Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18437 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18437 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

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sul ricorso proposto da:
SARCONE ANTONIO ROSARIO nato il 18/04/1966 a FOGGIA

avverso l’ordinanza del 18/05/2017 della CORTE APPELLO di BARI
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
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Data Udienza: 27/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bari, con ordinanza del 18/5/2017 rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 cod. proc. pen.
dall’odierno ricorrente per il periodo di detenzione dal 4/4/2008 al 21/7/2008 (data
in cui il provvedimento restrittivo veniva revocato e sostituito con l’obbligo di
firma) sofferto nell’ambito del procedimento n.5391/2007 R.G.N.R. in cui era gravemente indiziato dei reati di cui agli artt.81, 110, 314 c.p. (capo A) ed altro
(formazione di falsi certificati amministrativi ed uso di atti falsi finalizzati alla com-

Già in primo grado il Sarcone, con la sentenza n. 161/2009 del Tribunale di
Foggia veniva assolto dai reati ascrittigli perché il fatto non sussiste relativamente
al capo A) della rubrica (art. 81 cpv, 110 e 314 c.p.) e per non aver commesso il
fatto relativamente ai capi B) e C) della rubrica. La sentenza assolutoria di primo
grado veniva impugnata dal P.M., ma la Corte di Appello di Bari con la sentenza
n. 1040 del 22/3/2013 confermava la decisione assolutoria pronunciata dal Tribunale di Foggia. La pronuncia diveniva definitiva il 20/9/2013.

2. Avverso il sopra ricordato provvedimento di diniego della Corte barese ha
proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, Sarcone
Antonio Rosario, deducendo quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1,
disp. att., cod. proc. pen., la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. in relazione
all’art. 606 lettera b) e lettera e) cod. proc. pen…
Ci si duole che la Corte di Appello di Bari abbia respinto la richiesta formulata
ritualmente da Sarcone Antonio Rosario, motivando che lo stesso avrebbe “subito
la custodia cautelare per grave colpa propria”.
Si lamenta che il provvedimento impugnato, in modo contraddittorio, riporti
che nella sentenza assolutoria di primo grado, confermata in appello, pur affermandosi in ordine al delitto di cui al capo A) che la condotta ascritta al Sarcone
non potesse considerarsi dolosa, si adombrerebbe una condotta negligente in riferimento al mancato controllo dei dati anagrafici riportati nei falsi documenti.
Per il ricorrente, invece, il ragionamento articolata dalla Corte, in questa fase,
non solo non troverebbe alcun riscontro negli atti del processo, ma al contrario
verrebbe superato dalle sentenze assolutorie poste a base della richiesta. Ed invero, nessun elemento di fatto individuerebbe una condotta tenuta dal Sarcone
meritevole di rimprovero, a maggior ragione se si guarda proprio all’esame dell’interrogatorio di garanzia reso dallo stesso dinanzi al GIP.
Nel ricorso si evidenzia che nel verbale di interrogatorio dell’8/4/2008, quando
la misura era già stata adottata da qualche giorno, il Sarcone cercò di dare una

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missione del delitto di cui al capo A).

spiegazione a quanto accaduto. Ed allora quel documento deve essere letto integralmente collocandolo nel momento storico in cui veniva reso ovvero dopo la
richiesta di misura cautelare da parte del P.M. e il provvedimento del giudice.
Orbene Sarcone Antonio Rosario -prosegue il ricorso- con assoluta sincerità
spiega tutto ciò che poteva essere avvenuto nelle operazioni di sportello presso
l’ufficio postale di Ascoli Satriano. Infatti pur riconoscendo una probabile distrazione, ebbe a precisare: “io ho richiesto tutto ciò che mi doveva dare il Sig. Dipollo
e me li ha dati: carta di identità e codice fiscale”. Ed ancora “io ho controllato solo
il CRO. Doveva coincidere il CRO della carta del sig. Dipollo con quella della ma-

Il fatto che il Sarcone abbia messo in dubbio la circostanza evidenziando un
possibile errore, non lo renderebbe perciò concorrente e nemmeno passibile della
emissione di una misura restrittiva della libertà personale. Ma, come precisato in
ricorso, quanto dichiarato è successivo alla esecuzione della misura cautelare.
Ricordato l’orientamento della Corte Costituzionale e di questa Corte di legittimità in materia di riparazione per ingiusta detenzione il ricorrente ricorda che,
nel caso di specie, i giudici di merito hanno escluso qualsiasi coinvolgimento del
Sarcone sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo e che “non sarebbe configurabile il concorso colposo nel reato commesso da terzi estranei”. Viene anche ricordato che per i capi B) e C) della rubrica l’imputato veniva assolto per non aver
commesso il fatto, assoluzione motivata in modo giustificativo della condotta del
Sarcone.
In conclusione le decisioni di merito escluderebbero qualsiasi colpa del Sarcone sotto tutti i profili e ciò confermerebbe la fondatezza della richiesta.
Ci si duole che il giudice della riparazione avrebbe dovuto apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che potessero rilevare in modo eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di legge. Doveva, in altri termini,
fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato
ma solo se sia stato il presupposto che abbia ingenerato la falsa apparenza della
sua configurabilità, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ed effetto.
Le sentenze cli merito, ristabilendo la verità dei fatti, avrebbero superato qualsiasi dubbio sul punto né risulterebbe che il datore di lavoro abbia adottato provvedimenti che contestassero violazioni di regolamenti, comunque mai di legge.
Il ricorrente lamenta che Sarcone Antonio Rosario, da questa vicenda, ha subito gravi ripercussioni e che la pubblicità della detenzione, in un piccolo centro,

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schera”.

ha ingenerato gravi sospetti ed inciso negativamente anche sulla famiglia che all’epoca era composta da figli in tenera età.
Chiede, pertanto, a questa Corte Suprema di annullare la decisione della Corte
di Appello di Bari con rinvio ad altra sezione.

3. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 4/12/2017 ha rassegnato ex
art. 611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento
della ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Bari per un nuovo
giudizio.

1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati e, pertanto, l’ordinanza impugnata
va annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Bari per un nuovo giudizio.

2. L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è stato
prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge
come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce
causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato
dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della
custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza
di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla
deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che,
in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi
dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento
riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di
esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il
9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637)

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi
ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo
comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati,
ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale
da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà
personale o nella mancata revoca di uno già emesso.

riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia
posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire
una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata
revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la
sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa
riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o
della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente
che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez.
Unite, n. 32383 del 27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664). E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in
tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo
in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o
quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena,
con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa
attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base dell’istituto. (così Sez. Unite, n. 51779
del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la
condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze

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In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla

stupefacenti, alle quali, con espressioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni).

3. Ebbene, nel provvedimento impugnato la Corte di Appello di Bari ha individuato nella condotta tenuta da Sarcone Antonio Rosario, dipendente dell’Ufficio
Postale di Ascoli Satriano prosciolto dalle accuse di peculato e falso, consistita
nell’omesso svolgimento dei controlli sui dati anagrafici riportati nei falsi documenti esibiti dai truffatori, un atteggiamento di grave, negligenza e trascuratezza
nello svolgere il compito che gli era stato assegnato, ostativo al riconoscimento

Tuttavia la doglianza proposta dal ricorrente, tramite il difensore di fiducia, in
relazione alla contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nella parte
in cui il giudice non ha correttamente interpretato i dati emergenti dalla pronunciata sentenza di assoluzione perché i fatti non sussistono, risulta fondata.
La decisione impugnata, infatti, oltre a non evidenziare alcuna condotta colposa del ricorrente che abbia potuto “giustificare” la misura custodiale emessa nei
suoi confronti per il grave delitto di peculato, si caratterizza per una evidente sottovalutazione del quadro probatorio acquisito nel giudizio di merito.
La sentenza di assoluzione, infatti, come evidenzia anche il PG presso questa
Corte, si esprime in termini non univoci anche con riferimento alla circostanza che
l’imputato potesse ragionevolmente nutrire dei dubbi sulla autenticità dei documenti presentatigli allo sportello, di fronte alla esibizione di documenti falsificati
“ma recanti la foto del soggetto che si presentava allo sportello”.
In tal senso la decisione impugnata, nella parte in cui afferma la gravità della
colpa che ha caratterizzato la condotta omissiva del Sarcone per il mancato controllo sui documenti indicati, appare sorretta da motivazione insufficiente che, attraverso una lettura parziale della sentenza di assoluzione e la totale assenza di
riferimenti alle condotte che avrebbero favorito l’accusa di corruzione, finisce per
divenire autoreferenziale ed apodittica, integrando così il vizio denunciato dal ricorrente.
Non appare rilevante in tal senso il fatto che nel corso dell’interrogatorio di
garanzia reso dal Sarcone dinanzi al GIP -che, peraltro, come evidenzia il ricorrente, è successivo all’emissione dell’ordinanza cautelare- lo stesso ammetteva
una sua possibile distrazione in tale operazione di controllo tant’è che in seguito
era stato destinatario di un provvedimento disciplinare da parte dell’Ufficio postale
di appartenenza.
Tale deficit motivazionale andrà colmato dal giudice del rinvio, pur in applicazione dei principi di diritto più volte sanciti da questa Corte di legittimità secondo
cui totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione anche
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della riparazione richiesta.

atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono
portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale
probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Ciò perché è prevista in
sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro
portata indiziaria o probatoria, che può essere ritenuta insufficiente e condurre
all’assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell’imputato,

E’ pacifico, inoltre (cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418)
che, in sede di giudizio di riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. ed al fine della
valutazione dell’an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti
dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l’ingiusta detenzione vi abbia dato o
abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento
alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine è necessario che venga
esaminata la condotta posta in essere dall’istante sia prima che dopo la perdita
della libertà personale e, più in generale, al momento della legale conoscenza della
pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. Un. 27.5.2010, n° 32383),
onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall’esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito
tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto
che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (cfr. anche la precedente
Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis).
A tal fine andranno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione
del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice
della cognizione (cfr. questa sez. 4, n. 45418 del 25.11.2010).

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di
Bari.
Così deciso in Roma il 27 marzo 2018
Il o’hsigliere est sore
enzo Pez,lla

l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice.

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