Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18448 del 08/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18448 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da

DOLDO Bruno, nato a Cardeto il 28/12/1963,

avverso l’ordinanza in data 19 marzo 2012 del Tribunale del riesame di Reggio
Calabria nel proc. n. 209/2012.
Letti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
sentito il pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in persona del
sostituto procuratore generale, Enrico Delehaye, il quale ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;
sentiti i difensori del ricorrente, avvocati Antonino Curatola e Vincenzo Nico
D’Ascola del foro di Reggio Calabria, i quali hanno chiesto l’accoglimento dei
motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc.
pen., con ordinanza deliberata il 19 marzo 2012 e depositata il successivo 28

Data Udienza: 08/04/2013

agosto, ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 25
febbraio 2012 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nei
confronti di Doldo Bruno, sottoposto ad indagini per il delitto previsto dall’art.
378, comma secondo, cod. pen., perché, quale appartenente alla polizia di Stato,
rivelava a Condemi Domenico, come accertato in Reggio Calabria il 21 ottobre
2011, la presenza di una microspia all’interno dell’autovettura Fiat Panda nella
in corso di svolgimento nei suoi confronti, a cura della squadra mobile di Reggio
Calabria, in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Il Tribunale ha ritenuto sussistenti entrambi i presupposti legittimanti
l’applicazione della misura coercitiva di massimo rigore.
I gravi indizi di colpevolezza sono stati ravvisati nel contenuto della
conversazione tra Condemi Domenico ed Esposito Giuseppe Pasquale, all’interno
del Circolo della Caccia, Sviluppo e Territorio, sito in Reggio Calabria, oggetto di
intercettazione ambientale in data 21 ottobre 2011, preceduta da altre due
conversazioni tra gli stessi Interlocutori a bordo dell’autovettura Fiat Panda del
Condemi, entrambe svoltesi il 10 ottobre 2011, da cui si desumeva la scoperta,
in quest’ultima data, della microspia installata all’interno del veicolo con la
conseguente adozione, da parte del Condemi, di tutte le cautele necessarie per
evitare conversazioni compromettenti.
La fonte di tale scoperta emergerebbe, secondo il Tribunale, in modo
inequivocabile dal contenuto del suddetto colloquio tra il Condemi e l’Esposito, in
data 21 ottobre 2011, per gli espliciti riferimenti degli interlocutori ad un
poliziotto che avrebbe rivelato al Condemi la presenza della microspia nella sua
autovettura.
Tale poliziotto è stato identificato in Doldo Bruno perché i conversanti
avevano richiamato il suo trasferimento dall’ufficio della Digos, incaricato delle
indagini sulla presunta associazione di tipo mafioso nella quale avrebbe militato il
Condemi, all’ufficio scorte della questura di Reggio Calabria, l’uno e l’altro ubicati
nel medesimo edificio e sullo stesso piano, trasferimento avvenuto alla fine del
mese di maggio 2011, mentre la microspia era stata installata il precedente 10
maggio, dopo l’attentato in danno dell’onorevole reggino, Giovanni Nucera,
sull’autovettura del quale era stata rinvenuta, nel marzo del 2011, una tanica
piena di liquido infiammabile, episodio per il quale il Condemi era indagato.
Il Doldo, inoltre, risultava cognato, per averne sposato la sorella, di Plutino
Giuseppe, consigliere comunale in Reggio Calabria, eletto nel maggio 2011, e
ritenuto dagli investigatori intraneo alla cosca della, facente capo ai fratelli
Caridi, insediata nel quartiere San Giorgio di Reggio Calabria, della quale
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disponibilità dello stesso, al fine di aiutare il Condemi ad eludere le investigazioni

avrebbe fatto parte il Condemi, cui pure il Doldo era legato da rapporto di
parentela essendone cugino.
Sempre il Doldo era stato coinvolto, circa dieci anni prima, nel 2001, in un
procedimento penale per vendita di prodotti pirici e di munizioni, senza
rinnovazione della licenza, da parte di Plutino Bruno, fratello del predetto
Giuseppe, e per avere acquistato nove pistole senza averne prima ottenuto il
appello dopo una condanna subita dal Doldo nel giudizio di primo grado.
Sussistevano, infine, documentati contatti telefonici del Doldo con Plutino
Giuseppe e, seppure in maniera più sporadica, con Condemi Domenico nel
periodo di interesse investigativo.
Quanto alle esigenze cautelari legittimanti, ad avviso del Tribunale,
l’adozione della misura coercitiva di massimo rigore, ritenuta proporzionata
all’entità della pena in astratto irrogabile non suscettibile di sospensione
condizionale, esse sono state desunte dalla gravità del fatto, tenuto conto del
ruolo istituzionale del Doldo come appartenente alle forze dell’ordine, e dalla sua
personalità apprezzata negativamente anche per il suddetto precedente
giudiziario, confermativo della sua costante vicinanza, non solo per ragioni
parentali, ad esponenti della criminalità organizzata reggina.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Doldo
tramite i difensori, avvocati Vincenzo Nico D’Ascola e Antonino Curatola, i quali,
in un unico motivo, denunciano violazione di legge e difetto di motivazione in
relazione all’art. 378, comma 2, cod. pen. e agli artt. 125, comma 3, 273, 292 e
546 cod. proc. pen., e travisamento della prova in ordine alla erronea
valutazione del contenuto dell’intercettazione ambientale, in data 21 ottobre
2011, nel “Circolo della Caccia, Sviluppo e Territorio”.
Il Tribunale avrebbe omesso la verifica dell’esatto significato delle frasi
pronunciate in quella conversazione, costellata da plurimi salti di passaggi
definiti incomprensibili, e avrebbe trascurato di apprezzare l’attendibilità delle
dichiarazioni captate, tanto più doverosa e rigorosa in considerazione del
contenuto totalmente etero accusatorio della medesima conversazione.
Sarebbero stati, inoltre, erroneamente ravvisati gli estremi del delitto di cui
all’art. 378, comma 2, cod. pen. nel fatto oggetto del colloquio captato,
postulando pur sempre il favoreggiamento personale, integrante un reato di
pericolo, l’attitudine della condotta ad aiutare la persona indagata ad eludere le
investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle ricerche di essa, mentre, nel caso in
esame, l’ordinanza impugnata non avrebbe offerto alcuna motivazione circa
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permesso come collezionista di armi, reati caduti in prescrizione nel giudizio di

l’eventuale modificazione del contesto fattuale delle indagini indotta dalla
condotta del Doldo, limitandosi a registrare una mera riduzione dei colloqui
captati sull’autovettura del Condemi nei quattordici giorni successivi alla scoperta
della microspia.
Il Tribunale non avrebbe, neppure, indicato la specifica condotta attribuita al
Doldo, oscillando tra l’Informazione fornita dall’indagato circa la presenza di una
confronti del Condemi, e la segnalata imminenza di un provvedimento cautelare
a carico di quest’ultimo.
Soprattutto sarebbe carente ed illogica la motivazione con riguardo
all’identificazione del presunto Informatore nella persona del Doldo: I conversanti
nel circolo della Caccia, il 21 ottobre 2011, non avrebbero mai detto che il
poliziotto, autore della rivelazione, fosse stato trasferito dall’ufficio Digos
all’ufficio scorte; questa sarebbe un’arbitraria deduzione dell’interprete ovvero un
vero e proprio travisamento della prova per attribuzione alla conversazione
intercettata di un contenuto diverso da quello reale; così opinando il Tribunale
non avrebbe neppure dato ragione della scelta, tra le varie interpretazioni
possibili, di quella meno favorevole all’indagato, violando il canone motivazionale
prescritto dall’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., da ritenersi applicabile
anche in sede cautelare tenuto conto dei requisiti di validità dell’ordinanza che
dispone la misura cautelare, enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen.
Nessuna risposta, infine, se non puramente congetturale, avrebbe dato
l’ordinanza impugnata all’obiezione difensiva, incidente sulla tenuta logica della
motivazione, circa l’impossibilità per il Doldo, proprio perché non più in servizio
presso l’ufficio di polizia investito delle indagini nei confronti del Condemi, di
acquisire notizie di interesse per quest’ultimo e, segnatamente, di apprendere
l’indicazione, da parte del Nucera, in data 31 maggio 2011, dello stesso Condemi
e di Plutino Giuseppe come probabili autori dell’atto intimidatorio nei suoi
confronti, risalente al precedente 9 marzo, e la successiva installazione, il 10
maggio 2011, di una microspia nell’autovettura del Condemi.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nell’odierna udienza i difensori del Doldo hanno dichiarato che la misura
della custodia cautelare in carcere, applicata nei suoi confronti, già sostituita
dagli arresti domiciliari, è diventata inefficace, nelle more del presente
procedimento, per intervenuta scadenza dei termini di durata massima della
custodia cautelare di fase.
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microspia sull’autovettura, la generica notizia circa l’esistenza di indagini nei

Il ricorso, pertanto, è divenuto inammissibile per sopravvenuta carenza di
interesse.
In proposito, le sezioni unite di questa Corte hanno stabilito che, in tema di
ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale
nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa ritenersi comunque
sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento ad

riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la
circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare
in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento
della stessa, formulata personalmente dall’interessato (Sez. U, n. 7931 del
16/12/2010, dep. 01/03/2011, Testini, Rv. 249002).
Poiché, nella fattispecie, il Doldo, rimesso in libertà in relazione al titolo qui
impugnato, non ha personalmente dedotto il suo interesse a coltivare
l’impugnazione davanti a questa Corte ai fini del riconoscimento della riparazione
per ingiusta detenzione, il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile
per sopravvenuta carenza di interesse, senza provvedimenti accessori di
condanna, in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui,
qualora il venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso per cassazione
sopraggiunga alla sua proposizione, alla dichiarazione di inammissibilità non
consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al
pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende (Sez.
U, n. 20 del 09/10/1996, dep. 06/12/1996, Vitale, Rv. 206168; Sez. U, n. 7 del
25/06/1997, dep. 18/07/1997, Chiappetta, Rv. 208166; Sez. 6, n. 22747 del
06/03/2003, dep. 22/11/2003, Caterino, Rv. 226009; Sez. 2, n. 30669 del
17/05/2006, dep. 14/09/2006, De Mitri, Rv. 234859).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Così deciso, in Roma, il 8 aprile 2013.

una futura utilizzazione dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del

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