Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18432 del 01/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18432 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA
Data Udienza: 01/04/2014

nell’immediatezza dei fatti, aveva ribadito l’assenza di profili

di colpa

addebitabili agli imputati. Sostiene in particolare il difensore, con il conforto

cause civili dal Tribunale di Milano, che l’evento era ex ante imprevedibile posto
che l’immobile era costituito da edificio signorile in perfette condizioni di
manutenzione; che il progetto redatto dal Papiani non riguardava

parti

strutturali; che solamente a seguito dello scrostannento dei muri e dei pilastri, si
era potuto verificare che l’immobile aveva subito, nel corso degli anni, vari
interventi che avevano profondamente inciso sulla sua struttura. Deducono
altresì i ricorrenti l’insussistenza di qualsivoglia profilo di negligenza avendo essi
provveduto ad incaricare l’ing. Boreatti, tecnico competente in materia di
staticità, subito dopo il manifestarsi dei primi segnali di criticità di un pilastro,
all’inizio dei lavori. Questi, intervenuto sul posto, individuò

gli interventi

giudicati necessari ad eliminare i rischi; interventi subito messi in atto. Tre giorni
dopo lo stesso tecnico intervenne nuovamente in cantiere dando ulteriori
istruzioni al responsabile per

provvedere al puntellamento della struttura.

Secondo la difesa quindi l’essersi affidati ad un soggetto, dotato di specifiche
competenze in materia e come tale titolare di autonoma posizione di garanzia
avrebbe dovuto condurre ad escludere la responsabilità degli imputati.
Con il secondo motivo,

lamentano i ricorrenti l’erronea qualificazione giuridica

del fatto, a loro dire invece inquadrabile, in difetto della condizione di messa in
pericolo della incolumità di un numero indeterminato di persone, non nel
contestato delitto di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen. ma nella contravvenzione
prevista dall’art. 676 cod.pen. di rovina di edifici. Nel caso di specie infatti il
crollo interessò l’appartamento sito all’ultimo piano dell’edificio in cui era stato
aperto il cantiere, al quale non potevano accedere persone estranee ai lavori e
peraltro durante il periodo di sospensione dei lavori, con esclusione quindi del
pericolo per la pubblica incolumità richiesto ai fini della sussistenza del delitto di
cui agli artt. 434-449 cod. pen.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione, con atto di gravame cumulativo,
anche le parti civili BERETTA Nerina Mercedes e PULLE’ Laura, in veste di
proprietarie, rispettivamente di due distinti appartamenti dello stesso
stabile,sottostanti quello interessato dal crollo. Le ricorrenti denunziano con due
censure ( intimamente connesse e da trattarsi quindi congiuntamente )

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anche delle opinioni dei consulenti di parte e di quello nominato in una della

l’inosservanza degli artt. 434 e 449 cod. penale e l’illogicità della motivazione in
punto alla pronunzia di assoluzione di Guastella Vincenzo, quale responsabile del
cantiere. Rappresentano le ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe proceduto ad
una valutazione soltanto parziale della condotta del Guastella, limitata ai
concetti di prudenza e di diligenza senza tener conto del concetto di perizia. In
realtà costui, in veste di responsabile del cantiere, intese assumere iniziative
anche al di fuori delle direttive e degli ordini impartitigli del direttore dei lavori,
rapportandosi ai professionisti ed alla parte committente come unico e vero

motivazione illogica ed illegittima, i Giudici d’appello avrebbero escluso la colpa
del Guastella omettendo di ritenerlo responsabile, al pari degli altri imputati,
della violazione della regola generale di diligenza benchè questi,nel suddetto
ruolo rivestito, fosse per primo tenuto a verificare che gli operai lavorassero in
condizioni di sicurezza e che quindi ottemperassero alle prescrizioni di
puntellamento della soletta. Inoltre – sostengono le ricorrenti – la Corte
d’appello, pur riconoscendo la sussistenza in capo al Guastella della relativa
posizione di garanzia, avrebbe poi illogicamente affermato che, attese le
competenze tecniche non equiparabili a quelle dei professionisti, non poteva, di
propria iniziativa, provvedere al puntellamento né tantomeno al rafforzamento di
tutti i pilastri, quando invece ciò rientrava nei suoi specifici doveri tant’ è vero
che egli era già intervenuto, ravvisata la pericolosità di un pilastro. Peraltro la
Corte d’appello avrebbe disatteso quanto emerso dall’istruttoria ovverosia che la
criticità della situazione era derivata anche dalle opere di demolizione fino ad
allora eseguite dall’impresa, sotto il controllo del Guastella, come peraltro dallo
stesso ammesso in sede di sommarie informazioni, salva la successiva
ritrattazione dibattimentale.
Con motivi aggiunti pervenuti in cancelleria il 27 dicembre 2013 ( nuovamente
depositati nel medesimo testo, in data 27 marzo 2014 dopo il rinvio del
procedimento a nuovo ruolo disposto all’udienza 9 gennaio 2014 ) il difensore
degli imputati ricorrenti ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

Preliminare ed assorbente è la questione della qualificazione giuridica del fatto,
sollevata dagli imputati ricorrenti con il SECONDO motivo di ricorso.
Ritiene il Collegio,condividendo la dedotta doglianza, che l’originaria imputazione

sub

artt. 434-449 cod.pen., sia da ricondurre alla meno grave ipotesi

contravvenzionale prevista dall’art. 676, comma 2° cod.pen.
Alla stregua di giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, a partire
dalla più remota sentenza n. 1462, pronunziata dalla Sez. 1, il 13 luglio 1967

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referente dell’irnpresa,posto al vertice della scala gerarchica. Sicchè, con

(rv. 105727), il primo criterio distintivo tra le due fattispecie di reato è stato
individuato nell’atteggiarsi dell’elemento materiale sul rilievo preminente che
una ” maggior gravità dell’avvenimento caratterizza il delitto rispetto alla
contravvenzione ” .

Integra gli estremi del delitto un crollo della costruzione

oggettivamente configurabile come ” disastro ” ovverosia come un accadimento
“grave e complesso, con conseguente pericolo per la vita e per l’incolumità delle
persone, indeterminate considerate ” . Nell’ipotesi contravvenzionale di ” rovina
di edifico o di altre costruzioni “, il pericolo subito dalle persone è considerato

crollo con pericolo anche di una sola persona ”
147268; Sez. 4 n.9553/1991 rv.188197 )

( Sez. 4 n.163/1979 rv.
privo delle connotazioni di

diffusività e di estensione che qualificano il pericolo oggettivamente integrante
il delitto ( Sez. 4 n.8171/1985 rv. 170463; Sez. 4 n. 2954/1973 rv.123848 ).
Qualora l’evento abbia riguardato la parte interna di un edificio (Sez. 4
n.730/1970 rv. 115661) ” il delitto può ravvisarsi soltanto quando il pericolo,
derivante dal crollo della costruzione entro le mura perimetrali, possa diffondersi
in direzione dello spazio circostante investendo persone diverse da quelle che, in
numero determinato, abitano l’edificio ” .

Muovendo dai dati fattuali cosiccome

accertati, si è altresì statuito ( Sez. 4 n.11771/1997 rv. 210152) che non
qualsiasi distacco “con caduta al suolo di singoli elementi costruttivi ” di un
edificio integrava il crollo con ” fisionomia ” di un disastro di proporzioni notevoli
e tale da mettere in pericolo una cerchia indeterminata di persone. Si è quindi
ritenuta la sussisteva oggettiva del delitto nel caso specifico esaminato, in cui si
verificò il crollo di un’ampia porzione delle facciate tergali di due fabbricati e di
settori di vari solai ai piani, cui seguirono lesioni di altri edifici ed instabilità
della stessa piazza e pericolo non solo degli abitanti degli edifici, ma anche di
una squadra di operai e di persone indeterminate che si trovavano nei paraggi.
Si è altresì ritenuta necessaria, agli effetti della sussistenza del delitto di crollo di
edificio, la ” ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un
certo fatto a ledere od a mettere in pericolo un numero non individuabile di
persone anche se appartenenti a categorie determinate “.

Una volta accertata ”

l’effettività della capacità diffusiva del nocumento ” ( e quindi il “pericolo per la
pubblica incolumità derivante dal diffondersi del crollo nello spazio circostante ” Sez.1 n.47475/2003 rv. 226459) siffatta condizione di “grave pericolosità” viene
meno qualora casualmente l’evento dannoso non si sia verificato ( Sez. 4
n.5820/2000 rv. 216602; Sez. 1 n.30216/2003 rv.225504; Sez. 4 n.764/2009
rv. 246848 ). Integra il delitto de quo di crollo colposo di costruzione
totale o parziale

la

violenta ed improvvisa della stessa

caduta

accompagnata dal pericolo della produzione di un danno notevole alle persone,
senza che sia necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali dell’edificio ”

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circostanza aggravante essendo sufficiente, peraltro, che ” si tratti di piccolo

(Sez. 4 n.2390/2011 rv. 251749).

L’altro tratto distintivo tra delitto e

contravvenzione è rappresentato dal fatto che la fattispecie contravvenzionale
rientra nella categoria dei reati propri. La contravvenzione in altri termini può
esser commessa da ” chi abbia avuto parte nella elaborazione del progetto o
nella esecuzione dei lavori concernenti l’edificio od altra costruzione che poi, per
sua colpa, siano crollati ” (Sez.1 n.7925/1988 rv. 178831; Sez.1 n.5430/1992
rv. 190304 ). Tra i soggetti attivi possono quindi esser ricompresi il progettista, il
costruttore od il direttore dei lavori.

effettivamente rivestiti nello specifico caso,in rapporto alle rispettive qualifiche
professionali,non pare possa revocarsi in dubbio che,in conformità, l’evento
verificatosi in concreto abbia integrato rovina di edificio con pericolo per i soli
abitanti dei due appartamenti sottostanti ( art. 676, comma 2° cod. pen. ), alla
stregua dell’illustrato insegnamento di questa Corte. La implosione,
coinvolgente il cedimento del solaio tra sesto e quinto piano e di parte del tetto
del fabbricato per circa 100 mq. ha interessato esclusivamente le strutture
interne del fabbricato. Gli effetti della ” rovina ” hanno causato pregiudizi
prevalentemente alla statica interna dell’appartamento ubicato al piano quinto,
interessato dai lavori di ristrutturazione Da ciò conseguiva il danneggiamento dei
due appartamenti sottostanti, invero limitati a distacchi di calcinacci e perdite di
liquidi reflui senza interessamento delle strutture portanti dell’edificio. A siffatte
conclusioni conducono gli accertamenti di fatto evidenziati dall’istruttoria. Non
pare quindi che, anche con valutazione ex ante, potessero prospettarsi pericoli
per l’incolumità per un numero indeterminato di persone quali passanti, operai
impiegati nei lavori, altri occupanti degli appartamenti sottostanti.
L’affermata qualificazione giuridica dei fatti in termini di reato contravvenzione
impone preliminarmente di verificare se alla data della odierna udienza, sia
interamente decorso il termine massimo di prescrizione (anni cinque) cui bisogna
por mente in applicazione degli artt. 157 e 161 cod.pen. nel testo modificato
dalla legge n. 251 del 2005, in vigore dall’ 8 dicembre 2005. Ritiene il Collegio
che – avuto riguardo al tempus commissi delicti (15 marzo 2008) ed al ritenuto
titolo del reato, questo sia ormai estinto per maturata prescrizione, non
risultando evidenziati dagli atti rimessi a questa Corte, periodi di sospensione
durante i due giudizi di merito.
Tanto premesso, occorre verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dagli
imputati ricorrenti in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di
Milano nell’impugnata sentenza, i ricorsi proposti presentino profili di
inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché
basati su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non
consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa

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Ciò premesso, ferma la titolarità in capo agli imputati dei suddetti ruoli

originaria di inammissibilità).
Orbene, richiamando l’esposizione riassuntiva delle censure dedotte, deve
concludersi che i ricorsi cumulativi non presentano, con particolare riguardo al
PRIMO motivo, connotazioni di inammissibilità essendo fondati, non solo sulla
prospettazione di meri vizi motivazionali, ma soprattutto sull’articolazione della
presunta violazione degli artt. 40 e 43 cod.pen. in punto alla responsabilità
degli imputati,quanto al delitto loro ascritto. Le doglianze si risolvono in un’
approfondita confutazione delle tesi accusatorie, recepite da entrambi i Giudici

causa e dei contestati profili di colpa generica.
Per altro verso, non sussistono tuttavia le condizioni di legge per l’applicabilità
dell’art. 129, 2° comma codice di rito, anche per quanto di seguito si dirà
nell’esaminare la fattispecie ai fini civilistici.
E’ noto, infatti, sotto un profilo d’ordine generale e sistematico, che in presenza
di una causa estintiva del reato, è precluso alla Corte di cassazione un riesame
dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi
attinenti alla sua motivazione con riferimento sia alle valutazioni del compendio
probatorio che al controllo della intrinseca logicità e coerenza dell’iter
argomentativo seguito dai giudici di merito. Il sindacato di legittimità ai fini
dell’eventuale applicazione dell’art. 129 secondo comma cod.proc.pen. deve
essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per
addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule
prescritte: la conclusione può essere favorevole all’imputato nel solo caso in cui
la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso risulti evidente sulla
base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della
sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e di ulteriori
accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività
della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale
esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora,
dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i
caratteri richiesti dall’art. 129 codice di rito, l’esistenza di una causa di non
punibilità più favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione
immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato,
addirittura la sussistenza di una nullità (e pur se di ordine generale) non è
rilevabile nel giudizio di cassazione, “in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di
merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa
estintiva”(in tal senso, ex plurimis: S.U. n.1021/2001; S. U. n. 35490/2009).
L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali,
essendo il reato di cui all’art. 676, comma 2° cod.pen. ,estinto per prescrizione.

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di merito, con specifico riferimento alle tematiche della ricorrenza del nesso di

La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la
necessità di esaminare le doglianze dei ricorrenti ai soli effetti delle disposizioni e
dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (art. 578
cod.proc.pen.).
A tali fini civili i ricorsi vanno respinti, per l’infondatezza,

in particolare,del

PRIMO motivo dedotto.
Deve preliminarmente rilevarsi che la decisione impugnata si presenta
formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali –

evitare superflue e tediose ripetizioni – forniscono, con argomentazioni basate
su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente
e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo. La
trama argomentativa della sentenza impugnata si sottrae, perciò, ai lamentati
vizi motivazionali, che, peraltro, ex art. 606 lett.e) cod. proc.pen., devono
apparire manifesti, cioè rilevabili immediatamente,

ictu °cui/.

L’apparato

giustificativo della decisione dà logica contezza non solo della insussistenza della
prova evidente della innocenza degli imputati (per quanto possa rilevare ai fini
penali, per come già si è detto), ma anche della sussistenza di elementi di
giudizio di evidente ed univoco segno contrario, ragionevolmente posti alla base
delle statuizioni civilistiche. La Corte d’appello ha peraltro esplicitato di aver
proceduto in applicazione della normativa di riferimento ed in sintonia con i
principi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di
nesso di causa dei reati colposi omissivi impropri. E’ qui sufficiente
specificamente annotare come siano state legittimamente recepite dai Giudici
di seconda istanza le dichiarazioni rese dall’ing. Bagnato, in veste di teste
“particolarmente qualificato ”

per aver svolto le funzioni di CTU nel

procedimento civile di accertamento tecnico preventivo, ” redigendo relazione
peritale corredata di fotografie e tabelle contenti rilievi tecnici “.

E’ evidente

che la Corte distrettuale,avendo fatto motivatamente proprio gli apprezzamenti
di detto teste, inscindibili invero dai fatti direttamente osservati, ha
logicamente disatteso, ancorchè per implicito, le divergenti opinioni e valutazioni
sulle cause e sulle modalità concrete dell’evento pregiudizievole,espresse dagli
altri tecnici a vario titolo coinvolti nel processo.
Agli effetti della sussistenza della

responsabilità colposa degli imputati,

l’istruttoria aveva invero dimostrato come gli stessi avessero sottovalutato i
rischi di crollo evidenziati durante l’esecuzione delle opere di demolizione e
come avessero omesso di vigilare e di intervenire preventivamente e
tempestivamente, come loro imposto dalle posizioni di garanzia rispettivamente
rivestite in qualità di progettista e di direttore dei lavori. Il crollo non fu
assolutamente imprevedibile né inevitabile. Sarebbe stato infatti possibile (

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riportati in parte narrativa e da intendersi qui integralmente richiamati onde

oltrechè doveroso ) intervenire puntellando le travi già prima di procedere alla
definitiva rimozione degli intonaci ed all’abbattimento dei muri adiacenti ai punti
di appoggio ai quali una più diligente verifica ed analisi delle condizioni della
struttura del fabbricato avrebbero dovuto ritenere sussistenti funzioni anche
portanti. Si è altresì puntualmente sottolineata la sussistenza del nesso di causa
tra l’omessa e tempestiva predisposizione di efficaci misure di sicurezza ( atte a
prevenire il pericolo di cedimento del solaio sovrastate ) incombenti sul
progettista e sul direttore dei lavori quantomeno fin dal momento in cui si

scrostamento dei muri e dei pilastri. Le autonome posizioni di garanzia, di cui i
due imputati erano autonomamente investiti in ragione dei rispettivi ruoli
contrattualmente assunti, li obbligavano ad adottare gli accorgimenti tecnici
necessari a mettere in sicurezza pilastri e relativi punti d’appoggio, secondo le
regole di prudenza, diligenza e perizia da applicarsi nelle specifiche circostanze
in ragione delle cognizioni tecniche e professionali,possedute da entrambi.
L’osservanza di siffatte regole cautelari trovava ragionevole spiegazione,come
ineccepibilmente rilevato dalla

Corte d’appello, nelle condizioni di obiettiva

vetustà del fabbricato nel quale ” i muri, anche se non portanti, rivestivano
comunque una funzione statica ” di guisa che “prima degli interventi demolitori,
necessitavano di idonei e preliminari interventi di messa in sicurezza “. Né, agli
effetti della ricorrenza del nesso di causa,

le riconfermate responsabilità

omissive gravanti sugli imputati in dipendenza delle surrichiannate posizioni di
garanzia potevano esser ” annullate ” da quella – concorrente – facente capo
all’ing. Boreatti, con qualifica di “strutturista ” ( deceduto nelle more del
processo ) intervenuto alcune volte sul posto su sollecitazione del Guastella al
fine di predisporre i primi – ancorchè già tardivi – interventi di puntellamento. Né
può esser messo in dubbio, alla stregua del giudizio controfattuale, che le
contromisure preventive omesse al primo manifestarsi degli iniziali sintomi di
criticità della statica del solaio, avrebbero sicuramente impedito, in applicazione
di criteri di comune credibilità razionale, il verificarsi dell’evento. Nell’ottica della
valutazione ex ante

supportata dalle specifiche cognizioni tecnico-professionali

degli imputati, tanto risultava pacificamente prevedibile ed evitabile.
Il ricorso cumulativo proposto dalle parte civili deve esser respinto in quanto
infondato. La Corte d’appello ha ineccepibilmente motivato, in coerenza con le
risultanze rese evidenti dall’istruttoria, che al Guastella non poteva farsi risalire
una “condotta negligente ed imprudente nella causazione del crollo dell’edificio ”
giacchè egli, pur titolare di autonoma posizione di garanzia in veste di
responsabile del cantiere ma, nel contempo, certamente non in possesso delle
cognizioni tecniche e della preparazione professionale degli altri imputati, si
attivò immediatamente, attenendosi alle direttive ricevute dal

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progettista

erano manifestati i primi problemi di staticità, dopo gli iniziali interventi di

Papiani, nell’interpellare l’ingegnere strutturista Boreatti al manifestarsi delle
prime criticità, subito dopo l’avvio dei lavori di demolizione, il giorno 11 marzo
2008. Ed in conformità alle prescrizioni dell’ing. Boreatti (intervenuto sul posto in
luogo degli imputati mai comparsi ) il Guastella provvide a puntellare un pilastro
risultato “annmalorato “. Appaiono peraltro del pari incontestabili la legittimità e
la correttezza delle argomentazioni con cui la Corte d’appello ha evidenziato che
al Guastella, il cui operato restava comunque subordinato alle direttive del
progettista e del direttore dei lavori, non

avrebbe potuto farsi risalire la

aver provveduto, in surrogazione dell’inerzia dei coimputati e della lacunosità
dello stesso progetto dell’intervento di ristrutturazione dell’appartamento de quo,
al puntellamento ovvero al consolidamento preventivo di tutti i pilastri.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna delle parti civili al pagamento delle
spese processuali.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio agli effetti penali, la sentenza impugnata in ordine alla
contravvenzione di cui all’art. 676, comma 2° cod.pen., così qualificata
l’originaria imputazione ex artt. 434,449 cod. pen., perché estinto detto reato
per prescrizione.
Rigetta i ricorsi proposti dagli imputati agli effetti civili nonché il ricorso proposto
dalle parti civili Beretta Nerina Mercedes e Pullè Laura e condanna queste ultime
al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, lì 1 aprile 2014.

responsabilità,per aver omesso ” di sua iniziativa “, quasi incolpandolo di non

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