Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18473 del 12/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18473 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

Data Udienza: 12/12/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO SCIUTO ANTONINO N. IL 01/01/1970
avverso l’ordinanza n. 871/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
08/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI
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le/sentite le conclusioni del PG Dott. m
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1. Lo Sciuto Antonino ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
del riesame di Palermo, in data 8-7-2014, che ha confermato l’ordinanza
applicativa della misura intramurale, in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis
cod. pen. , per avere fatto parte dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” e, in
particolare, della famiglia di Castelvetrano.
2. Il ricorrente deduce , con unico, articolato motivo , violazione dell’art 125
cod. proc. pen. e vizio di motivazione in merito alla sussistenza della gravità
indiziaria, poiché Lo Sciuto aveva con Filardo Giovanni , che è ritenuto un
componente della famiglia mafiosa di Castelvetrano ma che, in realtà, è stato
assolto dal reato associativo,
con sentenza del Tribunale di Marsala,
esclusivamente un rapporto di lavoro. Né il giudice a quo dà alcuna
spiegazione in merito all’asserita
riconducibilità al ricorrente, a fini
dimostrativi di un’asserita sua appartenenza alla mafia, delle direttive
personalmente impartite dal Filardo alla moglie e alle figlie, che gestivano
effettivamente l’attività imprenditoriale e a cui il Filardo, all’epoca detenuto,
avrebbe ordinato di occuparsi personalmente di corrispondere proventi
aziendali a tale Ciccio, di cui peraltro non risulta certa l’identificazione nel
figlio di Guttadauro Filippo. Nessuna valenza indiziaria, nei confronti del
ricorrente, assume inoltre la conversazione in cui il Cimarosa informa un
inconsapevole Lo Sciuto delle pretese economiche, a suo dire, avanzate da
Messina Denaro Patrizia ; nè la conversazione tra il Cimarosa e il Lo Sciuto, in
cui i due parlano di corrispondere proventi a Filardo Matteo, anch’egli operaio
presso l’impresa del fratello e pure lui assolto, con sentenza definitiva, dalla
Corte d’appello di Palermo, dal reato di associazione mafiosa. Dalle
dichiarazioni del collaborante Cimarosa si evince una sostanziale estraneità
del ricorrente a qualsivoglia attività illecita in cui si è trovato coinvolto il
Cimarosa stesso e , in particolare, ad indebite corresponsioni di danaro a
soggetti formalmente estranei all’attività di impresa, anche dopo l’arresto di
Filardo Giovanni. Di talché è del tutto infondata l’affermazione del Tribunale
secondo cui Filardo aveva chiamato Lo Sciuto a fare da testimone all’ordine di
conferimento di denaro alla famiglia Messina Denaro. L’affermazione del
Tribunale, secondo cui la qualità di uomo di fiducia di Filardo Giovanni
,rivestita dal Lo Sciuto, era dimostrativa della titolarità di un ruolo nell’ambito
dell’organizzazione mafiosa , è poi assolutamente smentita dalle dichiarazioni
rese dal Cimarosa, in sede di incidente probatorio, dopo l’inizio della
collaborazione. Ne è possibile ipotizzare ragione alcuna per cui il Cimarosa
dovesse voler favorire il Lo Sciuto, che era del tutto inconsapevole di
consegne di denaro a sodali o a loro familiari e intendeva riferirsi, nelle
conversazioni captate, al pagamento di debitori dell’impresa . Comunque le

RITENUTO IN FATTO

dichiarazioni del Cimarosa sono prive di riscontri individualizzanti e non
possono dunque assumere la valenza di gravi indizi.
Si chiede pertanto annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del
fatto riservati alla cognizione del giudice di merito ,le cui determinazioni , al
riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione
congrua , esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudicante e delle ragioni del decisum . In tema di misure cautelari personali, infatti
, allorchè , come nel caso in disamina , venga denunciato , con ricorso per
cassazione , vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del
riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza , alla Corte
suprema spetta il compito di verificare , in relazione alla peculiare natura del
giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia
dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato , controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. La richiesta di riesame ha infatti , come mezzo d’impugnazione , la
precipua funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con
riguardo ai requisiti enumerati dall’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è
subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. La motivazione della
decisione del tribunale del riesame , dal punto di vista strutturale , deve pertanto
conformarsi al modello delineato dal citato articolo , che si ispira al modulo di cui
all’ art. 546 cod. proc. pen. , con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità ma di una qualificata probabilità di
colpevolezza. Nei procedimenti incidentali de libertate, lo sviluppo della
motivazione è conseguentemente inficiato dalla mancanza di approfondimento
critico e di rigore argomentativo , allorchè l’asserto relativo al carattere di gravità
degli indizi non trovi giustificazione in un organico e coerente apprezzamento degli
elementi di prova né risulti articolato attraverso passaggi logici dotati
2

1.Le doglianze formulate esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in

dell’indispensabile solidità ( Cass. , Sez. U. 22-3-2000 , Audino , Cass. pen. 2000,
2231).
1.1.Nel caso di specie, il Tribunale ha evidenziato che l’attività investigativa
espletata ha permesso di accertare che Cimarosa Lorenzo e Lo Sciuto Antonino
hanno, sinergicamente, reso apporti funzionali al perseguimento degli obiettivi di
affermazione e di consolidamento della famiglia mafiosa di Castelvetrano,
all’associazione mafiosa Cosa Nostra, così rafforzandone il vincolo e garantendone
la sopravvivenza e l’operatività. Ciò si evince dalle risultanze di una vasta mole di
conversazioni intercettate, di contenuto chiaro, univoco e non smentito da alcuna
significativa allegazione difensiva. I contenuti di tali conversazioni (e segnatamente
di quelle in data 15 aprile 2011; 24 marzo 2011; 12 ottobre 2010; 6 marzo 2011; 3
marzo 2011; 6 marzo 2011, 10 aprile 2010) sono stati analiticamente esaminati dal
giudice a quo, il quale ha sottolineato come esse dimostrino che il ricorrente ha
esplicato, in seno a Cosa Nostra, un’attività consistente nella consapevole
devoluzione di una parte degli utili dell’impresa Filardo alla famiglia mafiosa di
Castelvetrano e, in particolare, ad alcuni affiliati detenuti, ai parenti del latitante e al
medesimo Messina Denaro, con attività certamente ultronea ed esorbitante rispetto
a quella derivante dalle mansioni di dipendente dell’impresa di Filardo Giovanni.Lo
Sciuto Antonino e il coindagato Cimarosa Lorenzo provvedevano infatti all’esercizio
dell’impresa, riscuotendo gli utili da esso derivanti, che erano consapevolmente
destinati a costituire la fonte principale di sostentamento dei sodali detenuti, dei
parenti del capo di Cosa Nostra trapanese e dello stesso Messina Denaro Matteo.
Così come il giudice a quo analizza attentamente le dichiarazioni rese dal Cimarosa ,
il quale ha riferito che Lo Sciuto era la persona di fiducia del cognato, Giovanni
Filardo, ; che quando il Cimarosa era uscito dal carcere aveva trovato, presso
l’impresa BF Costruzioni ,il Lo Sciuto, che lavorava per il cognato; che era stato il Lo
Sciuto a informarlo della necessità di versare danaro alla sorella di Matteo Messina
Denaro; che il Lo Sciuto era in grande confidenza con il cognato, sapeva tutto e
sapeva con chi parlare, tant’è vero che intratteneva i rapporti diretti con il
coindagato, per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen.,Guttadauro Francesco;che il
Lo Sciuto conosceva perfettamente la caratura mafiosa del Filardo; che, in una
occasione, il Filardo , ancora libero, aveva ordinato al Cinnarosa , chiamando come
testimone proprio Nino Lo Sciuto, presente, di trovare C 20.000 da dare al latitante,
Messina Denaro. Alla luce di tali risultanze-sottolinea il giudice a quo-, non possono
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destinando stabilmente e consapevolmente una parte degli utili dell’impresa

essere ritenute attendibili le ultime dichiarazioni del Cimarosa, laddove quest’ultimo
ha tentato di ridimensionare sia la propria posizione che quella di Lo Sciuto , definito
un semplice operaio, cui venivano attribuiti compiti di natura prettamente tecnica.
Tali propalazioni presentano infatti — precisa il giudice del controllo- profili di
genericità e reticenza e non si conciliano con la circostanza che lo stesso Lo Sciuto si
sia fatto latore di messaggi rivolti a Matteo Messina Denaro. Il Cimarosa ha
ammesso comunque che il Filardo aveva parlato di somme di danaro da destinare a
fiducia del Filardo e il perno principale dell’azienda ed era a conoscenza dei rapporti
del Filardo con i capimafia della zona, essendosi anche fatto promotore di un
incontro con i responsabili di Mazara. Ma soprattutto- evidenzia il Tribunale- la
versione enucleabile dalle ultime dichiarazioni del Cimarosa contrasta con le
risultanze delle intercettazioni espletate , da cui si evince che i proventi dell’attività
di impresa, gestita da Lo Sciuto e Filardo, con commistione di ruoli tale da farli
apparire fungibili, erano destinati alla famiglia di Castelvetrano.

1.2.Dalle cadenze motivazionali dell’ordinanza impugnata è dunque enucleabile una
ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo il Tribunale preso in esame
tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuto alla conferma dell’ordinanza
genetica attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze
processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della razionalità ,e sulla base
di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di
manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. D’altronde ,in tema di
sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello
di sovrapporre la propria valutazione del fatto a quella compiuta dai giudici di
merito, bensì di stabilire se, come nel caso in disamina, questi ultimi abbiano
esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta
interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle
parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre ( Sez. U.13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Costituisce infatti

ius

receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, che il giudice di legittimità, nel
momento del controllo della motivazione , non debba stabilire se la decisione di
merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né debba condividerne la
giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
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Matteo Messina Denaro in presenza del Lo Sciuto; che quest’ultimo era l’uomo di

compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento, atteso che l’art. 606 co 1 lett e) cod. proc. pen. non consente alla
Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove . In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice
della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del
contenuto della prova , non competendogli un controllo sul significato concreto di
ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di
della logicità della motivazione (cfr,, ex plurimis , Cass. Sez. fer. , n. 36227 del 3-92004 ,Rinaldi , Guida al dir. , 2004 n. 39 , 86; Sez. 5, n.32688 del 5-72004,Scarcella,ivi,2004 , n. 36, 64; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli ,ivi ,
2004n. 26, 75). È poi appena il caso di sottolineare, in questa sede, come
l’interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate e delle espressioni
usate dagli interlocutori costituisca questione di fatto, rimessa alla valutazione del
giudice di merito e si sottragga al sindacato di legittimità ove le relative valutazioni
siano motivate , come nel caso in disamina, in conformità ai criteri di logica e alle
massime di esperienza ( Cass , Sez. 5 n. 47892 del 17-11-2003, Senno, Guida al dir.
2004, n. 10, 98).
2.L’estraneità delle doglianze formulate dal ricorrente al novero delle censure
deducibili nel giudizio di cassazione comporta, a norma dell’art 606 co 3 cod. pen. ,
l’inammissibilità del ricorso , con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille , determinata
secondo equità , in favore della Cassa delle ammende. A norma dell’art 94 co 1-ter
disp att cod. proc. pen., copia del presente provvedimento va trasmessa a cura della
cancelleria , al direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto
perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 comma 1 bis disp. att. cod. proc.
pen..

PQM
DICHIARA INAMMISSIBILE IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
PROCESSUALI E DELLA SOMMA DI E. MILLE IN FAVORE DELLA CASSA DELLE AMMENDE. MANDA ALLA
CANCELLERIA PER GLI ADEMPIMENTI DI CUI ALL’ART. 94-1/TER DISP. ATI’. C.P.P.

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merito,essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento

Così deciso in Roma, ali ‘udienza del 12-12-2014.

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