Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18439 del 02/12/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18439 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LUCENTINI LUIGI N. IL 11/07/1953
avverso la sentenza n. 2755/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
14/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

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Data Udienza: 02/12/2014

-1- Con sentenza del 12 aprile 2010, il Gup del Tribunale di Macerata ha dichiarato
Lucentini Luigi, legale rappresentante della “Delta s.p.a.”, che svolgeva l’attività di
produzione di fondi per calzature, colpevole del reato di lesioni colpose gravi, commesse in
pregiudizio del dipendente Bekiri Raman, rimasto vittima di un infortunio mentre operava
sulla macchina denominata “Calandra Bridge”, e lo ha condannato, applicata la diminuente
del rito abbreviato, alla pena di due mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore
della persona offesa, costituitasi parte civile.
Era accaduto che, mentre il Bekiri operava sulla macchina denominata “Calandra Bridge” utilizzata per assottigliare tramite rulli in acciaio matasse di gomma che venivano inserite
dall’operatore all’interno del macchinario fino a che le stesse non avessero raggiunto lo
spessore stabilito – la mano sinistra dell’operaio era stata trascinata all’interno dei due rulli
della calandra e schiacciata. L’infortunio, a seguito del quale il lavoratore ha subito l’amputazione della falange distale del 3,4,5 dito della mano sinistra, si è verificato benché il Bekiri
avesse prontamente azionato la barra di protezione presente sul lato posteriore della
macchina. Tale meccanismo, invero, aveva bloccato i rulli ma non ne aveva provocato il
distanziamento né l’inversione di marcia, tanto che per liberare la mano rimasta intrappolata
era dovuto intervenire un compagno di lavoro, Seminara Domenico, che aveva azionato un
tasto del quadro comandi posto nella parte anteriore della macchina.
-2- Dell’infortunio è stato ritenuto responsabile il Lucentini per avere, nella qualità di
legale rappresentante della “Delta s.p.a.”, per colpa generica e specifica, quest’ultima individuata nella violazione dell’art. 133 co. 2 del d.p.r. n. 547/55, cagionato le lesioni patite dal
lavoratore, non avendo adottato tutte le misure tecniche necessarie ai fini di un utilizzo in
sicurezza della macchina.
Secondo il tribunale, che ha richiamato i giudizi espressi dagli ispettori dell’Asur, la
macchina in questione non presentava i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa in
materia poiché, sebbene munita di una barra di sicurezza la cui attivazione provocava
l’arresto dei rulli, mancava di un dispositivo capace di determinare, oltre al blocco dei rulli,
la contemporanea inversione del loro moto. Il tribunale, quindi, ha disatteso la tesi difensiva
secondo la quale la calandra era munita di un ulteriore sistema di sicurezza che provocava
tale inversione; meccanismo che era stata introdotto dopo analogo infortunio verificatosi
nell’anno 1997. Ove anche tale dispositivo fosse stato presente al momento dell’infortunio,
ha sostenuto il primo giudice, esso non aveva evidentemente funzionato se il Bikiri non era
riuscito a liberare la mano rimasta incastrata tra i rulli fino all’intervento del Seminara.
-3- Impugnata dall’imputato, tale decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di
Ancona, in punto di affermazione della responsabilità, con sentenza del 14 febbraio 2013
che ha tuttavia rideterminato la pena inflitta dal primo giudice in euro 1000,00 di multa.
-4- Propone il Lucentini ricorso per cassazione, con il quale denuncia il vizio di violazione
di legge, in relazione all’art. 133 del d.p.r. n. 547/55 ed agli artt. 175 e 445 cod. proc. pen.,
per erronea interpretazione della norma, ed in relazione al diniego del beneficio della non
menzione della condanna.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, il ricorrente osserva che l’assunto della
corte territoriale, secondo il quale la calandra non era fornita del dispositivo che, oltre a
bloccare i rulli, ne invertiva il moto, era del tutto erroneo perché in contrasto con il
contenuto della documentazione acquisita al fascicolo, che attesta la presenza di tale
dispositivo fin dal 1997, e con le stesse dichiarazioni del teste Seminara. I giudici del
gravame sarebbero, quindi, incorsi in un duplice errore: l’uno in fatto, laddove hanno negato
la presenza del dispositivo in questione, l’altro in diritto, laddove hanno sostenuto la
necessità della presenza di un dispositivo automatico di blocco del movimento dei cilindri
che dovesse attivarsi pur senza l’intervento manuale dell’operatore. Considerazione che il

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Ritenuto in fatto.

Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- In punto di responsabilità, ambedue i giudici di merito hanno osservato che, seppur era
vero che la calandra sulla quale operava il Bekiri era stata dotata, dopo un analogo infortunio
occorso nel 1997 ad altro lavoratore, di un dispositivo di sicurezza, era anche vero che tale
dispositivo si limitava a provocare l’arresto dei rulli compressori della macchina, non anche
la contemporanea inversione del loro moto, che avrebbe consentito l’immediata liberazione
della mano del lavoratore. Hanno aggiunto gli stessi giudici che l’assenza del dispositivo di
inversione del moto doveva ritenersi accertata, non solo dalle dichiarazioni del teste
Seminara Domenico, compagno di lavoro dell’operaio infortunato, il quale aveva riferito che
il sistema di sicurezza prevedeva l’immediato arresto del moto della calandra, non anche
l’inversione del moto dei rulli, ma anche con quanto concretamente accaduto al lavoratore,
che non è riuscito a liberare la mano perché i rulli non hanno invertito il senso di marcia né
si sono adeguatamente distanziati tra loro, talché solo grazie all’intervento del Seminara, che
aveva azionato altro dispositivo posto sul quadro comandi, è stato possibile liberare la mano
del Bekjri.
La macchina in questione, dunque, hanno correttamente concluso gli stessi giudici, non era
fornita dei dispositivi di sicurezza previsti dalla normativa vigente, correttamente citata dai
giudici, che prevede che le calandre come quella sulla quale lavorava il Bekiri debbano
essere fornite di un congegno che, oltre ad arrestare i rulli, ne inverta il movimento, proprio
per consentire la liberazione di un arto dell’operatore che sia rimasto intrappolato.
Nel caso di specie, il meccanismo di inversione non esisteva, ovvero, hanno ancora
sostenuto, in termini residuali, i giudici del merito, non era funzionante.
Di qui, la conferma della responsabilità dell’imputato, che il ricorrente contesta riproponendo considerazioni già poste all’esame della corte territoriale e dalla stessa ritenute
infondate alla stregua di argomentazioni, del tutto coerenti sul piano logico, rispettose della
normativa di riferimento, che non meritano alcuna censura.
-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il beneficio della non menzione della condanna, di cui all’art. 175 cod. pen., è, come è
noto, fondato sul principio dell’emenda e tende a favorire il recupero del soggetto, sicché la
concessione dello stesso è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice che, tuttavia,
deve indicare le ragioni del rigetto o dell’accoglimento del beneficio stesso.
Orbene, nel caso di specie la corte territoriale ha sostanzialmente ribadito, sia pure con
argomentazioni evidentemente correlate alle ragioni esposte nei motivi d’appello, il negativo
giudizio prognostico espresso dal primo giudice, il quale, nel negare il beneficio, ha evidenziato il concreto grado di colpa che aveva caratterizzato la condotta dell’imputato, oltre ai
precedenti penali -che il ricorrente segnala come unico e riferito a vicenda definita con
sentenza di patteggiamento-. Giudizio che, sebbene sinteticamente argomentato, rivela il

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ricorrente ritiene del tutto arbitraria e non correlata alla realtà, laddove si vorrebbe che la
macchina fosse dotata di tanta sensibilità da distinguere il materiale sottoposto a compressione e da bloccarsi automaticamente quando le dita di una mano dovessero accidentalmente finire nell’ingranaggio.
Quanto al secondo motivo di doglianza, osserva il ricorrente che la precedente condanna
richiamata dal giudice del gravame per negare il beneficio della non menzione, riguarda una
sentenza di patteggiamento risalente al 16.2.95, divenuta irrevocabile il 3.4.95. Precedente
che l’esponente ritiene non ostativo atteso che, secondo il disposto dell’art. 445 cod. proc.
pen., essendo stata irrogata una pena non superiore a due anni (soli o congiunti a pena
pecuniaria), il trascorrere di cinque anni (per i delitti) senza che l’imputato ne commetta un
altro, come nel caso di specie, determina l’estinzione del reato e di ogni effetto penale.

percorso argomentativo attraverso il quale il giudice ha dato conto del corretto esercizio del
potere discrezionale che la legge gli riconosce in detta materia.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.

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