Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1846 del 06/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1846 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GAZZARA SANTI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
l) GRASSO ROSA N. IL 30/08/1947
avverso la sentenza n. 4860/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
09/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANTI GAZZARA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4094-Z,
che ha concluso per 4,
• I:7,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FA-170
Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 5/10/2010, dichiarava Rosa Grasso
responsabile del reato di cui agli artt. 44 lett. c, d.P.R. 380/01 e 181, d. Lvo 42/04,
perché in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed in assenza di permesso di
costruire e di autorizzazione ambientale edificava un manufatto fuori terra di mt.
14,20 per 6,00, con altezza variabile tra mt. 2,50 e 3,40, poggiante su platea in
25.000,00 di ammenda, pena sospesa.
La Corte di Appello di Firenze, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto
nell’interesse della prevenuta, con sentenza del 9/2/2012, in parziale riforma del
decisum di prime cure, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della
Grasso in ordine al reato di cui all’art. 181, d.Lvo 42/04, per essere lo stesso estinto
per intervenuta demolizione spontanea dell’opera abusiva, ed ha ridotto la pena per
il reato di cui all’art. 44 lett. c), d.P.R. 380/01 a mesi 2 di arresto ed euro 21.000,00
di ammenda.
Propone ricorso per cassazione la difesa della prevenuta con i seguenti motivi:
-ha errato il giudice di merito nel non ritenere l’opera edificata dalla Grasso di
natura precaria, motivando sul punto in maniera contraddittoria ed illogica;
-ha errato, altresì, il decidente nel quantificare la pena inflitta, proprio in dipendenza
della non corretta qualificazione della natura dell’ opera predetta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La argomentazione motivazionale, adottata dal giudice di merito in relazione alla
sussistenza del reato e alla ascrivibilità dello stesso in capo alla prevenuta, è logico e
corretto, come, del pari, puntuale ed esaustivo si palesa il riscontro fornito dal
decidente alle doglianze mosse con l’atto di appello.
Il decidente dopo avere evidenziato le notevoli dimensioni del manufatto e la
struttura edificativa dello stesso, ha rilevato che la destinazione di esso a scopo di

calcestruzzo, e la condannava alla pena di mesi 2 e giorni 15 di arresto ed euro

culto ne conferma la natura duratura e non precaria: trattasi di manufatto il cui
volume è pari a circa 87 mc., poggiante su stabile piattaforma in cemento armato,
destinato al culto degli adepti e associati alla “Chiesa Cristiana del Pieno Vangelo”.
Orbene, secondo costante interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, una
trasformazione urbanistica e/o edilizia, per essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio da parte della autorità amministrativa non deve essere precaria, visto
transeunte non è destinata a produrre quegli effetti sul territorio che la normativa
urbanistica è rivolta a regolare.
Conseguentemente, restano esclusi dal regime del permesso di costruire i manufatti
di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere
contingente e ad essere presto eliminati; precarietà che non dipende dalla natura
dai materiali adottati e quindi dalla facilità di rimozione, ma dalle esigenze che il
manufatto è destinato a soddisfare, quindi dalla stabilità dell’insediamento,
indicativa dell’impegno effettivo e durevole del territorio.
A tale fine l’opera deve essere considerata unitariamente e non nelle sue singole
componenti, affinchè ne emerga la eventuale stabilità e il carattere tendenzialmente
permanente della funzione ( ex multis Cass. 12/7/1999, Piparo ).
Nella specie, il giudicante, a giusta ragione, ha escluso la precarietà del manufatto,
col rilevare che lo stesso era stato edificato a scopo di culto, quindi non a soddisfare
esigenze transeunte; che trattavasi di edificazione di notevoli dimensioni; che
nessun elemento costituente la piattaforma probatoria consentiva di ritenere la
sussistenza del carattere temporaneo dell’edificio.
Del pari immeritevole di accoglimento è da ritenere la contestazione mossa sulla
dosimetria della pena, che il giudice di merito ha ritenuto, correttamente, adeguata
alla condotta illecita posta in essere dalla imputata.
Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la Grasso abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la
stessa, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì essere condannata al
versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente
fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.

che un’opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o

P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della
Cassa delle Ammende, della somma di euro 1.000,00.

Così deciso in Roma il 6/12/2012.

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