Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18456 del 01/07/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 18456 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MARZIALI Francesco, nato a Force (AP) il 31/03/1968,
avverso la sentenza del 21/03/2013 della Corte di Appello di Ancona;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Francesco Mauro
Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Walter Massucci, che si è riportato ai motivi di
impugnazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Ascoli Piceno sezione di San
Benedetto del Tronto con sentenza del 13.10.2004 ha assolto ai sensi dell’art. 530 co. 2
c.p.p., perché il fatto non costituisce reato, Francesco Marziali dal delitto di calunnia per
avere falsamente denunciato il 27.2.2000 ai Carabinieri di Porto d’Ascoli il furto di una
sua autovettura Volkswagen Golf, in tal modo indirettamente accusando -pur sapendolo
innocente- della sottrazione o del reato di ricettazione Claudio Gannbelunghe, che ne era
divenuto legittimo proprietario e possessore.
La decisione, pur dando atto della accertata oggettiva falsità del fatto denunciato,
ha ritenuto non sufficientemente dimostrata la consapevolezza del Marziali della non

Data Udienza: 01/07/2014

veridicità dei contenuti della sua denuncia (“…emergendo elementi che fanno pensare ad
un raggiro del quale lo stesso sia stato vittima…”).
2. Giudicando sull’impugnazione del pubblico ministero, dolutosi della sommarietà
e delle incongruenze della decisione in un quadro probatorio privo di reali incertezze
anche sulla mendace volontà accusatoria del prevenuto, la Corte di Appello di Ancona ha
riconosciuto il Marziali colpevole dell’ascritto reato di calunnia, condannandolo -in
concorso di attenuanti generiche- alla pena condizionalmente sospesa di un anno e

I giudici di appello hanno affermato la penale responsabilità dell’imputato,
rilevando l’inadeguata analisi da parte del Tribunale del compendio delle risultanze
processuali, attestanti senza possibilità di equivoco la

“piena consapevolezza

dell’imputato della falsità della sua denuncia”.
Conclusione cui la Corte distrettuale, muovendo dal dato storico dell’oggettiva
inesistenza di un furto dell’auto Volkswagen di cui il Marziali ha lamentato il furto
(evenienza di cui non dubita neppure il giudice di primo grado), è pervenuta con
l’osservare -da un lato- che nel dicembre del 1999 il Marziali, deciso a disfarsi della
vettura e dovendo recarsi per un periodo all’estero, ha dato incarico al suo conoscente
Falconi di curare la vendita del veicolo. Incombente attuato dal Falconi, rivoltosi al
venditore di auto Nazzareno Gatti, che al rientro in Italia del Marziali ha stipulato con
costui il 21.12.1999 il contratto di vendita della vettura Golf, consegnandogli in
pagamento due assegni bancari e ricevendo in consegna il veicolo.
Su tale conclamata emergenza, d’altro lato, nessun concreto rilievo, ha aggiunto
la Corte dorica, può attribuirsi ai successivi passaggi di proprietà del veicolo. Dal Gatti a
tale Biagiotti, da questi a tale Vinella, che infine l’ha venduta al Gambelunghe, nel cui
legittimo possesso la p.g. ha rinvenuto e sequestrato l’autovettura dopo la falsa denuncia
del furto presentata dal Marziali. Non fosse altro perché l’imputato aveva, come emerso
dai documenti versati in atti, già venduto regolarmente l’auto al Gatti, ricevendone in
pagamento il pattuito prezzo. Di tal che nessuna questione è mai proponibile sulla
deliberata volontà di calunnia, diretta o indiretta che sia (nei confronti del successivo
proprietario Gambelunghe), che ha sorretto la denuncia del Marziali. Denuncia che il
Marziali presenta ad oltre due mesi di distanza dall’avvenuta vendita e consegna del
mezzo, che soltanto lui stesso avrebbe potuto prelevare dal garage messogli a
disposizione dall’amico Boni ove era custodita (e di cui soltanto esso Marziali aveva le
chiavi).
3. Avverso l’illustrata sentenza di appello Francesco Marziali, con l’ausilio del
difensore, ha proposto ricorso per cassazione, adducendo con unico articolato motivo i

2

quattro mesi di reclusione.

vizi di legittimità di violazione di legge per erronea valutazione delle fonti di prova
dichiarative e di contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione.
3.1. La circostanza, che è alla base del giudizio di colpevolezza del ricorrente,
della pacifica negoziazione nel dicembre 1999 della compravendita della Volkswagen Golf
tra l’imputato e Nazzareno Gatti, le cui dichiarazioni testimoniali sono state ritenute
senz’altro attendibili, meritava maggiore prudenza da parte della Corte di Appello, che
avrebbe dovuto quanto meno rinvenire utili riscontri agli assunti dichiarativi del Gatti. Ciò

posizione (“era stato proprio lui a dare il via ai passaggi irregolari dell’autovettura ed era
chiaro che ogni malefatta andava imputata a lui”). Al riguardo i giudici di appello non
hanno adeguatamente valutato la testimonianza di Pierino Falconi,

“teste del tutto

imparziale”, che ha riferito di aver fatto provare al Gatti sia la Volkswagen Golf sia altra
vettura Opel Sintra anch’essa del Marziali e che il Gatti, da lui accompagnato nel
dicembre 1999 presso l’ufficio del Marziali (titolare di un’agenzia di assicurazioni),
“appartatosi con il Marziali nell’ufficio di quest’ultimo” avrebbe in realtà acquistato l’auto
Opel Sintra e non la Golf. Per altro non è stato acquisito alcun contratto di vendita che
specificamente riguardi l’auto Golf (il dato desumibile dalle sole dichiarazioni del Gatti) e
gli assegni di cui il Gatti ha prodotto copia concernono il pagamento della diversa vettura
Opel Sintra.
3.2. Con motivi aggiunti depositati il 12.6.2014 il difensore dell’imputato ha altresì
dedotto la violazione dell’art. 6 CEDU, sollevando la problematica della reformatio in
peius in appello di una sentenza assolutoria di primo grado.
Il Marziali è stato condannato in secondo grado sulla base di una diversa
valutazione delle prove testimoniali raccolte nel dibattimento di primo grado ed
apprezzate in senso liberatorio dal Tribunale. Ora, alla luce di note decisioni della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo (Dan contro Moldavia, 5.7.2011; Hanu contro Romania,
4.6.2013; Kostecki contro Polonia, 4.6.2013), la Corte di Cassazione -coniugando il
disposto dell’art. 6, par. 3-lett. d), CEDU ai principi del giusto processo (art. 111 Cost.) e
della regola del giudizio di condanna dell’assenza di ogni ragionevole dubbio (art. 533 co.
1 c.p.p.)- ha affermato che il giudice di appello, quando intenda procedere ad una nuova
o diversa valutazione di una prova orale già assunta in una precedente fase processuale,
è tenuto a procedere ad una parziale rinnovazione dell’istruttoria, disponendo nel
contraddittorio delle parti processuali la nuova escussione dei testimoni, delle cui
dichiarazioni reputi possibile una diversa interpretazione rispetto a quella propostane dal
precedente giudice (per tutte: Sez. 6, n. 16566, del 26.2.2013, Caboni, Rv. 254623).
Incombente cui la Corte di Appello di Ancona non ha provveduto, così dando luogo ad
una decisione meritevole di annullamento in sede di legittimità per violazione di legge.

3

soprattutto quando si rifletta che costui ha sostenuto una tesi che giovava alla sua

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’impugnazione di Francesco Marziali deve essere rigettata per infondatezza
degli esposti motivi (principali e aggiunti) di censura.
Ciò non senza premettere, per completezza di analisi, che il reato di calunnia
ascritto al ricorrente, deciso in primo grado con sentenza dell’8.10.2004, pur commesso
nell’ormai remota data del 27.2.2000 non è attinto da causa estintiva prescrizionale,
trovando applicazione nel caso di specie (in base alla norma transitoria dettata dall’art.

10 co. 3 L. 251/2005, come interpretata dalla Corte Costituzionale con sentenza n.
393/2006) il regime dei termini di prescrizione disciplinato dal previgente art. 157 c.p.
(termine massimo per il reato di cui all’art. 368 c.p. pari a quindici anni).
1.1. La doglianza (ricorso originario) afferente al merito valutativo della
regiudicanda non ha pregio, poiché la decisione della Corte di Appello non è incorsa in
alcuna violazione dei criteri di valutazione delle prove dichiarative previsti dall’art. 192
c.p.p. La sentenza di secondo grado ha diffusamente esaminato, con autonomo giudizio
rispetto a quello del Tribunale, tutte le risultanze istruttorie, in gran parte trascurate dalla
decisione liberatoria di primo grado, ivi comprese la deposizione del teste Falconi su cui si
sofferma l’odierno ricorso. Né all’impugnata sentenza possono fondatamente muoversi
critiche di illogicità e di contraddittorietà del giudizio di colpevolezza, segnatamente se
poste in comparazione con le conclusioni cui è giunta la sentenza del Tribunale, che si
segnala per somnnarietà e palesi lacune nella disamina delle fonti probatorie di segno
dichiarativo (oltre che di quelle documentali pur presenti in atti).
Per vero l’assunto in base al quale il Tribunale ha creduto di poter mandare
assolto il Marziali dal reato di calunnia, nella conclamata ontologica falsità (giova
ribadire) delle asserzioni dell’incriminata denuncia di furto, alla cui stregua non si sarebbe
raggiunta la prova (insufficiente ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p.) del dolo del reato di
calunnia, potendosi ipotizzare che il Marziali sia rimasto vittima di raggiri, costituisce
assunto meramente apodittico, privo di qualsiasi concreta dimostrazione. Il Tribunale non
soltanto non si è curato di esporre le ragioni di una simile ipotesi, che in motivazione è
soltanto prefigurata senza alcun riferimento specifico alle fonti di prova (testimoniali o
documentali) che la suffragherebbero, ma neppure ha indicato le concrete ragioni della
eventuale inattendibilità del testimone Nazzareno Gatti, primo acquirente (non importa
se in proprio e per conto di altri subacquirenti) della vettura Volkswagen Golf di cui il
Marziali ha falsamente denunciato la sottrazione.
Non basta. Nella scarna (rectius affatto carente) motivazione del Tribunale non si
rinviene alcuna traccia delle dichiarazioni testimoniali di Pierino Falconi richiamate nel
ricorso e che dovrebbero confortare la tesi della inconsapevole volontà calunniatrice del
Marziali, a tacere di ogni legittimo dubbio sulla addotta “terzietà” del Falconi (che è un
amico o conoscente dell’imputato). Né può sottacersi, ad ogni buon conto, che la tesi j

t:

4

//

della avvenuta vendita di una vettura Opel Sintra del Marziali in luogo della Volkswagen
Golf oggetto della falsa denuncia di furto, tesi unicamente supposta dal Falconi (che,
come si afferma nel ricorso, non assiste alle trattative di vendita), è rimasta del tutto
estranea non soltanto ai fatti esposti nella denuncia presentata ai carabinieri il 27.2.2000
dal Marziali, ma all’intera prospettazione difensiva dell’imputato nel giudizio di primo
grado. Tant’è che anche di essa non si trova traccia nella motivazione della sentenza del
Tribunale. E l’evenienza contribuisce, allora, ad avvalorare la “causa” del consistente

presunto verificarsi della sottrazione del veicolo. Causa individuata dalla Corte di Appello
nel verosimile sopravvenire di disaccordi di natura economica tra il Marziali e il Gatti o
altre persone in rapporto con l’imputato. Sul punto è appena il caso di aggiungere che,
come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la volontaria omissione di aspetti
problematici della vicenda alla stessa sottesi evidenzia il carattere malizioso della
denuncia e diventa elemento idoneo ad integrare la consapevolezza dell’innocenza
dell’incolpato, la deliberata e avveduta parzialità del racconto dei fatti esposti dal
denunciante rendendosi dimostrativa del dolo di calunnia (v. Sez. 6, n. 25587 del
24.5.2012, Brotto, non mass.).
1.2. Sulla affermata responsabilità dell’imputato e sulla legittimità della decisione
adottata dalla Corte di Appello di Ancona non possono dispiegare influenza i diffusi
riferimenti, pur di per sé -in tesi- giuridicamente corretti, effettuati con i “motivi aggiunti”
di ricorso all’applicazione della giurisprudenza della Corte E.D.U. (causa Dan contro
Moldavia e altre) in relazione ai principi del giusto processo.
Innanzitutto la decisione di questa Corte regolatrice richiamata nei motivi aggiunti
(Sez. 6, n. 16566 del 26.2.2013, Caboni, Rv. 254623) non ha statuito un’assoluta
obbligatorietà di rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, se i giudici di secondo
grado ritengono di assumere decisione diversa da quella liberatoria di primo grado,
chiarendo che detta rinnovazione può e deve intervenire nei soli casi in cui il dissenso,
potenzialmente all’origine di una riforma in peius della prima decisione, investa il diverso
o più articolato apprezzamento di attendibilità o di alternatività referenziale e
dimostrativa dì una fonte di prova dichiarativa (testimonianza). La stessa decisione,
seguita dalle molte altre successive e conformi (cfr. ex multís: Sez. 2, n. 45971 del
15.10.2013, Corigliano, Rv. 257502; Sez. 6, n. 8654 del 11.2.2014, Costa, Rv. 259107;
Sez. 5, n. 14040 del 22.1.2014, Dolente, Rv. 260400), ha precisato che quando il giudice
del gravame, confrontandosi con la motivazione della sentenza di primo grado di diverso
esito decisorio, rilevi specifici errori logici o di fatto tali da infirmare in radice la
valutazione delle prove dichiarative (o non) sviluppata dal primo giudice, non si pone
alcuna questione di conformità ai dettami della giurisprudenza della CEDU o di eventuale
elusione dei principi del giusto processo e del contraddittorio ovvero di elusione del

5

ritardo con cui il Marziali ha effettuato la falsa denuncia di furto della Golf rispetto al

diritto di difesa dell’imputato. Perché in simili casi, a fronte della palese insostenibilità del
giudizio elaborato dalla prima decisione, “la lettura [delle fonti di prova, ndr] proposta
dalla sentenza di condanna a seguito di appello dovrà essere l’unica decisione possibile
alle date condizioni” (così, in motivazione Sez. 6, n. 16566/2013, Caboni, cit.).
In secondo e assorbente luogo, calando gli appena menzionati principi affermati
da questa S.C. nel caso per cui è ricorso, è agevole constatare come non si ponga in
nessun modo la tematica del rinnovato esame delle fonti dichiarative enunciata con i

contraddittorio delle parti presuppone, quanto alle prove dichiarative, il delinearsi di un
contrasto o di una difformità di apprezzamento delle inferenze di determinati apporti
conoscitivi testimoniali acquisiti nella originaria istruttoria dibattimentale o nel corso delle
indagini, ove si sia proceduto nelle forme del rito abbreviato. In simili casi -come detto- i
giudici di appello, per riformare in peius una sentenza assolutoria, non possono limitarsi
ad adottare una motivazione sorretta da una ipotizzata maggiore efficacia persuasiva e
atta a vanificare ogni ragionevole dubbio, neanche apprezzando diversamente o
valorizzando i riscontri alle prove dichiarative già raccolte, ma debbono assumere
direttamente le testimonianze diversamente valutate o valutabili (cfr.: Sez. 5, n. 10965
del 11.1.2013, Cava, Rv. 255223; Sez. 3, n. 5907 del 7.1.2014, Rv. 258901).
Senonché nel caso riguardante il ricorrente Marziali non si è in presenza di alcuna
dicotomia valutativa. Per la semplice ragione che il primo corno del dilemma tra due
alternative proposizioni interpretative di fonti testimoniali, che dovrebbe essere offerto
dalla lettura o valutazione della decisione liberatoria di primo grado, in concreto non
sussiste. La sentenza di assoluzione del Tribunale non ha operato alcuna specifica (e men
che mai argomentata) valutazione, neppure sotto forma di mera parafrasi, delle
testimonianze che varrebbero ad accreditare la mancanza del dolo di calunnia nella
condotta di denuncia di un fatto senz’altro falso dell’imputato Marziali (furto dell’auto
Volkswagen Golf). La sentenza del Tribunale si limita semplicemente a citare i nomi delle
persone di cui è stata assunta la testimonianza, senza alcuna ulteriore pur sommaria
considerazione. Sicché su dette testimonianze la motivazione della sentenza di primo
grado è totalmente mancante. Con l’ovvio conseguente effetto logico che la sola
supposizione che tali testimonianze giustifichino la congettura sulla mancante o
insufficiente presenza del dolo nella condotta di denuncia dell’imputato diventa
espressione di un giudizio puramente travisante delle fonti di prova nella loro interezza (e
non soltanto di quelle dichiarative). A tale vuoto di motivazione si contrappongono gli
autosufficienti e, come già segnalato, logici e coerenti giudizi enunciati dalla decisione di
appello nell’ambito di quello che è divenuto l’unico contesto o quadro valutativo delle
fonti probatorie che attingono la posizione processuale del ricorrente Marziali. E’ evidente
che in un siffatto caso, come in tutti quelli ad esso assimilabili, sono impropriamente
richiamati i principi della Corte EDU enunciati con la sentenza nella causa Dan contro

6

motivi aggiunti di ricorso. L’eventuale rinnovazione parziale dell’istruttoria nel

Moldavia del 2011 (“…la Corte ritiene che coloro che hanno la responsabilità di decidere
la colpevolezza o l’innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire
i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità; la valutazione dell’attendibilità
di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito
mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate”) e l’interpretazione offertane
dalla giurisprudenza di questa Corte, poiché in simili casi il giudice di appello che riformi
una sentenza assolutoria di primo grado non procede ad una “rivalutazione” o

dal primo giudice, ma all’unica “valutazione” logica sul piano della cognizione di merito di
quelle dichiarazioni, le cui valenze rappresentative di fatti, situazioni e comportamenti
siano state interamente ignorate dal primo giudice, sì da non prospettarsi alcuna
scissione o discrasia ricostruttiva e valutativa delle emergenze processuali tra la prima e
la seconda decisione.
Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 1° luglio 2014
Il consigliere stensore
Giacom

Il Presidente
Tit Garrí a

rivisitazione diversa o alternativa di antecedenti dichiarazioni testimoniali già apprezzate

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA