Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18453 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18453 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
BARATTA Saverio Giuseppe, nato a Termini Imerese (PA) il 19/03/1974,
avverso la sentenza del 07/05/2013 della Corte di Assise di Appello di Messina;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Francesco Mauro
Iacoviello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore delle parti civili F.A.I., A.C.I.B., Comune di Brolo e Maniaci Brasone
Antonino, avv. Giuseppe Squitieri in sostituzione dell’avv. Francesco Pizzuto, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori del ricorrente, avv. Carmelo Occhiuto e avv. Tindaro Celi, che hanno
insistito per l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. Nell’ambito di un giudizio cumulativo per gravi fatti di criminalità mafiosa, in
essi inclusi eventi ornicidiari, derivante dalla riunione di più procedimenti in origine
separati e in particolare dei due procedimenti denominati “operazione Romanza” e
“operazione Icaro”, la Corte di Assise di Messina con sentenza del 25.7.2008 ha dichiarato
Saverio Giuseppe Baratta colpevole del delitto di associazione per delinquere di natura
mafiosa, condannandolo alla pena di sei anni di reclusione. Condotta criminosa integrata

Data Udienza: 01/07/2014

dall’avere il Baratta fatto parte, dal 1994 al 2003, di uno dei gruppi organizzati mafiosi
riconducibili a “Cosa Nostra” operanti nella fascia tirrenica della provincia di Messina (area
tra Milazzo e Sant’Agata Militello, compresi i monti Nebrodi) e segnatamente del gruppo
c.d. dei Tortoriciani (logisticamente insediato nel comune di Tortorici nel Parco dei
Nebrodi).
2. Intervenuta impugnazione del Baratta, nel giudizio di appello la sua posizione è
stata separata da quella dei coimputati, essendosi reso necessario verificarne con

Acquisita prova positiva della capacità processuale dell’imputato, la Corte di Assise di
Appello di Messina con sentenza del 7.5.2013, interamente condividendo l’analisi e la
valutazione delle fonti probatorie sviluppata dalla decisione di primo grado, ha confermato
il giudizio di responsabilità del Baratta, nei cui confronti ha tuttavia mitigato il trattamento
sanzionatorio, riducendo a cinque anni di reclusione la pena inflittagli.
3. Alla luce della congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito la
responsabilità associativa mafiosa è stata considerata provata al di là di ogni ragionevole
dubbio sulla base delle dichiarazioni accusatorie (chiamata di correo) rese in incidente
probatorio dal collaboratore di giustizia Santo Lenzo, già intraneo con ruolo di rilievo nella
cosca tortoriciana facente capo alla famiglia dei Bontempo Schiavo in cui sarebbe stato
organicamente inserito anche il Baratta, attivo in particolare con un gruppetto di altri
giovani nell’area del comune di Brolo, dedito allo spaccio di stupefacenti e alla
commissione di furti e disponibile (“stabile disponibilità”) al compimento di ulteriori fatti
criminosi ideati dai vertici dell’aggregazione mafiosa (soprattutto estorsioni e atti
intimidatori). Chiamata in correità cui si sono sovrapposte, in funzione di autonomi
riscontri individualizzanti e nell’ottica di un convergente paradigma accusatorio, le ulteriori
propalazioni accusatorie degli altri collaboranti Vincenzo Spiccia e Giuseppe Cipriano
(dichiarazioni acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p.) e una nutrita serie di conversazioni
ritualmente intercettate a bordo dell’autovettura del menzionato c.d.g. Lenzo, in molte
delle quali interloquisce lo stesso Baratta.
Fonti di prova ampiamente vagliate nella loro affidabilità, rivelatesi univoche e
persuasive, sì da indurre i giudici di secondo grado a ribadire la sicura adesione del
Baratta alla consorteria mafiosa nebroidea guidata dagli esponenti della famiglia
Bontempo Schiavo (sentenza, p. 94: “…sicuro partecipe della cosca in questione e ciò in
un ruolo, se non di primissimo piano, certamente comunque non di assoluta
marginalità…il classico partecipe o gregario, sulla cui disponibilità i capi dell’associazione
sanno di poter sicuramente contare per fargli svolgere di volta in volta la mansione più
utile”).

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indagine peritale la capacità di cosciente partecipazione al processo (art. 70 c.p.p.).

4. L’imputato Saverio Giuseppe Baratta per mezzo dei difensori ha impugnato per
cassazione la descritta sentenza di appello. Nel suo interesse sono stati presentati due
ricorsi con cui sono dedotto più vizi di legittimità della decisione riconducibili alla tipologia
della violazione di legge (processuale o sostanziale) e della insufficienza, contraddittorietà
o illogicità della motivazione. Censure che, a norma dell’art. 173 co. 1 disp. att. c.p.p., si
sintetizzano nei termini che seguono.
4.1. Primo ricorso (avv. C. Occhiuto).

Incongruamente i giudici di appello non hanno accolto i rilievi difensivi sulla
inutilizzabilità delle captazioni foniche effettuate a bordo dell’autovettura del c.d.g. Lenzo
per essere il decreto esecutivo del p.m. privo di motivazione in ordine all’impiego di
impianti tecnici esterni alla Procura della Repubblica ed alla sussistenza di eccezionali
ragioni di urgenza legittimanti tale modo di procedere. L’art. 268 co. 3 c.p.p. non
consente eventuali deroghe, come ritenuto dalla sentenza impugnata, per ciò che attiene
alle intercettazioni di carattere “ambientale”. Gli argomenti con cui la Corte territoriale ha
respinto l’eccezione difensiva altro non integrano che un mero rinvio per relationem alla
motivazione reiettiva resa sul punto dai giudici di primo grado.
A ciò va aggiunto, che diversamente da quanto si ipotizza nella sentenza di
secondo grado, nessuna decisione della S.C. è intervenuta sulla analoga questione in
procedendo in punto di inutilizzabilità delle captazioni ambientali effettuate nel corso delle
indagini preliminari pur proposta dalle difese di originari coimputati del ricorrente.
4.1.2. Violazione dell’art. 228 c.p.p. e difetto di motivazione.
Con il secondo motivo di appello era stata dedotta la nullità della perizia espletata
per la trascrizione delle intercettazioni disposta nell’ambito di uno dei due originari
procedimenti riuniti nella parte in cui il perito ha svolto una vera e propria “traduzione”di
frasi ed espressioni verbali pronunciate in dialetto (traduzione in italiano dal dialetto
siciliano dell’area territoriale dei dialoganti). Egli si è così indebitamente sostituito al
giudice di merito in un’attività che, se mai, questi avrebbe dovuto disporre ai sensi
dell’art. 143 c.p.p. e con le garanzie difensive previste da tale norma processuale.
La Corte di appello non ha accolto la censura, sottovalutando l’ulteriore rilievo sul non
consentito ausilio richiesto dal perito trascrittore a persone terze, definite suoi
“collaboratori”, proprio ai fini della traduzione di conversazioni in stretto linguaggio
dialettale. Ciò in palese violazione del disposto dell’art. 228 co. 3 c.p.p.
4.1.3. Violazione degli artt. 26 L. 1.3.2001 n. 63 (attuazione della legge
costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), 64 co. 3, 512 e 512-bis
c.p.p. e difetto di motivazione.
I giudici di merito hanno erroneamente considerato utilizzabili (ai sensi dell’art.
512 c.p.p. per sopravvenuta impossibilità di ripetizione) nei confronti del Baratta le

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4.1.1. Violazione degli artt. 268 co. 3 e 271 c.p.p.

dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Cipriano negli anni 1994 e 1995 e
Vincenzino Spiccia nel corso del 2000, benché il pubblico ministero avesse l’onere di
procedere alla rinnovazione di tali dichiarazioni con le garanzie introdotte dalla legge sul
giusto processo. Rinnovazione senz’altro possibile quando si osservi che la situazione di
salute del Cipriano è divenuta precaria e grave soltanto dopo la chiusura delle indagini e
che l’irreperibilità dello Spiccia è stata accertata soltanto nel corso del dibattimento di
primo grado. La Corte di Appello ha creduto utilizzabili le pregresse dichiarazioni del
Cipriano, valutandole non ripetibili a causa del suo accertato decadimento cognitivo di

nel 2008 nel dibattimento di altro processo. Ciò che dimostra come l’esame del Cipriano,
sebbene con le “dovute cautele”, potesse e dovesse essere svolto.
4.1.4. Violazione degli artt. 447 ss. c.p.p.
Erroneamente la Corte dístrettuale ha giudicato intempestiva e, quindi,
inammissibile la richiesta di applicazione della pena versata in atti, prima dell’apertura del
dibattimento di primo grado, dall’imputato con parere favorevole espresso dal p.m. in
ordine al reato di associazione mafiosa contestatogli.
4.1.5. Violazione degli artt. 416 bis c.p. e 192 c.p.p. e insufficienza della
motivazione.
Riproducendo in sentenza la motivazione della decisione di primo grado, la Corte di
Assise di appello ha fatto propri gli argomenti considerati dimostrativi della responsabilità
associativa mafiosa del Baratta. Ciò, tuttavia, senza che siano stati indicati specifici atti o
comportamenti realmente indicativi del consapevole apporto del ricorrente al
perseguimento degli obiettivi della consorteria criminale (non essendogli stati contestati
eventuali reati fine del sodalizio) e senza che vi siano elementi concreti per ritenerlo
inserito nell’organigramma dell’aggregazione mafiosa.
4.2. Secondo ricorso (avv. T. Celi).
4.2.1. Violazione dell’art. 444 c.p.p.
Il 26.4.2006 il Baratta aveva chiesto la definizione del procedimento a suo carico
con l’applicazione della pena di due anni di reclusione senza benefici per il reato
associativo ascrittogli. Il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole
all’accoglirnento della richiesta, ritenendo congrua l’indicata pena. Tale evenienza è stata
all’origine della scarcerazione dell’imputato disposta dalla Corte di Assise per il venir meno
delle esigenze cautelari (avendo il Baratta espiato in stato di custodia cautelare pressoché
l’intera pena oggetto di patteggiamento).
La Corte di Assise di Appello ha ritenuto di respingere la richiesta difensiva, sia
pure subordinata, di applicazione della suddetta pena, giudicandola inammissibile. Ma tale
decisione si basa sull’erroneo apprezzamento della asserita intempestività della richiesta

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carattere lieve, benché costui -a riprova della sua capacità testimoniale- sia stato escusso

ritenuta dai giudici di primo grado e semplicisticamente mutuato dalla impugnata
sentenza di appello.
5. Il ricorso di Saverio Giuseppe Baratta deve essere rigettato.
I motivi di censura espressi dai due illustrati atti impugnatori sono tutti infondati e
in più casi connotati da genericità. Genericità sia in senso assoluto per sommarietà o
vaghezza delle doglianze, sia in termini di difetto di specificità per pedissequa
riproduzione degli stessi motivi di gravame pur idoneamente vagliati dalla Corte

critici solo apparenti o formali.
5.1. Le ragioni di doglianza subordinate (ricorso dell’avv. Celi; quarto motivo del
ricorso dell’avv. Occhiuto) concernenti la mancata applicazione o comunque l’incongruo
apprezzamento della richiesta defìnitoria del procedimento avanzata dall’imputato ai sensi
dell’art. 444 c.p.p. non ha pregio.
Alla luce delle fonti conoscitive cui può accedere questo giudice di legittimità (le
due decisioni di merito), la richiesta di patteggiannento assentita dal p.m., pur se presente
in atti, non risulta essere stata formalmente riproposta in limine all’atto della “vera”
apertura del dibattimento di primo grado dopo le varie vicende attinenti alla
determinazione della competenza territoriale dell’A.G. giudicante e comunque dopo il
mero differimento pregiudiziale dell’udienza del 18.1.2006 a quella del 26.4.2006 (per
l’adesione dei difensori all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi
rappresentativi della categoria forense). Per altro, per quel che ancora si evince dagli atti,
il rinvio a giudizio del ricorrente è stato disposto all’esito di udienza preliminare nel corso
della quale nessuna analoga richiesta di patteggiannento della pena è stata avanzata dallo
stesso avanzata (v. Sez. 5, n. 795/13 del 10.10.2012, Pandolfi, Rv. 254364).
Al di là di siffatta evenienza storico-formale deve ad ogni buon conto rilevarsi,
quando si ponga attenzione al punto relativo alla definizione del trattamento
sanzionatorio, la cui trattazione la sentenza impugnata (che pure ha mitigato la pena
irrogata al Baratta) antepone all’esame dell’eccezione difensiva ex art. 444 c.p.p.
(sentenza, p. 99), l’implicito rigetto della proposta applicativa di pena concordata
formulata dall’imputato. Ciò avuto riguardo alla oggettiva esiguità della pena proposta
(due anni di reclusione) rispetto a quella reputata congrua (cinque anni di reclusione) dai
giudici di secondo grado (“…la gravità del fatto è comunque notevole, nonostante il ruolo
non di primissimo piano dell’appellante).
5.2. Le censure sviluppate con l’ultimo motivo del ricorso dell’avv. Occhiuto, con
cui si censura l’inesatta applicazione dei canoni valutativi della prova dichiarativa
(chiamate in correità dei collaboratori di giustizia Lenzo, Cipriano e Spiccia e captazioni
foniche) son prive di ogni pur parcellare crisma di specificità.

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territoriale e dagli stessi giudici di primo grado con argomenti cui si oppongono enunciati

Non è elaborato, infatti, alcun peculiare profilo di possibile criticità delle fonti
probatorie apprezzate dalla sentenza di appello e -per vero- dalla stessa sentenza di
primo grado, quando si constati che l’odierno ricorso si limita a riproporre l’apodittico
assunto della asserita fragilità dell’accusa dovuta alla

“assenza di reati fine”

dell’associazione non contestati all’imputato. Quasi che, illogicamente, la prova
dell’adesione ad un sodalizio criminale debba necessariamente presupporre l’accertata
commissione anche di reati oggetto del programma criminoso.
Sicché non sembra casuale, allora, che l’impugnata sentenza di appello ha dovuto

“Le difese del Baratta, quanto alle questioni strettamente di merito, nulla di
sostanzialmente nuovo o diverso hanno potuto avanzare nei loro atti di appello,
preferendo concentrarsi su tutte le altre questioni prima esaminate e in particolare sulla
attendibilità dei dichiaranti”. Attendibilità dei dichiaranti collaboratori di giustizia che è
stata oggetto di scrupolosa e largamente motivata analisi da parte dei giudici dei due
gradi merito, che hanno rimarcato -ad esempio e tra l’altro- come le dichiarazioni dei
collaboranti cristallizzino il ruolo di intraneità del Baratta nell’aggregazione mafiosa dei
Tortoriciani facente riferimento alla famiglia Bontempo Scavo.
5.3. I motivi di censura processuali afferenti alla inutilizzabilità delle captazioni
ambientali a bordo dell’autovettura del c.d.g. Lenzo (primo motivo ricorso avv. Occhiuto)
ricorso (di carattere processuale (primi tre motivi), oltre a colorarsi di scarsa specificità (si
riproducono in sostanza rilievi già espressi innanzi al giudice di primo grado e poi ripresi
con l’atto di appello) non hanno specifico spessore e sono infondati.
Ciò per le notazioni svolte dai giudici di appello, allorché osservano che all’epoca
della loro esecuzione le modalità tecniche praticabili per le captazioni ambientali erano
quelle in concreto seguite dal pubblico ministero (operazioni di ascolto eseguite con
impianti in allora non in dotazione della Procura della Repubblica).
In ogni caso mette conto rilevare che, diversamente da quanto si sostiene
nell’odierno ricorso, questa Corte regolatrice ha già affrontato l’identica questione
processuale proposta dagli originari coimputati del Baratta (alcuni dei quali assistiti anche
dagli odierni difensori del ricorrente), giudicandola priva di fondamento. La Sezione
Seconda di questa Corte (sentenza n. 32880 del 4.7.2012, ricorsi di Bontempo Scavo
Carmelo + 19) ha enunciato argomenti in punto di diritto che l’attuale collegio condivide e
dai quali non ritiene di dover decampare. Argomenti che possono richiamarsi, riprendendo
i passaggi salienti della citata decisione in parte qua.
Questa Corte, evidenziata in via preliminare la mancata produzione dei censurati
decreti autorizzativi delle captazioni ambientali (sull’autovettura del c.d.g. Lenzo e in altri
luoghi), ha rilevato -per un verso- che il p.m. inoltrò al g.i.p. in data 23.1.1997 richiesta
di autorizzazione a disporre intercettazioni ambientali all’interno dell’automobile Lancia i

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sottolineare tale già evidente lacuna dell’impostazione difensiva, osservando (p. 95) che

Delta del Lenzo, precisando «…questo ufficio ha richiesto tramite la p.g. delegata di
essere dotato di idonea strumentazione tecnica per la realizzazione delle operazioni di
intercettazione ambientale». Il g.i.p., con decreto 29.1.1997, richiamando la suddetta
richiesta, autorizzò l’intercettazione che il p.m. dispose il 31.1.1997. Ha osservato questa
S.C. che dalla richiesta del p.m. si evince che “il P.M. esplicitava, a chiare lettere, che la
Procura non era dotata di strumentazione idonea alle intercettazioni ambientali; il P.M.
aveva richiesto alla p.g. di dotarsi della suddetta strumentazione, proprio perché l’ufficio
della Procura non ne aveva la disponibilità”. Sicché deve “è del tutto evidente che la

Procura, deve ritenersi ampiamente effettuata ai sensi dell’art. 268 co. 3 c.p.p. … per
effettuare le intercettazioni ambientali erano necessari apparecchi tecnici particolari, tanto
è vero che venne officiata una ditta specializzata nel settore, che all’epoca, 1998, com’era
noto a tutti, non erano a disposizione degli uffici della Procura. Da ciò si desume pure che
gli impianti esistenti presso la Procura non erano, quindi, idonei ad effettuare il tipo di
intercettazione ambientale autorizzato dal g.i.p. La motivazione in ordine alla inidoneità
degli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica è, pertanto, corretta”.
Per altro verso questa S.C. ha altresì rilevato che

“il fatto che manchi la

motivazione in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza, è del tutto irrilevante atteso che
«in tema di intercettazioni di comunicazioni tra presenti, le eccezionali ragioni di urgenza,
che autorizzano il pubblico ministero a disporre il compimento delle operazioni mediante
impianti in dotazione della polizia giudiziaria, si riferiscono alla sola ipotesi in cui gli
impianti esistenti presso la procura della Repubblica siano insufficienti, potendosi ritenere
che, trascorso un ragionevole periodo di tempo, l’intercettazione autorizzata possa essere
eseguita, ma deve escludersi che il presupposto dell’urgenza debba ricorrere anche nella
diversa ipotesi in cui gli impianti siano ritenuti inidonei, dal momento che il ricorso ad uno
strumento di ricerca della prova non può essere condizionato dal tempo necessario
all’ufficio giudiziario per dotarsi di attrezzature più moderne ed efficienti: (Cass.
43464/2002 Rv. 223547; Cass. 5103/2009 Rv. 246435)»”.
5.4. Infondato deve considerarsi il motivo di ricorso ex art. 228 c.p.p. in punto di
inutilizzabilità della perizia di trascrizione delle intercettazioni nelle parti relative alle
“traduzioni” dal dialetto eseguite dal perito con i suoi collaboratori (secondo motivo
ricorso avv. Occhiuto).
Sia per le corrette ragioni già esposte dalla sentenza di appello che (al pari del
primo giudice) ha valutato infondata l’eccezione difensiva, perché -a prescindere dalla
agevole intelligibilità della maggior parte delle espressioni dialettali impiegate dai
conversanti- le operazioni di trascrizione sono state espletate nel contradditorio delle parti
e, quindi, con piena partecipazione dei difensori del Baratta, che tra l’altro non hanno
formulato specifici rilievi su determinati passaggi dei dialoghi trascritti meritevoli di

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motivazione (sebbene ‘per relationem’) sull’inidoneità dei mezzi tecnici in dotazione della

riconsiderazione, con l’opportuna precisazione -del resto- che, come puntualizza la corte
territoriale (sentenza, p. 35), le eventuali distonie linguistiche di espressioni o frasi gergali
in dialetto attengono “non alla utilizzabilità delle intercettazioni o delle trascrizioni, bensì
alle valutazioni probatorie delle stesse”.
Sia perché, anche in questo caso, la censura è stata anch’essa oggetto della citata
decisione della Sezione Seconda di questa Corte del 4.7.2012 nei confronti dei coimputati
del Baratta, che ha rigettato i corrispondenti motivi di ricorso, osservando: “…la decisione
della Corte territoriale deve ritenersi del tutto corretta e conforme ai seguenti principi di

ribaditi: la prova è costituita dalle bobine o nastri contenenti la registrazione e non dalla
relativa trascrizione, la quale è uno dei modi per rendere possibile la consultazione della
prova: Cass. n. 10890/2006, rv 234103; l’omessa trascrizione di frasi ritenute irrilevanti
dal perito, ovvero la traduzione in lingua italiana di conversazioni effettuate in dialetto,
costituiscono mere irregolarità nell’espletamento dell’incarico, non sanzionate da alcuna
nullità o inutilizzabilità delle conversazioni intercettate: Cass. 24469/2009 Rv. 244383;
non sussiste l’obbligo di provvedere alla traduzione degli atti, ai sensi degli artt. 143 e
147 c.p.p., quando si procede alla trascrizione delle conversazioni telefoniche, ritualmente
intercettate, svolte in lingua dialettale: invero, la valutazione della necessità, o meno,
della traduzione spetta al giudice di merito atteso che il grado di non equivocità del
dialetto è accertamento di fatto: Cass. 32924/2004 Rv. 229104; ciò che rileva ai fini del
diritto della difesa è che, nell’espletamento della trascrizione siano osservati modi, forme
e garanzie previsti per la perizia, l’imputato, inoltre, ha la facoltà di nominare un
consulente tecnico (art. 225 c.p.p.), il quale può svolgere osservazioni circa Pomessa o
incompleta trascrizione di parti di conversazioni ritenute rilevanti per la difesa…”.
5.5. Del pari è infondato, sino a lambire l’inammissíbilità per indeducibilità
(siccome in prevalente misura incentrato su valutazioni in punto di fatto sottratte a
scrutinio di legittimità, in quanto sorrette ad adeguata e logica motivazione dei giudici del
merito), è il motivo di ricorso attinente alla violazione degli artt.512 e 512-bis c.p. in
ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali dei collaboratori Giuseppe
Cipriano e Vincenzo Spiccia (terzo motivo ricorso avv. Occhiuto). La sentenza impugnata
si è soffermata a lungo (pp. 40 ss.) sulle tematiche procedurali concernenti i due
collaboranti anche con riguardo al profilo della “rinnovazione” degli esami ex art. 26 L.
63/2001. Tematiche oggi riproposte con il ricorso senza una vera approfondita analisi
degli enunciati dei giudici di merito di secondo grado.
Premesso che le dichiarazioni accusatorie rese da un collaboratore di giustizia in
procedimenti definiti con sentenza irrevocabile prima della data di entrata in vigore della
legge 1.3.2001 n. 63 debbono considerarsi utilizzabili nel corso di indagini sul medesimo
fatto avviate dopo quella data, senza che occorra procedere alla loro rinnovazione,

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diritto enunciati da questa Corte di legittimità sulla questione dedotta che vanno così

quando il dichiarante sia venuto a trovarsi in condizioni di salute ostative ad una utile
rinnovazione (è il caso del c.d.g. Cipriano, le cui condizioni mentali sono state oggetto,
come non manca dì rilevare la sentenza impugnata, di specifica perizia medico-legale)
ovvero si sia reso irreperibile (come nel caso dello Spiccia) e tale evenienza sia stata
oggetto degli opportuni accertamenti (cfr.: Sez. 1, n. 22395 del 12.5.2009, Licciardi, Rv.
244134; Sez. 1, n. 10295 del 2.3.2010 Pulii, Rv. 246521; Sez. 4, n. 1517/14 del
3.12.2013, Tarko, Rv. 258513).
Merita soltanto aggiungere per completezza che nel separato procedimento a

32880 del 4.7.2012 ha valutato destituite di fondamento le omologhe censure (riprese dal
motivo di ricorso in esame) sulla addotta inutilizzabilità delle acquisite dichiarazioni (artt.
512, 512-bis c.p.p.) dei due collaboranti Cipriano e Spiccia.
A seguito del rigetto dell’impugnazione il ricorrente deve per legge essere
condannato al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle tre parti civili
nei termini indicati in dispositivo. Con la precisazione che, come si evince dalla sentenza
di merito di primo grado, Antonino Maniaci Brasone si è costituito parte civile nei
confronti del solo Carmelo Bontempo Scavo già coimputato del Baratta.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente (~4U-a al pagamento delle spese
processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili F.A.I.-Federazione
Antiracket Italiana, A.C.I.B.-Associazione Commercianti e Imprenditori Brolesi e Comune
di Brolo, che liquida in euro tremila ciascuna, oltre IVA e CPA, disponendo il pagamento a
favore dei procuratori antistatari.
Roma, 1° luglio 2014

carico dei coimputati dell’odierno ricorrente la già citata sentenza di questa Corte n.

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