Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1843 del 06/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1843 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Mosca Antonio

nato il 27.8.1937

avverso la sentenza del 5.12.2011
del Tribunale di Civitavecchia
sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G., dr. Aldo Policastro , che ha
chiesto dichiararsi inammissibile Il ricorso

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO

2. Avverso la predetta sentenza proponeva appello il Mosca, chiedendo
l’assoluzione dal reato ascritto perchè il fatto non sussiste o perchè non
costituisce reato, quanto meno ex art.530 cpv. c.p.p.
Il Tribunale aveva ritenuto sussistente il reato di immissione di rifiuti nelle acque
di cui all’art.192 co.2 D.L.vo 152/2006, senza considerare che le risultanze
processuali non consentivano di ritenere provata la penale responsabilità
dell’imputato. Il teste Verzilli era caduto in numerose contraddizioni in ordine al
luogo in cui si trovava il canale di scolo ed al presunto collegamento con
l’azienda dell’imputato. Peraltro dalla testimonianza in questione non emergeva
che vi fosse un collegamento diretto tra la concimaia dell’imputato ed il canale di
scolo. Lo stesso teste aveva, comunque, riferito che le piogge, frequenti in quel
periodo invernale, facevano salire il livello della concimala, causando una sorta di
esondazione del contenuto della stessa.
Non ricorreva quindi l’elemento oggettivo del reato e tanto meno quello
soggettivo, dal momento che, come emergeva dagli atti, il Mosca aveva
richiesto nulla osta e permessi al Comune di FiumIcino e le autorizzazioni alla
Regione Lazio.
Con il secondo motivo deduceva la carenza ed omessa motivazione in ordine alla
mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena,
nonostante ne ricorressero le condizioni.
Con Il terzo motivo eccepiva la prescrizione del reato.
2.1. Essendo la sentenza inappellabile ex art.593 co.3 c.p.p., gli atti venivano
trasmessi a questa Corte a norma dell’art.568 co.5 c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il Tribunale ha dato atto, innanzitutto, che, nel corso del sopralluogo eseguito
da personale del Corpo Forestale presso l’azienda agricola, gestita dall’imputato,
era stato accertato che le deiezioni degli animali e gli altri rifiuti dell’azienda
venivano fatti confluire in una concimaia collegata con il canale di scolo. Ha, poi,
con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ritenuto che non vi fossero
dubbi, sulla base delle dichiarazioni del teste Verzilli Salvatore e dei rilievi
fotografici, in ordine alla riferibilità della condotta all’imputato, con conseguente
configurabilità del reato contestato, risultando pacificamente l’assenza di
qualsiasi autorizzazione.
Ha, altresì, correttamente, rilevato il Tribunale che la documentazione prodotta
dalla difesa in ordine all’attivazione dell’imputato per la realizzazione di interventi
di adeguamento della propria attività alla normativa vigente poteva essere
positivamente valutata ai fini del trattamento sanzionatorio, ma non poteva certo
incidere sulla configurabilità del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo (la
richiesta di nulla osta era stata presentata nell’anno 2010 e quindi tre anni dopo
la commissione del reato).
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1. Con sentenza del 5.12.2011 li Tribunale di Civitavecchia, in composizione
monocratica, condannava Mosca Antonio, previo riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, alla pena di euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui
agli artt.192 co.2 e 256 D.L.vo 152/06 perchè, nella qualità di titolare
dell’azienda agricola di allevamento sita in Fiumicino alla S.Ottolenghi 116,
immetteva nel canale adiacente adibito alla raccolta delle acque per l’irrigazione
reflui derivanti dall’azienda agricola sopra citata.

4. Quanto al beneficio della sospensione della pena, dal verbale di udienza risulta
che, in sede di conclusioni, non veniva fatta, neppure in via subordinata, alcuna
richiesta in tal senso (la difesa chiedeva l’assoluzione “per non aver commesso
il fatto”).
Trattandosi di condanna a pena pecuniaria, in mancanza di una espressa
richiesta, Il Giudice non era tenuto, di ufficio, a concedere (ed a motivare in caso
di diniego) la sospensione, potendo l’imputato avere interesse a non
beneficiarne.
L’art.5 comma 2 lett.d) DPR 14.11.2002 n.311 prevede che sono eliminate le
Iscrizioni relative ai provvedimenti giudiziari dl condanna per le contravvenzioni
per le quali è stata inflitta la pena dell’ammenda, salvo che sia stato concesso
alcuno dei benefici di cui agli artt.163 e 175 del codice penale, trascorsi dieci
anni dal giorno in culla pena è stata eseguita ovvero si è In altro modo estinta.
Il ricorrente, pur avendo riportato condanna alla sola pena dell’ammenda non
avrebbe potuto beneficiare, pertanto, della “cancellazione” sopraindicata della
iscrizione in caso di concessione della sospensione della pena.
5. Alla data di emissione della sentenza impugnata (5.12.2011) non era, infine,
certamente maturato il termine massimo di prescrizione di anni cinque, essendo
stato li reato accertato in data 12.2.2007.
6. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna dei
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma
3

3. Il ricorrente ripropone censure di fatto e richiede una rivisitazione dei
materiale probatorio, come, del resto, è confermato dal fatto che si intendeva
proporre appello.
Ma tali censure non tengono conto, che il controllo demandato alla Corte di
legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi
attraverso l quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento
impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli
argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano
effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del
processo. Anche a seguito della modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la
L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità
di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della
motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare
criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza
dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere
all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida,
scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del
18.12.2006). Pur di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la
quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il
controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche
ad altri atti del processo specificamente indicati. Tale controllo, però, non può
“mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una
nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali,
finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il
convincimento espresso dal giudice di merito” (così condivisibilmente
Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-VIgnaroli).
3.1. Secondo le stesse prospettazioni del ricorrente non ricorrono le condizioni
per applicare l’art.133 co.2 D.L.vo 152/2006 (a seguito dell’entrata in vigore del
D.L.vo n.4/2008).

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma
di euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 6.12.2012

che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
E’ appena il caso di aggiungere che la manifesta infondatezza del ricorso
preclude» la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (maturata dopo
la sentenza impugnata).
Questa Corte si è pronundata più volte sul tema anche a sezioni unite (per
ultimo sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle
precedenti decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta
formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di
Impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge
(art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di
impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere
una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio.
L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice
dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia,
derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare
alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.

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