al novero delle censure
deducibili nel giudizio di cassazione comporta, a norma dell’art 606, comma 3, cp ,
l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille , determinata
secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

PQM
DICHIARA INAMMISSIBILE IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
PROCESSUALI E DELLA SOMMA DI E. MILLE IN FAVORE DELLA CASSA DELLE AMMENDE.

3

compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di

Così deciso in Roma, all ‘udienza del 12-12-2014.

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